Anna Freud, Ferenczi e l’identificazione con l’aggressore

Adattato da: Giorgio Antonelli, Il mare di Ferenczi. La storia, il pensiero, la vita di un maestro della psicoanalisi, Roma, Di Renzo Editore, 1996.

Viene pubblicato, nel 1936, L’Io e i meccanismi di difesa, di Anna Freud. Nel nono capitolo l’autrice parla di “identificazione con l’aggressore”. L’espressione italiana traduce quella, originale, tedesca “Identifizierung mit dem Angreifer”. Freud non aveva mai impiegato questa espressione, per quanto ne avesse descritto il concetto. In effetti Anna Freud non manca di citare il testo del padre in cui tale meccanismo viene preso in esame, Al di là del principio di piacere. Anna Freud fa anche riferimento al caso di uno scolaro di scuola elementare di cui s’era occupato August Aichorn, per introdurre la sua disamina del meccanismo di difesa. Sorprende, ovviamente, che non sia citato Ferenczi. Ovvero, alla luce del trattamento riservato allo psicoanalista ungherese dall’ambiente psicoanalitico negli anni che ne seguirono la morte, trattamento che stiamo lentamente verificando, la mancata citazione non sorprende affatto, rientra, per così dire, nella norma. Ritengo comunque che valga la pena di riesaminare la questione, e ciò a partire dalla recensione che al testo di Anna Freud scrisse Ernst Kris e che apparve, unitamente alle recensioni di Fenichel e Jones, nel n. 19 dell’International Journal of Psycho-Analysis, due anni dopo la pubblicazione della monografia.

Mentre né Fenichel né Jones citano il nome di Ferenczi, Kris lo fa in una nota a pié di pagina (Kris 1938, 286, nota n. 4) nella quale sostiene che, sebbene anche Ferenczi, nel suo contributo sulla “Confusione delle lingue”, apparso tre anni prima che fosse pubblicata la monografia di Anna Freud, abbia parlato di “identificazione di colui che minaccia o aggredisce”, è nondimeno vero che egli “descriveva qualcosa di completamente diverso, e cioè la reazione del bambino a una situazione traumatica specifica”. Si tratterebbe dunque, semplicemente, come la chiama Kris, di una “coincidenza terminologica’“. A conforto della propria tesi Kris cita direttamente dal testo di Ferenczi sulla confusione delle lingue il seguente passo: “La personalità ancora debolmente sviluppata [del bambino] risponde al dispiacere improvviso, anziché con processi di difesa, con l’identificazione per paura e l’introiezione di colui che minaccia o aggredisce.” La terminologia impiegata da Ferenczi nel contributo del 1933 è “Identifizierung des Angreifers”, “Introjektion des Angreifers” e, ancora, nel passo appena citato, “Identifizierung und Introjektion des Bedrohenden oder Angreifenden” (BIII, 519, 520). Nella nota di Kris sembrerebbe che la differenza tra la nozione ferencziana e quella annafreudiana sia confermata dal fatto che Ferenczi nega alla nozione di “identificazione/introiezione dell’aggressore” lo statuto di processo difensivo. La nozione di Anna Freud, inoltre, copre un’area più estesa di quella specificamente attinente alla patologia.

Analoghe considerazioni compariranno, trentuno anni dopo, nell’Enciclopedia della psicoanalisi di Laplanche e Pontalis. Specifico del contesto esaminato da Ferenczi è che “l’aggressione prospettata è l’attentato sessuale dell’adulto, immerso in un mondo di passioni e di colpe, sul bambino supposto innocente” (Laplanche-Pontalis 1967, 219). Per Ferenczi si tratterebbe allora di una sottomissione alla volontà dell’aggressore (adulto) e di una introiezione del suo senso di colpa tale da provocare un profondo cambiamento della personalità. Anna Freud insiste invece sul fatto che tramite tale meccanismo di difesa il soggetto minacciato diventa minacciante introiettando l’aggressività dell’aggressore e la sua supposta potenza. L’identificazione con l’aggressore costituirebbe, in altri termini, un prodromo del Super-Io in una fase di sviluppo nella quale l’aggressione è rivolta all’esterno e non ancora al proprio interno (sotto forme di autoaccuse, rimproveri, critiche etc.).

Anna Freud affronta inoltre il discorso sull’identificazione con l’aggressore sia in contesto di “normalità” (“In questa identificazione con l’aggressore possiamo riconoscere uno stadio piuttosto comune nello sviluppo normale del Super-Io”) sia in un contesto patologico (“L’identificazione con l’aggressore rappresenta da un lato una fase preliminare nell’evoluzione del Super-Io e, dall’altro, una fase intermedia nella formazione degli stati paranoicali”). Il lessico che impiega e il suo modo di procedere comunque richiamano Ferenczi. Scrive ad esempio che “il bambino introietta alcuni dei caratteri dell’oggetto ansiogeno assimilando così un’esperienza angosciante appena provata” e, più oltre, definisce tale esperienza “traumatica”. Soprattutto mi sembra vicina a Ferenczi là dove definisce l’“identificazione con l’aggressore” una “combinazione particolare fra introiezione e proiezione”.

In definitiva la differenza tra le due concezioni sta nel fatto che Anna Freud estende il concetto di “identificazione con l’aggressore” al contesto della normalità, laddove per Ferenczi esso sembra attenere all’area della patologia. È anche vero però che, in occasione di una conferenza tenuta a Londra il 13 giugno 1927, pubblicata col titolo “L’adattamento della famiglia al bambino”, Ferenczi traccia una serie di connessioni tra sviluppo della coscienza morale, ovvero del Super-Io, e identificazione che richiamano da vicino le posizioni successivamente esplicitate da Anna Freud. Afferma in quell’occasione Ferenczi: “Attraverso la stessa via si sviluppa la coscienza: prima, cioè, si ha paura della punizione, dopo ci s’identifica con l’autorità che infligge la punizione; ed è allora che il padre e la madre reali possono perdere l’importanza che avevano per il bambino, tanto, dentro di lui, si sono ormai costituiti una sorta di padre e di madre interni. Si è costituito insomma ciò che Freud chiama il Super-Io” (1928a, 290).

Che comunque Ferenczi propenda nettamente a collocare il concetto di identificazione con l’aggressore nell’area della patologia lo si può comprendere bene dall’annotazione del 34 agosto 1930 dove la questione è legata a quella del “piacere della passività” e della “sottomissione masochistica”. In quell’occasione Ferenczi impiega l’espressione “identificazione fantastica con il distruttore” (“phantastische Identifizierung mit dem Zerstörer”). Nella nota del 2 Aprile 1931, in una sezione significativamente intitolata “Aforismi sul tema ‘essere morto-essere donna’“ Ferenczi impiega l’espressione “identificazione fantastica con l’aggressore”. È nel Diario, al giorno 27 luglio, che Ferenczi usa l’espressione, poi diventata canonica con Anna Freud, “Identifizierung mit dem Angreifer”. Più oltre, nella redazione relativa al 7 agosto 1932, si trova anche l’espressione “Identifizierung mit dem Aggressor”. Il Diario conosce delle variazioni sul tema. Ferenczi parla infatti anche di “identificazione con gli oggetti del terrore” (nell’annotazione del 14 agosto) e “identificazione da paura con l’aggressore” (in quella del 17 agosto).

Mi sembra chiaro che la nozione di “identificazione con l’aggressore” appartenga a Ferenczi ed è estremamente probabile che Anna Freud l’abbia ripresa da lui (non dal Diario, ovviamente), estendendone in seguito la portata. Quanto afferma a riguardo Elizabeth Young-Bruehl, biografa di Anna Freud, e cioè che l’identificazione con l’aggressore è il meccanismo di difesa per il quale non esisteva letteratura, fa torto a Ferenczi. Perché, non considerando le note, i frammenti e il Diario, tutti contributi che non facevano parte allora della letteratura psicoanalitica (se non in forma di possibili comunicazioni personali di Ferenczi), il concetto figura in modo netto (fatte salve le dovute differenze) nel testo sulla confusione delle lingue e, ancor prima, nella conferenza londinese del 1927. Nella parte dedicata dalla biografa alla disamina del concetto in questione il nome di Ferenczi non figura nemmeno una volta, mentre figura in numerosi luoghi del libro e in riferimento a circostanze talvolta meno importanti, almeno da un punto di vista teorico, di questa. Ci si deve allora interrogare sul perché, anche fatte salve tutte le differenze invocate da Kris, Ferenczi non venga citato nel nono capitolo de L’Io e i meccanismi di difesa. Ciò va spiegato forse in relazione al modo in cui Anna Freud ha vissuto i rapporti intercorsi tra il padre e Ferenczi e al generale clima di ostracismo nei confronti dello psicoanalista ungherese che caratterizza gli ultimi anni della sua vita e, a maggior ragione, gli anni immediatamente successivi alla sua morte. Si aggiungano a ciò i rapporti tra Freud, Anna Freud e Jones e si avrà un quadro meglio orientato della situazione.

Un indizio interessante dell’atteggiamento di Anna Freud nei confronti di Ferenczi concerne la pubblicazione dell’epistolario Freud-Ferenczi. E’ probabile che si debba all’influenza di Anna Freud sul mondo psicoanalitico l’impasse editoriale, oltre che dell’epistolario, anche del Diario. Roazen sostiene che Anna Freud non perdonò mai Ferenczi a causa del suo contrasto con il padre. Il che ci fa forse intravedere un retroscena di profonda tristezza e forse anche di risentimento di Freud in seguito alla perdita del discepolo e amico di un tempo. Un altro episodio getta una luce ambigua sull’atteggiamento di Anna Freud nei confronti di Ferenczi. Si tratta del necrologio scritto in onore di Ferenczi da Rado. Con troppo calore, ebbe a lamentarsi Anna Freud con Rado. È anche vero che Anna Freud aveva in alta stima Ferenczi, come tra l’altro sembra testimoniare una lettera, su cui tornerò, inviata a Balint in data 23 maggio 1935. Il quadro è piuttosto complesso ed è anche possibile che Anna Freud non abbia citato Ferenczi prevedendo le reazioni che tale citazione avrebbe potuto suscitare nel padre. Comunque stiano le cose mi sembra che la mancata citazione di Ferenczi da parte di Anna Freud non abbia a che vedere con motivazioni d’ordine scientifico (quali quelle addotte da Kris, ad esempio, e riprese da Laplanche e Pontalis), ma con ragioni d’ordine personale e, forse, anche di politica della psicoanalisi.

D’ordine personale e, anche, intimo. La Young-Bruehl fa un tentativo di rintracciare le origini biografiche del concetto di identificazione con l’aggressore. Anna Freud, stando alle sue affermazioni, sarebbe arrivata alla formulazione del concetto in questione riflettendo su se stessa, in altri termini attraverso un esercizio di autoanalisi. Ciò a partire dall’esame di una lettera inviata ad Eva Rosenfeld (datata semplicemente 1930), nella quale Anna Freud, in riferimento alla fine dell’amicizia con Max Eitingon (il quale, sembra, aveva inutilmente tentato di fare in modo che Anna Freud si allontanasse dal padre), racconta di come, da bambina, andava sempre a cercarsi compagnie che poi la rifiutavano. Da bambina, continua la biografa, Anna Freud si era identificata con più di un aggressore. Non in forma proiettiva (diventando ad esempio intollerante), ma in forma introiettiva (assumendo su di sé le critiche altrui e trasformandole in autocritiche). Procedimento, come si può vedere, perfettamente in linea con il dettato ferencziano. Anna Freud tendeva a diventare estremamente aggressiva con se stessa e aveva una grande difficoltà a proiettare all’esterno la propria aggressività. Il sogno in cui uccide la cuoca Anna, staccandole la testa e facendola a pezzi senza provare il minimo senso di colpa, starebbe a dimostrarlo. La sognatrice si sarebbe identificata con l’aggressione e poi l’avrebbe rivoltata contro se stessa (la cuoca Anna = Anna Freud).

Il discorso non muta di segno se ci si sposta dal contesto familiare a quello psicoanalitico. Con il “suo” meccanismo di difesa Anna Freud avrebbe, secondo Young-Bruehl, anticipato l’aggressione (in forma di rifiuto, di critica) dei rappresentanti della Società psicoanalitica di Vienna. Sappiamo, in effetti, dei commenti poco favorevoli e, talora, irridenti pronunciati nei suoi confronti da illustri psicoanalisti come Hitschmann e Fenichel. Hitschmann, in particolare, famoso nell’ambiente per il suo gusto della battuta mordace, allorché Anna entrò a pieno titolo a far parte della Società psicoanalitica di Vienna, ebbe modo di osservare che dalla sedia da lei ora occupata Freud aveva insegnato le pulsioni e che, ora, di lì Anna Freud insegnava le difese. L’allusione, ovviamente, era all’ascetismo, diciamo anche alla carente vita sessuale di Anna. E si potrebbe dire, a tale riguardo, che il vero aggressore di Anna sia stato il padre, Freud, che le aveva imposto il proprio desiderio.

In considerazione di quanto precede, è davvero singolare che, in un suo saggio del 1940, Identificazione col nemico e perdita del senso del Sé, Clara Thompson, l’illustre allieva di Ferenczi, non faccia alcuna menzione del nome del suo analista, mentre si premura di far figurare il nome di Anna Freud e quello del suo libro sui meccanismi di difesa. È singolare per una somma di motivi che, certamente, possono anche essere spiegati con l’ignoranza della Thompson sulla questione specifica. Non c’è modo forse di dimostrarlo. La singolarità della mancata citazione, qualsiasi siano i moventi e le cause, sta nella confidenza che un giorno Ferenczi, in seduta analitica, sentì di fare alla Thompson allorché costei lo rimproverò di disinteressarsi dei propri allievi non appena coglieva in loro “un primo segno di adattamento o di sottomissione non totali”. Al che Ferenczi replicò, pur dandole ragione, che gli allievi si appropriavano delle sue idee senza citarlo.

Si dice che il tempo sia un galantuomo. Lo è ad esempio restituendo il mal tolto, stemperando conflitti e rancori, ricucendo ferite. Il tempo, che per i lacaniani fa sintomo, ci offre l’opportunità di dare, ridare, riparare. E forse non importa tanto se si tratta, in questo dare/ridare/riparare, di sintomo. Nel periodo di un anno compreso tra il 1972 e il 1973 alla Hampstead Clinic di Londra Joseph Sandler ha modo di riprendere in esame, insieme ad Anna Freud, il testo del 1936 sui meccanismi di difesa. Si tratta per lo più di conversazioni aperte a un pubblico di operatori nella clinica, studenti e visitatori, registrate e pubblicate, a partire dal 1980, in The Bulletin of the Hampstead Clinic. Tali conversazioni, riviste per la nuova pubblicazione, sono state edite nel 1985. Fedele alla falsariga dell’originale annafreudiano, anche qui si fa questione dell’identificazione con l’aggressore nel capitolo nono. Si tratta di circa cinquanta pagine dedicate all’argomento. Un’opportunità di rivedere la questione del possibile debito nei confronti di Ferenczi o, comunque, di riconoscergli il dovuto. Niente di tutto questo. Nelle conversazioni di Hampstead, capitolo nono, il nome di Ferenczi (che pure figura due volte in altri luoghi del libro) non viene fatto neanche una volta. L’omissione si ripete ancora in occasione di un intervento presentato all’“Anna Freud Memorial Lecture” a Vienna il 14 novembre 1986. L’intervento in questione, di Harold Blum, reca il significativo (e, aggiungerei, alquanto ferencziano) titolo “Il ruolo dell’identificazione nella risoluzione del trauma”. Blum esordisce con la seguente affermazione: “Il concetto di identificazione con l’aggressore fu formulato da Anna Freud in un capitolo del suo classico L’Io e i meccanismi di difesa”. Anche Blum, però, continua senza menzionare Ferenczi.

In qualche modo, però, la presenza dello psicoanalista ungherese si fa sentire in una interrogazione retorica di Anna Freud intesa a definire in modo sintetico il Super-Io. Si chiede dunque Anna Freud: “Cos’altro è il Super-Io se non l’identificazione con l’aggressore?” Ora, nella conferenza londinese Ferenczi non aveva affermato la stessa cosa? Sono passati oltre trentasei anni dalla pubblicazione del libro di Anna Freud. Se di Ferenczi non c’è ancora traccia, allora è proprio vero che il tempo fa sintomo.

Ma c’è ancora dell’altro. Nella lista dei meccanismi di difesa fornita da Anna Freud nel suo libro, ad esempio nella sezione dedicata alla loro classificazione cronologica, Anna Freud omette di citare lo spostamento e l’identificazione con l’aggressore. A chi le domandava, in occasione delle conversazioni alla Hampstead Clinic, perché avesse omesso di menzionare l’identificazione con l’aggressore Anna Freud rispose con una professione di modestia. Disse di aver pensato soltanto ai meccanismi di difesa riconosciuti, canonici e che non se l’era sentita, per ritegno, per modestia, di includere questo “nuovo” meccanismo. Non aveva ritenuto che fosse giunto il momento di farlo. Perché? Anna Freud non lo disse neanche in quell’occasione. Forse non c’era un vero perché? Ne dubito. La conversazione, comunque, scivolò via su altri, sempre psicoanalitici, binari.

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Giorgio Antonelli