Roger-Pol Droit, Vivere oggi con Socrate, Epicuro, Seneca e tutti gli altri
Dubbio, autoironia, accettazione del conflitto: le strategie del pensiero antico per far crescere la nostra umanità
Sospeso tra riso e pianto, ragione e passione, vita e morte, il pensiero degli antichi ci parla di noi. Molto più che sistema di teorie e concetti perlopiù arretrati e démodé, si presenta, in queste pagine, come un navigatore perfettamente efficiente per orientare l’esistenza, una fonte inesauribile a cui attingere per trovare sempre nuove risorse e continuare a costruire la nostra umanità.
Accattivante e profondo, denso e gradevolissimo, Vivere oggi con Socrate, Epicuro, Seneca e tutti gli altri c’invita a togliere gli antichi dalla polvere degli scaffali e a fargli prendere aria. A forza di tenerli chiusi, infatti, li stiamo lasciando morire di asfissia, e in questo modo uccidiamo una parte essenziale di noi stessi e della nostra umanità. Contro l’omicidio e il suicidio della cultura umanistica, Roger-Pol Droit lancia il suo appello a riprendere in mano i grandi classici e a farli uscire dai manuali per portarli su nuovi, salutari percorsi; a trattarli come compagni di strada e navigatori efficienti anziché come congegni antiquati e cadaveri inerti. Così il professore di Parigi che già ci ha più volte deliziato con brillanti saggi di divulgazione filosofica, stavolta decide di vestire i panni dell’esploratore e, prendendoci per mano, ci guida lungo un itinerario avvincente in compagnia di Socrate e Pirrone, Luciano ed Eschilo, Seneca e Virgilio. Scandisce il passo fissando quattro tappe: “Vivere”, “Pensare”, “Emozionarsi”, “Morire in pace”.
Tra una pagina e l’altra ci esorta a seguirlo, ma anche a deviare e ad avventurarci su sentieri audaci lasciandoci alle spalle gli scrupoli per un rigore eccessivo che non può che essere artificioso. Dal momento che “i pensatori non si riducono a un corpo di dottrina”, infatti, artificioso sarebbe “volere, a ogni costo, separare l’immaginario dal reale”. Già, perché i frammenti di Eraclito, le storie di Erodoto e le commedie di Aristofane non sono fossili di un passato immobile e sempre identico a se stesso, ma le radici della civiltà di oggi che devono essere costantemente rigenerate e mantenute in vita per poter dare sempre nuovi frutti. Ecco perché, come già si erano accorti Nietzsche ed Heidegger, i mostri sacri dell’antichità, oltre ad aver camminato dietro di noi, camminano anche e soprattutto con noi e davanti a noi. Perciò non cercateli guardando solo fisso dietro le vostre spalle: rischiereste di trovare una compagnia ben poco istruttiva ed interessante.
E’ per questo, forse, che sui banchi di scuola un filosofo del calibro di Aristotele può sembrare così pesante e noioso e, che anche più tardi, quando, liberi dalla costrizione, riusciamo ad apprezzarne l’acutezza e la profondità, continua comunque a restare distante da tutto ciò che ci è familiare, estraneo alla vita che viviamo e che ogni giorno ci pone di fronte a sfide sempre nuove: perché ci ostiniamo a leggerlo con la mente rivolta soltanto a un passato ormai superato, e con la freddezza di chi guarda una difficile equazione matematica di cui occorre ritrovare sempre lo stesso risultato. E così andiamo incontro a un’inevitabile delusione. Aristotele, infatti, non ci indica nessuna soluzione, ma soltanto la via sempre aperta della ricerca. D’altra parte scambiare per punti di arrivo le sue segnalazioni di percorso significa condannarlo all’anacronismo privandolo di ogni stimolo e di ogni interesse per il mondo attuale, quando invece le sue indagini, le sue osservazioni, i suoi interrogativi e il metodo messo a punto per affrontarli hanno aperto una partita ancora tutta da giocare. Ma attenzione: non è un gioco puramente speculativo.
Anche quando affrontano problemi di logica e di fisica, gli antichi non assumono mai un atteggiamento freddamente distaccato ed unilateralmente razionale. Per i nostri progenitori greci e latini pensare significava compiere un’esperienza che coinvolge ogni dimensione dell’esistenza, trasformandola alla sua radice e portandola alla sua più autentica realizzazione. Basta accostarsi al Simposio di Platone senza preconcetti per rendersi conto che anche negli autori in cui più forte risuona il richiamo alla ragione, il pensiero non si alimenta mai solo di idee e concetti, ma anche di lacrime ed ebbrezza, carne e sangue, inquietudine e slancio. La ragione ha bisogno dell’emozione non meno di quanto l’emozione abbia bisogno della ragione.
Vita e pensiero vanno di pari passo, e non potrebbe essere altrimenti. Per questo è sterile e riduttivo leggere i classici come se potessero offrirci un assetto stabile di teorie o regole sicure da applicare meccanicamente all’esistenza. Socrate ha sempre negato di avere teorie da insegnare, e il suo coraggio di fronte alla morte non può essere scambiato per sicurezza. Quanto a Platone, di certo non sarebbe contento di sapere che la sua parola viva e in perenne tensione verso la verità è stata costretta dentro ai manuali.
Sulla scia di Hadot, ma anche di Detienne, Vernant, Sautet, l’autore ci aiuta a fare nostro l’insegnamento degli intramontabili maîtres à penser, mostrandocene l’utilità ed il fascino immortali.
Un libro accattivante e brioso, che si legge d’un fiato, istruisce il cuore ed emoziona la mente.