Tratto da Giorgio Antonelli, Discorso sul sogno, Lithos Editrice, Roma, 2010
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Bernhard, che era passato da Freud a Jung proprio in relazione alla diversa apertura di Jung al sogno, intratteneva una concezione decisamente demonica del sogno. Il demone sogno lo chiamava istanza. Raccomandava ai suoi allievi di presupporre che il sogno fosse una comunicazione che il sognatore riceve da un’istanza dotata di facoltà e volontà di comunicare. Freud non avrebbe mai potuto concepire una simile raccomandazione. E tuttavia proprio il suo non poterla concepire si trova in patente contraddizione col suo aver stigmatizzato gli psicoanalisti suoi contemporanei per non aver fatto progredire la conoscenza del sogno. Avrebbe potuto concepirla, se avesse considerato il sogno alla stregua del demone Fliess, di un soggetto supposto sapere, ovvero, nei termini di Bernhard, di un soggetto presupposto comunicare, ma da quel demone, evidentemente, da quell’istanza, si stava riavendo e doveva pensare, necessariamente, che non ci fosse più bisogno di intrattenere relazioni del genere.
Bernhard non può certo definirsi un conquistador del sogno. Assomiglia di più a un conquistato dal sogno, anzi a un conquistato postumo. Quando il 14 ottobre 1935 si recò da Jung, per il suo primo colloquio, portava con sé due sogni. Nel secondo sogno, a seguito di un repentino cambio di scena (dopo che, sprofondato in una caverna di pietra, aveva preso la decisione di impiccarsi con le bretelle dei pantaloni), un italiano con faccia da indiano, a cui il sognatore ne aveva fatto richiesta, gli dava pane e latte. Né Jung né il sognatore comprendono al momento di cosa veramente si tratti nel sogno. Il sogno chiama sempre al travalicamento di un confine, a un passaggio all’atto. Ma il travalicamento e il passaggio si pongono a uno scarto dalle possibilità dell’Io. Andare con l’Io al sogno comporta uno stare al di qua del passaggio. Nella circostanza Jung non seppe essere all’altezza del sogno, non seppe porsi come demone nei confronti di Bernhard. Il sogno anticipava la seconda parte della vita di Bernhard in modo “singolarmente drastico”. “Né Jung né io” scrive “comprendemmo allora né potevamo comprendere. A quel tempo io non pensavo neppure lontanamente di stabilirmi in Italia, bensì a Zurigo; e soltanto più tardi, a Berlino, mi decisi piuttosto ex abrupto a emigrare in Italia”. Quella decisione Bernhard, l’ebreo Bernhard, la mette anche in relazione con la matriarcalità di indiani e italiani rispetto alla patriarcalità di ebrei e tedeschi. Doveva essere quello della Madre mediterranea, in effetti, uno dei grandi temi della seconda parte della sua vita. Quanto all’italiano con faccia di indiano si trattava dell’indologo italiano Tucci il quale, saputo che Bernhard stava per essere deportato in Polonia, ne ottenne la liberazione.
Bernhard non si ferma però al nesso “sogno-Italia-madre mediterranea”. Egli pone anche tale nesso in relazione con quella che chiama “una nuova tecnica psicoterapeutica italiana”, una tecnica che egli stesso ha introdotto e che confermerebbe quanto asserito nel suo saggio sulla Madre mediterranea. A partire da un sogno, insomma, la sequela contempla l’introduzione di una nuova tecnica psicoterapeutica. Appare qui invertita l’affermazione degli psicologi dell’Io nella quale si trattava di un riverberarsi degli assunti onirodinamici di Freud sull’atteggiamento degli psicoanalisti nei confronti del sogno. Nella vicenda di Bernhard sembra proprio che sia stato un sogno a dettare la propria sequela teorica. Si comprende perché Bernhard abbia concepito il sogno nei termini di un’istanza dotata di facoltà e volontà di comunicare. Si tratta appunto qui del modo demonico in cui non si dimostrarono invece capaci di concepirlo gli psicologi dell’Io.
Né Bernhard né Jung si presentano a noi come conquistadores del sogno. Nelle vesti di un conquistador si presenta invece Freud a Ferenczi.
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Quando, nel 1937, Bernhard fu invitato da Edoardo Weiss a tenere delle conferenze sul sogno alla Società Psicoanalitica Italiana, egli sostenne la tesi di una dinamica propria della serie dei sogni. Tale tesi aveva una triplice connotazione. Da una parte si trattava di interpretare dei sogni cui mancavano le associazioni di una paziente e allora Bernhard si faceva forte della tesi della Traumserie al fine di utilizzare un simbolismo in certo qual modo oggettivo. Dall’altra egli poneva la questione della coappartenenza della Traumserie e del desiderio del sogno, come lo intendo io, nei termini di un’equazione tra sogno e comunicazione “che noi riceviamo da un’istanza che ha in ogni caso la facoltà e la volontà di fare tale comunicazione”.
Bernhard parla di un’istanza che ha “in ogni caso” la facoltà e la volontà di comunicare con il sognatore. La tesi di una dinamica propria della serie dei sogni fa riferimento appunto a questa dynamis del sogno e, in definitiva, al suo esplicitarsi nel comunicare serialmente. Bernhard non assegna un nome all’istanza, soltanto le attribuisce facoltà e volontà. Il mio nome per quell’istanza è desiderio. A partire dalle affermazioni di questo pioniere dello junghismo in Italia si potrebbe affermare che il desiderio del sogno è un desiderio di comunicare e che tale desiderio si dimostra ancora più forte là dove si traduce in una Traumserie.
Ho parlato di una triplice connotazione insita nella tesi di Bernhard di una dinamica propria della serie dei sogni. La prima è interpretativa. La seconda è inerente all’essenza del sogno come autonoma, autoregolata volontà di comunicazione col sognatore e presumibilmente non soltanto col sognatore ma, come vorrebbero Jung e i sostenitori del Social Dreaming, anche attraverso il sognatore. La terza si riferisce a quella che io chiamerei la passe del sogno con ciò che trascende il sogno, con la realtà. Sostiene infatti Bernhard:
Dall’analisi di ogni sogno scaturiscono infatti per noi dei compiti concreti: tanto il terapeuta che il paziente devono prendere posizione sia di fronte alla situazione interna che di fronte al mondo esterno. Solo nel caso che questa realizzazione concreta sia stata effettuata, i sogni successivi mostreranno uno sviluppo graduale e costante del problema.
Il sogno, detto altrimenti, può essere immaginato come in perpetuo ascolto del sognatore.