Binswanger, il diavolo e altro

Tratto, in parte, e adattato da G. Antonelli, Schizzi genealogici psicofilosofici, in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 6, Giovanni Fioriti Editore, Roma, aprile 2008

1912

Nella lettera inviata a Freud il 29 giugno 1912, Binswanger scriverà come, nella lettura della Interpretazione dei sogni, lo abbia colpito l’enorme volontà di potenza del suo autore, volontà volta al dominio degli uomini. Freud avrebbe operato, secondo Binswanger, una sublimazione perfetta della sua pulsione di dominio trasponendola nella dominazione psichica degli uomini. Avrebbe colto, in questo rilievo, Binswanger, ciò che muove il desiderio degli psicoanalisti? Foucault scriverà che di questa cifra del setting (l’esercizio del potere) i suoi interlocutori psicoanalisti non vogliono saperne. Ripeteranno in questo modo, anche senza saperne nulla, la risposta di Freud a Binswanger. Cosa scrive, infatti, Freud, a Binswanger? Che non lo vuole contraddire sulla questione, dal momento che lui, Freud, della volontà di potenza non sa nulla. Resta il lapsus, comunque, a testimonianza della filiazione nietzscheana e superomistica della psicoanalisi e restano le percezioni degli interlocutori di Freud. Lou Andreas-Salomé, ad esempio, sosterrà che il superuomo costituisce il fine della psicoanalisi.

In una lettera inviata a Ludwig Binswanger (che con il fondatore della psicoanalisi ha corrisposto fino al 1939, anno della morte di questi e che gli era stato introdotto da Jung) Freud scrive: “Purtroppo qui viene fuori, per associazione [con Adler], il nome di Jung. Lei sa che io non sono della sua opinione in rapporto al monopolio della medicina sulla Psicoanalisi”. Binswanger commenta: “Io stesso ero allora anche per principio contro l’analisi condotta da profani, sotto questo aspetto ero dunque dalla parte di Jung”.
1917

Cartolina di Freud a Binswanger. Freud scrive che in una cosa Binswanger gli fa paura: la messa da parte dell’inconscio a causa del diavolo filosofico. “Che cosa vuol fare lei con l’inconscio” scrive Freud “o piuttosto come pretende di cavarsela senza l’inconscio? Forse che in conclusione il diavolo filosofico la tiene nei suoi artigli? Mi tranquillizzi”. Binswanger commenta: “È evidente che io non me la sono mai cavata senza l’inconscio né nella prassi psicoterapeutica che è anzi impossibile senza l’affermazione freudiana dell’inconscio, né nella teoria. Volgendomi tuttavia alla fenomenologia ed all’analisi esistenziale, il problema dell’inconscio si è trasformato, allargato ed approfondito, poiché sempre meno esso assume una posizione di contrasto con il conscio, dal quale nella psicoanalisi – come sempre accade in tali semplici contrapposizioni – è ancora ampiamente determinato. Dato che nell’analisi esistenziale di Heidegger – in contrasto con Sartre – si parte non dalla coscienza, ma piuttosto dall’esser-ci come essere-nel-mondo, a mio avviso quel contrasto retrocede a favore d’una descrizione delle diverse maniere e strutture fenomenologicamente dimostrabili dell’essere-nel-mondo”.
1923

Sulla fenomenologia, di Ludwig Binswanger, inaugura la psichiatria fenomenologica (Daseinanalyse, letteralmente analisi dell’esserci, tradotta da Cargnello con antropoanalisi e, successivamente, con analisi della presenza). La traduzione psichiatrica di Husserl e Heidegger, fenomenologia ed esistenzialismo (termine, quest’ultimo, ricusato sia da Heidegger sia da Sartre) non è comunque intesa, nella prospettiva abbracciata da Binswanger, come metodo terapeutico. Suo scopo è la comprensione dell’umano insieme alla ricomposizione di quella frattura anima-corpo/soggetto-oggetto, consumatasi in Platone e successori e, in particolare, istituita, da Descartes, tra res cogitans e res extensa. Frattura epocale, secondo alcuni, o anche, frattura che va intesa/intenzionata quale modo, uno dei modi, di raccontare l’uomo. Se Descartes è insuperabile, anche la frattura lo è. Lo stesso dicasi, ovviamente, di Freud.
1928

Heidegger contatta epistolarmente Binswanger chiedendogli di contribuire alla celebrazione del settantesimo compleanno di Husserl. Il quale ultimo nel frattempo tiene conferenze in Olanda sulla psicologia fenomenologica.
1929

Heidegger e Binswanger s’incontrano, per la prima volta, a Francoforte.
1933

Il tempo vissuto, di Minkowski. Analogamente a quanto fa Binswanger nel sostenere il punto di vista ontico (clinico e psicopatologico cioè) a dispetto delle critiche di Heidegger, anche Minkowski sostiene che lo psichiatra utilizza la filosofia rimanendo in contatto col malato al riparo dalla filosofia pura.
1946

In seguito a un crollo fisico e psicologico Heidegger entra in trattamento, per un breve periodo, col barone Victor von Gebsattel, che appartiene alla scuola di Binswanger.
1949

Pubblicazione dell’articolo di Binswanger L’importanza dell’analitica esistenziale di Martin Heidegger per l’autocomprensione della psichiatria. Per autocomprensione della psichiatria Binswanger intende “la coscienza della psichiatria per la propria essenza di scienza, ovvero il suo tentativo di comprendere se stessa in quanto scienza”. I testi heideggerriani di riferimento sono Essere e tempo (1927) e L’essenza del fondamento (1929).
1954

Pubblicazione de Il sogno, il primo testo pubblicato di Foucault, originariamente un’introduzione al più breve testo di Binswanger Sogno ed esistenza (1930). Freud, e con lui la psicoanalisi, fallisce là dove non sa far parlare le immagini e sottovaluta la soggettività onirica, il soggetto del sogno. Di qui la rilettura, Freud-rovesciante, del secondo dei due sogni che compongono il caso clinico di Dora.
1957

Foucault partecipa alla traduzione in francese de Il caso Suzanne Urban. Storia di una schizofrenia di Binswanger.
1958

La psichiatria e psicoterapia esistenziale fanno il loro ingresso negli Stati Uniti. Rollo May, in collaborazione con Henri Ellenberger e Joseph Angel, pubblica Existence. Per questa via Binswanger, Minkowski e Boss accedono alla scena psicoterapeutica americana.
1959

Esce L’Io diviso, di Ronald David Laing, iniziatore con Cooper dell’antipsichiatria. I primi due capitoli trattano dei fondamenti fenomenologico-esistenziali per una scienza delle persone e per la comprensione della psicosi. La nota che conclude il secondo capitolo recita: “La schizofrenia non può essere compresa senza una comprensione della disperazione” e rimanda a Kierkegaard e Binswanger. Il titolo del terzo capitolo suona “Insicurezza ontologica”. Nella prefazione Laing precisa comunque che il suo studio non è un’applicazione diretta di una “qualsiasi filosofia esistenziale” e che diverge per molti importanti aspetti dall’opera di Kierkegaard, Jaspers, Heidegger, Sartre, Binswanger e Tillich.

A Cincinnati, in occasione del convegno annuale dell’Associazione di Psicologia Americana, ha luogo un simposio di Psicologia Esistenziale. I contributi presentati da vari autori, tra i quali Rollo May, Abraham Maslow e Carl Rogers, sono pubblicati dieci anni dopo, a cura di Rollo May, col titolo di Psicologia Esistenziale. Si tratta qui di una versione della Psicologia Umanistica. Si parla anche di Ontopsicologia (Sutich). Rollo May individua le fonti della psicologia esistenziale in William James, definito protoesistenzialista, nello psichiatra esistenziale Binswanger e, ancora, in Pascal, Kierkegaard, Buber, Sartre, oltre che nel Buddismo Zen. A sua volta Maslow riconosce il debito della terza forza nei confronti dei fenomenologi europei. I quali, scrive, “possono insegnarci di nuovo che la via migliore per capire un altro essere umano … è quella di penetrare la sua Weltanschauung ed essere in grado di vedere il suo mondo attraverso i suoi occhi”.
1960

Pubblicazione di Melanconia e mania. Studi fenomenologici di Binswanger. “Il termine fenomenologico applicato qui alla comprensione scientifica delle malattie mentali melanconia e mania” scrive l’autore nella Prefazione “sta ad indicare che non si tratta di studi clinici, ma di contributi alla metodologia psichiatrica. Ciò presuppone anche che non si consideri tale termine nel senso della fenomenologia descrittiva delle manifestazioni soggettive della vita psichica, qual è, per esempio, quella della psicopatologia di Jaspers, bensì nel significato ben diverso della fenomenologia pura e trascendentale di Husserl”.
1964

Scrive James Hillman, futuro fondatore della psicologia archetipica, ne Il suicidio e l’anima: “Filosofia e psicologia si ricongiungono per mezzo della morte. Freud e Jung, Sartre e Heidegger hanno posto la morte al centro della loro opera … Ciò che dà ad Heidegger – questo uomo non-psicologico – la sua influenza sulla psicoterapia è una intuizione cruciale. Egli conferma Freud ponendo la morte al centro dell’esistenza. E l’analista non può procedere senza una filosofia della morte”. Nell’essere verso la morte di Heidegger, tuttavia, (il per – essere per la morte – non rende a dovere lo zum dell’originale) non si tratta, non si tratta soltanto di una filosofia della morte, di una meditatio mortis, di un pensare la morte. Il setting analitico è il luogo in cui c’è un farsi della morte. Ragione per la quale sembra opportuno parlare di un fare analisi piuttosto che di psicoanalisi, psicologia analitica, psicologia esistenziale e simili. In altri termini l’analista non può procedere senza una àskesis della morte. Il passaggio dal divano alla relazione frontale ha a che vedere, insomma, con un portare, trasferire la propria morte davanti al volto di un altro. Un modo, questo, fondante, di concepire il transfert. L’assunto di Binswanger secondo cui il suicidio costituirebbe la decisione più libera di cui è capace di avvalersi il Dasein (l’esserci di Heidegger), andrebbe allora ridefinita come segue: la decisione più libera di cui il Dasein è capace di avvalersi è morire al cospetto di un altro e accogliere il suo morire davanti a sé.
1975

Nel capitolo quinto di Ho sognato la scorsa notte… Medard Boss mette in discussione l’adesione formale di Sartre e Binswanger al Dasein di Heidegger. I due, in realtà, si atterrebbero, secondo Boss, al soggettivismo cartesiano. Anche questo, oramai è chiaro, è un refrain, l’antiDescartesrefrain. Heidegger lo fa risuonare non meno di Freud. Ambedue, dunque, ne hanno goduto. Duello e racconto non sono forse questo: una forma, anzi, la forma per eccellenza del godere? Una risposta all’afanisi.
1981

L’8 febbraio Medard Boss tiene a Friburgo una lezione su Il significato di Martin Heidegger per il lavoro con persone sofferenti e per l’autocomprensione della psicoterapia. L’esordio, obbligato, è da Binswanger o, meglio, dai guai che Binswanger avrebbe combinato. L’abbiamo già visto. Ha frainteso del tutto, Binswanger, il termine “cura” da Heidegger inteso ontologicamente “quale caratterizzazione dell’intera costituzione fondamentale dell’uomo” e da Binswanger onticizzato. Binswanger, sostiene Boss, impiegò quel termine “per designare un modo singolo, puramente ontico, di eseguimento della cura, cioè quello del commercio afflitto e tetro con le cose. A causa di questo fraintendimento, Binswanger aveva infatti poi creduto di dover integrare la ‘cura’ heideggerriana con un saggio sull’amore”. Heidegger, nel corso dei seminari di Zollikon, aveva più volte fatto riferimento al “completo fraintendimento” del suo pensiero da parte di Binswanger.
1997

Riproducendo l’altro, imperante, refrain impiegato dagli psicoterapeuti esistenziali Emmy van Deurzen-Smith sostiene che Laing ha confuso l’ontico e l’ontologico. Boss, come abbiamo visto, lo aveva fatto con Binswanger. Ogni filosofo potrebbe farlo o lo fa con ogni psicologo, psicoterapeuta. Questo fare, tuttavia, come s’è detto, non può ritenersi un’ultima mossa. Lo è dal punto di vista del numero uno (il monismo di Freud?). Una volta guadagnato l’accesso alla relazione, al numero due, al setting in cui il due invita il tre (il terzo stato) perché c’è un quarto, un sant’uomo, un sintomo (la morte, insomma), la presunta ultima mossa naufraga nell’origineadesso, ovvero nel nulla, che se ne sta tutto aperto e tutto fertile, della coscienza (anche assopita, anche oscurata, come diceva Husserl). Tutto aperto e tutto fertile mentre là fuori, cioè beato nella propria trascendenza, l’Io innanzitutto e per lo più le volta le spalle.

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Giorgio Antonelli