in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, 43, Napoli, Liguori, 1998 – Estratto
Il transfert è un passaggio che si nutre di silenzi e, tuttavia, non esiste una psicologia del silenzio. Se non esiste, e forse non può esistere, allora dobbiamo continuamente crearla.
Un modo di costruire una psicologia del silenzio è quella di rintracciarne la genealogia, a partire ad esempio dal motivo dell’ammutolimento eroico, da Helena, dallo gnosticismo.
Non esiste una psicologia del silenzio. Non ne troviamo traccia in Freud, non in Jung e nemmeno in Adler. All’origine dunque del fare analisi il principio del silenzio è disatteso. Non esiste, disesiste ma, a dispetto del suo disesistere, il silenzio è forte. Ha dynamis. Ciò basta a farne degno soggetto d’una psicologia dinamica, dal momento che una psicologia dinamica è una psicologia della dynamis o, meglio, del politeismo della dynamis, del politeismo delle potenze.
Ora, il politeismo delle potenze è anche politeismo dei silenzi. Le pulsioni sono mute, operano in silenzio, come sapeva Freud. Silenzioso, analogamente, è quell’ordine simbolico che tanto si è pensato in Lacan. In silenzio opera l’implacabile Ananke dei greci. E da quel silenzio occorre, dice Hillman, persuadere questa dea a uscire. “Non si tratta solo del fatto che Ananke e Bia sono sorde e ricevono di norma l’epiteto di cieche; al pari della morte, la necessità opera in silenzio, non parla. Empedocle, a detta di Plutarco, contrapponeva la musicale Persuasione alla non musicale e silenziosa Necessità” .
Come si persuade Ananke? Facendo tèchne col silenzio. Si tratta qui, d’altronde, di qualcosa che da Aristotele è entrato nella quotidianità del nostro dire. Quando diciamo che qualcosa è in potenza, stiamo dando voce al silenzio. Quando diciamo che qualcosa è in potenza, vogliamo intendere che la sua forza è silenziosa, che qualcosa esercita la propria forza nel silenzio.
Se la potenza dell’analisi è “in potenza”, allora la potenza dell’analisi si misura sui suoi silenzi. Dobbiamo ripensare la psicologia dinamica alla luce dell’accezione aristotelica di dynamis.
Dice Aristotele che la dynamis è “archè tes metabolès”, principio della trasformazione. In quest’ottica potremmo considerare la potenza del silenzio come ciò che consente di accedere a nuove dimore. Quando diciamo che qualcosa è in potenza, vogliamo intendere che la sua forza è silenziosa, che qualcosa esercita la propria forza, la propria realtà, nel silenzio. L’atto è per così dire la parola della potenza, l’accedere della potenza alla parola. Ovvero, se pensiamo la psicologia dinamica, la psicologia della potenza, sub specie mythologica, la parola attraverso cui la potenza si trasforma in atto è l’immagine.
L’immagine, altrimenti detto, è quell’atto la cui potenza chiamiamo mitologia.
Lo stesso vale per la definizione che Jung dà di archetipo in “Zur Psychologie des Kindarchetypus”. E’ un vaso l’archetipo, scrive Jung, che non si può mai svuotare né riempire. “Er existiert an sich nur potentiell”, “Esiste in sé soltanto in potenza”. Soltanto “potentiell” è l’archetipo, dunque soltanto in silenzio opera. Analogamente possiamo ricondurre alla ragioni e alle regioni del silenzio tutta quello che Jung fa passare sotto l’etichetta di “naturale”.
L’individuazione è naturale. Naturale è ciò che accade in silenzio. Ergo, l’individuazione accade in silenzio.