Adattato da: Giorgio Antonelli, Il mare di Ferenczi. La storia, il pensiero, la vita di un maestro della psicoanalisi, Roma, Di Renzo Editore, 1996
Le considerazioni svolte da Jones sugli ultimi anni di Ferenczi suscitano le proteste degli amici di Ferenczi Nell’ottobre del 1958 il medico che lo aveva avuto in cura, Lajos Levy, scrisse a Robert Waelder di non aver mai riscontrato in Ferenczi alcun segno di manifestazione paranoide. Il mese precedente lo stesso Lajos Levy aveva ipotizzato, in una lettera inviata ad Anna Freud, che Jones potesse aver male interpretato la nota acclusa da Gizella all’ultima lettera che Ferenczi aveva scritto a Freud il 3 maggio 1933. Nella sua nota Gizella aveva comunicato a Freud che le poche righe scritte da Ferenczi a letto gli avrebbero mostrato come Ferenczi fosse ancora lontano dall’essere se stesso. Vale la pena di citare per esteso quello che Jones scrive subito dopo aver citato l’ultima lettera di Ferenczi a Freud. “Negli ultimi mesi la malattia mentale aveva fatto rapidi progressi: riferì che una sua paziente americana, alla quale era solito dedicare 4 o 5 ore al giorno, lo aveva analizzato e curato di tutti i suoi disturbi mandandogli dei messaggi attraverso l’Atlantico – Ferenczi aveva sempre creduto fermamente nella telepatia. Poi vennero i deliri sulla supposta ostilità di Freud. Verso la fine si verificarono delle violente crisi paranoidi ed anche omicide, alle quali seguì una morte improvvisa il 24 [sic!] maggio”. Poco prima Jones si era riferito all’esacerbarsi delle “latenti tendenze psicotiche” di Ferenczi e aveva bollato come “leggenda” quella sostenuta da Izette de Forest e Clara Thompson di una “inimicizia” di Freud nei confronti di Ferenczi. Jones arriva a sostenere che probabilmente è stato lo stesso Ferenczi “nel suo delirante stato finale” a credere a tali dicerie e a contribuire alla loro diffusione. L’atteggiamento di Freud nei confronti di Ferenczi, secondo Jones, è stato ben diverso. Di fronte al ritirarsi in se stesso dell’amico, scrive Jones, Freud provò tristezza e rimpianto “mentre il suo atteggiamento verso quelli che egli e tutti noi consideravamo gli errori regressivi di Ferenczi fu quello di un amico che, finché è stato possibile sperarlo, ha fatto di tutto per salvarlo da tali errori”.
Vale la pena di citare qui di seguito alcuni brani di Jones, tratti dal terzo libro della sua biografia di Freud, relativi alla presunta follia di Ferenczi. Nel 2° capitolo Jones accomuna nello stesso discorso di degenerazione mentale Rank (col quale non è mai riuscito ad andare d’accordo) e Ferenczi: “Rank in modo drammatico, come racconteremo, e Ferenczi in modo più graduale verso la fine della sua vita, svilupparono delle manifestazioni psicotiche che si estrinsecarono, tra l’altro, in un allontanamento da Freud e dalle sue dottrine. Germinò finalmente il seme di una psicosi demolitrice, rimasto per tanto tempo invisibile”. Nel passo è da notare la quasi equivalenza tra degenerazione mentale e allontanamento da Freud. Il secondo brano si riferisce al ritorno di Ferenczi dagli Stati Uniti dopo un prolungato soggiorno (1926-7). Scrive Jones nel quarto capitolo della sua biografia di Freud: “Dopo il viaggio Ferenczi non fu lo stesso uomo, sebbene dovessero passare ancora 5 o 6 anni prima che Freud si accorgesse del suo decadimento mentale”. Più avanti, nello stesso capitolo, si trova scritto “in marzo il male, come accade talvolta, attaccò il midollo e il cervello e negli ultimi due mesi di vita Ferenczi non poté né reggersi né camminare: questo esacerbò senz’altro le sue latenti tendenze psicotiche”. Subito dopo si fa riferimento al suo (di Ferenczi) “stato delirante finale”. Quando Balint chiese a Jones di nominare la fonte delle sue affermazioni, così scrive l’illustre allievo di Ferenczi nell’introduzione al Diario, Jones si rifiutò di dargli “qualsiasi precisazione all’infuori di quella che si trattava di una persona che era stata vicina a Ferenczi nell’ultimo periodo della sua vita.” Persona che però Jones non chiama per nome. Dobbiamo forse pensare a Gizella? A Elma? A Clara Thompson? Balint scrive l’introduzione nel 1969 e dà ad intendere nella parte finale che l’atmosfera ingeneratasi all’indomani della pubblicazione della biografia jonesiana di Freud non era quella più adatta all’uscita del Diario.
Subito dopo aver letto il terzo volume della biografia di Freud redatta da Jones, Erich Fromm invia una lettera indignata a Norman Cousins, editore di The Saturday Review. In essa Fromm denuncia lo spirito staliniano con cui Jones dichiara i dissidenti Rank e Ferenczi non sani di mente. Tutto ciò dimostra fino a che punto la psicoanalisi si sia trasformata in una organizzazione totalitaria. Fromm scrive anche del suo forte desiderio di redigere un articolo sull’intera questione . L’articolo, come vedremo, verrà pubblicato l’anno successivo.
In una lettera inviata ad Alexander Magoun in data 28 novembre (una copia della quale Izette de Forest trasmetterà a Fromm) Jones si difende dalle accuse mossegli contro dal suo interlocutore, che l’aveva criticato per il trattamento riservato a Ferenczi. Che egli abbia attaccato Ferenczi, Jones ritiene sia assurdo sostenerlo. I suoi critici non hanno il coraggio di guardare in faccia la verità. Segue qui una osservazione molto interessante. Come sappiamo Jones ha avuto modo di leggere l’intera corrispondenza tenuta da Freud e Ferenczi. Ebbene è proprio tale corrispondenza, secondo quanto afferma Jones, a riflettere l’instabilità di un uomo che egli dichiara di aver sempre apprezzato. Nel caso fosse attaccato pubblicamente, scrive Jones, allora si vedrebbe costretto a produrre prove fino ad allora dissimulate nell’interesse di Ferenczi .
La biografia di Jones risulta tendenziosa nei confronti di Ferenczi anche per altri motivi. Ne cito uno a titolo di esempio. Sappiamo della lettera di Freud nella quale viene rimproverata a Ferenczi la “tecnica del bacio”. Freud, va detto, era stato più che pronto a credere a Clara Thompson che affermava di poter baciare papà Ferenczi ogni volta che lo voleva. E sappiamo anche un perché di tale prontezza (l’affare Elma). Ebbene la lettera di Freud, incriminante quante altre mai nel contesto del milieu psicoanalitico, viene riportata da Jones. Ma della risposta di Ferenczi che a suo modo fa giustizia della questione, ovvero ridimensiona l’episodio incriminato, non c’è traccia nel resoconto del biografo di Freud. Dobbiamo concludere che quella risposta Jones, cui era noto l’intero epistolario Freud-Ferenczi, l’abbia deliberatamente (politicamente) omessa.
Roazen sulla rivalità Jones-Ferenczi
In Freud and his Followers, pubblicato da Paul Roazen nel 1975, figurano due capitoli dedicati a Ferenczi, uno alla sua rivalità con Jones (ovvero, meglio, alla rivalità che Jones nutriva nei suoi riguardi) e l’altro alla sua tecnica e alla sua figura di “vittima storica”. Roazen è d’accordo con James Strachey e Edward Glover nell’asserire che Jones non ha mai perdonato a Ferenczi di essere stato il suo analista. Il che suona perfettamente plausibile. Oltre a ciò, secondo Roazen, esistono altri due elementi che vanno a ingrossare le ragioni del risentimento jonesiano: la maggiore vicinanza di Ferenczi a Freud (motivo che ha coinvolto anche Rank) e il fatto che Freud abbia analizzato Ferenczi e non Jones. Quanto alla qualifica di “vittima storica”, essa deriva più o meno letteralmente dalla disamina della questione operata da Fromm. Ferenczi, come Paul Federn, era un ribelle segreto che non poteva permettersi di saperlo. Questa era anche la tesi di Clara Thompson. Roazen ritiene che analogamente Jones avesse spostato suoi suoi colleghi l’ostilità che aveva per Freud.