Sacerdote cattolico, teologo e psicoterapeuta. Applica gli strumenti messi a disposizione dalla psicologia del profondo alla esegesi vetero e neotestamentaria, giungendo a esiti controversi e suscitando numerose e accese polemiche in ambito clericale, al punto di meritarsi l’appellativo di “Galilei della Westfalia” e attirandosi, tra le altre, le accuse di gnosticismo e di sincretismo.
A quest’ultimo proposito va detto che il programma drewermanniano consiste in una rimitizzazione, ovvero in un recupero del patrimonio mitico-simbolico non soltanto cristiano (ma anche, ad esempio egiziano), dal momento che non è possibile pensare che Dio si riveli esclusivamente nella religione giudaico-cristiana. Il mito è il linguaggio con cui Dio parla agli uomini…
L’incontro con l’inconscio, sostiene D., esige un radicale mutamento del modo di fare teologia e di essere religiosi. Per questo autore, che auspica una chiesa più vicina ai sogni e invita a leggere la Bibbia come fosse un libro di sogni, la teologia non è in grado di venire incontro ai bisogni profondi dell’uomo contemporaneo, né di incontrarne l’irriducibile angoscia. Il linguaggio della chiesa è lontano dall’esperienza reale, è linguaggio povero di carica immaginale e, dunque, incapace di esercitare influenza sull’anima degli uomini.
Il Dio cui pensa D. è un Dio che ha abbandonato da tempo la chiesa come luogo. Dove trovarlo, dunque? D. sostiene che l’esperienza di Dio diviene accessibile attraverso l’esperienza di sé e legge alla luce di questa mediata equivalenza il Vangelo di Marco. Si tratta di una lettura che ripropone la concezione di Meister Eckhart secondo la quale Dio parla nella scintilla dell’anima (in ciò, come in altre sue posizioni, ad esempio nella critica della Chiesa, D. appare vicinissimo a C. G. Jung).
La Chiesa, deviando dal dettato originale…, sembra aver rinunciato a guarire gli uomini. Eppure l’angoscia, e in ciò appare evidente il lascito kierkegaardiano, è il problema centrale dell’esistenza umana. S’impone dunque, per D., la necessità d’una redenzione dall’angoscia (il cui equivalente appare la giustificazione del peccatore). Tale redenzione tuttavia non avviene attraverso il volere etico, in quanto non c’è ragione pratica che possa sostenere l’urgere dell’inconscio.
La morale ha il valore d’una sintomatologia, che indica che qualcosa non va, ma non costituisce mai la soluzione profonda dei problemi dell’uomo. Occorre allora riferirsi alla psicologia del profondo (e in ciò D. ritiene che la scuola di Freud e la scuola di Jung si integrino) come a uno strumento per comprendere la sofferenza psichica e l’alienazione. Non significa, questo, che essa, come pure sosteneva O. Rank, possa sostituire il cristianesimo o, anche, costituirsi come nuova religione. Le ragioni della religione, in ultima analisi, trascendono comunque e sempre quelle della psicologia.
Le posizioni di D. (in cui sembra decadere lo specifico storico cristiano) hanno causato la revoca del mandato di insegnamento di teologia alla scuola di Paderborn.