Trascrizione dell’intervista ad Aldo Carotenuto curata da Sergio Benvenuto,
regia di Lucio Cocchia (1996)
Come nasce il sentimento nella nostra vita? Noi ormai abbiamo imparato della psicoanalisi, che il bambino vive un mondo di amore e di odio indescrivibile, sin dai primi attimi della nascita. Ed è probabile che questo amore, quest’odio, diciamo tutta la gamma dei sentimenti che noi conosciamo, derivi proprio da quella esperienza. Non è un caso che il bambino abbia dei tratti somatici che spingono alla tenerezza e probabilmente questa dimensione somatica del bambino depotenzia una possibile aggressività che gli adulti potrebbero avere nei suoi riguardi. E’ in questa fase così importante, nella quale il bambino cerca la relazione con i grandi e, naturalmente, i grandi cercano la relazione col bambino, che si sviluppano i sentimenti nei quali poi noi tutti siamo inseriti. Io ho scritto molti libri su questo argomento, anche perché in fondo il nostro lavoro si basa soprattutto sui sentimenti. Io sono giunto alla conclusione che la sofferenza umana si lega soprattutto al nostro mondo di relazioni. Noi possiamo essere felici, contenti, se sappiamo che in questo momento qualcuno pensa a noi, se sappiamo che in questo momento noi abbiamo un rapporto, una relazione con una persona che ci piace, con una persona a cui noi piacciamo. E questo ci rende felici. Ma pensate la disperazione che ci prende nel momento in cui siamo in situazioni in cui, per esempio, ci sentiamo soli. Ed è una situazione molto dura. Tra l’altro questa situazione, io penso, è quella che contraddistingue, un pochino, la vita della persona anziana. La vita della persona anziana è dura, è faticosa, perché ha sempre minori possibilità di intessere dei rapporti. Ma noi siamo fatti di rapporti e nei rapporti c’è la nostra gioia e la nostra infelicità.
Esiste tutta una letteratura intorno al linguaggio dei sentimenti. E noi a quale linguaggio vogliamo far riferimento? In genere quello più comune, quello a cui ci si riferisce, quando si parla di sentimenti, è il linguaggio emotivo, che si genera fra due persone che si vogliono bene. E’ un fatto misterioso questo, perché che cosa accade, qual è l’esperienza? L’esperienza, a un certo punto, fa sì che noi diventiamo necessari per una persona e un’altra persona diventa necessaria a noi. Allora sono quelle braccia che noi vogliamo, quelle braccia non sono intercambiabili con altre braccia. Questo perché c’è un processo attraverso il quale noi diamo un significato. E allora la persona che ci interessa, in tanto ci interessa in quanto è significativa, cioè è carica di un processo, è carica di una serie di dimensioni che sono tutte nostre, che noi adattiamo a questa persona; e allora diventa come se fosse un nostro organo. Questo è talmente vero che quando, come fatalmente spesso avviene, c’è una frattura fra me e la persona che io amo, che desidero, io ho l’impressione che mi venga strappato qualcosa. E le canzoni melodiche, le canzoni che hanno a che fare col sentimento, parlano:”tu che mi hai portato via il cuore, mi hai strappato l’anima”. Ora queste, cioè tutte queste dimensioni, che sembrano dimensioni, così, piuttosto spicciole, di poco conto, in realtà alludono a delle esperienze psicologiche molto importanti. La vita emotiva è legata a un linguaggio, che è poi significatività. Allora quel colore di occhi, quell’espressione del viso, quel colore della pelle, quel modo di muovere i capelli così, diventa per me un linguaggio che va letto e interpretato.
Durante l’analisi, per esempio, è interessante notare che alcune persone, quelle che noi comunemente definiamo “sfortunate in amore”, sono persone che non conoscono il linguaggio, non conoscono la grammatica del linguaggio. E allora che cosa succede? Che non sanno interpretare le parole, non sanno interpretare i segni. E sbagliano sempre. Naturalmente questa mancanza di capacità interpretativa ha delle ragioni psicologiche ben profonde. Ed è su queste ragioni psicologiche che fa leva il lavoro dell’analista. Io penso comunque che quest’area della nostra vita è sicuramente l’area della nostra maggiore sofferenza, perché questi sentimenti, che sono nati e che si sono, via via, elaborati dall’infanzia fino ai tempi nostri, di quanto noi siamo adulti, incontrano poi delle difficoltà, perché da parte nostra, nel momento in cui noi diamo vita a questi sentimenti, questo è il momento in cui noi, per esempio, scopriamo che cos’è l’eternità. Uno pensa, ad esempio, di amare in eterno. Naturalmente il senso dell’eternità si ha in quel momento. Ma poi noi sappiamo, per esperienza, che molte volte, più volte di quanto si pensi, molte volte i sentimenti perdono quella significatività di cui stiamo parlando, perdono quella forza interpretativa della realtà rispetto all’altra persona. E allora, il venir meno di questo non è soltanto un venir meno di questo sentimento, ma è un venir meno della vita che si è costruita intorno a questo sentimento. E sono episodi molto dolorosi, che le persone risolvono o in modo molto violento oppure possono risolvere accettando la fine di questo sentimento, vivendo quella che si dice una “vita falsa”. Sono momenti dolorosi. Sono momenti dolorosi anche per un altro motivo: che il sentimento, in fondo, permette a noi di avere quella che si chiama una “trasparenza del mondo”. Se noi vogliamo capire qualcosa, se vogliamo renderci conto di quello che succede nella nostra esistenza, sarà solo il sentimento a farcelo capire, sarà solo un amore violento, una passione, magari una gelosia, ma che ci apre degli enormi squarci sulla realtà.
L’uomo viene gettato nel mondo e deve accettare di vivere con angoscia la sua esistenza. Ora qualcuno mi potrà dire: ma perché alcuni sono presi dall’angoscia e altri no? Non è facile rispondere. Certo si può dire che forse c’è un problema di sensibilità, per il quale, per esempio, alcune persone non si fanno mai delle domande. Vivono tranquillamente una vita all’esterno, si accontentano di quello che succede, e la loro vita scorre. Nessuno può biasimare questa modalità. Ma ci sono invece poi delle persone che si fanno delle domande. E siccome a queste domande non si può mai rispondere, proprio la mancanza di risposta può generare l’angoscia. E allora l’angoscia diventa uno strumento significativo. Io punto molto su questi aspetti, perché la persona sofferente crede di essere la persona più disgraziata del mondo: in realtà quella sofferenza diventa quella spina che è nel fianco, oppure che è dietro la nuca, ci impedisce di dormire e quindi ci spinge verso la conoscenza, ci spinge a capire cose che altrimenti non avremmo mai capito. Una persona angosciata, secondo il mio punto di vista, ha un tipo di nobiltà che la persona che non conosce angoscia, non ha mai avuto né potrà mai avere. Naturalmente è un tipo di nobiltà che la persona angosciata ha e questo tipo di nobiltà ha un prezzo molto alto. Io non potrei dire se vale la pena o non vale la pena di pagarlo, però so che bisogna pagare questo prezzo. Anche perché poi, in fondo, le cose veramente importanti nella vita non vengono mai date con uno sconto, hanno sempre un prezzo.
Io penso proprio che la vita del sentimento e la vita della ragione non sono mai così l’una contro l’altro e mi meraviglio che proprio in questo periodo di tempo, ci vengono ogni tanto dei libri che parlano di intelligenza emotiva oppure che vogliono rivalutare i sentimenti rispetto all’intelligenza, ad altre cose. A me sembrano, non voglio dire delle sciocchezze, ma poco ci manca, perché la presenza del sentimento e la forza del sentimento è proprio la ragione della psicoanalisi. Cioè la violenza che noi subiamo, è quel tipo di contraddizione che noi sperimentiamo continuamente nella nostra vita e questa attiva, fa pullulare il nostro cuore di odio, di risentimento, di emozioni violentissime. E noi dobbiamo, attraverso le emozioni, cercare di comprendere e quindi dare anche un senso a queste cose. La ragione cerca il senso delle cose, ma il sentimento è quello che colora le cose. Quindi per me è veramente strano che si possano contrapporre le due cose e, se io mi dovessi incontrare nella vita con persone per le quali solo la ragione è predominante, avrei paura, perché molte volte queste persone sono cattive. Se si vanno a leggere tanti resoconti di stragi, di fatti disonesti, questi sono proprio impostati su un certo tipo di ragione. Il sentimento non c’entra niente. Ma lì dove c’è il sentimento, io mi sento molto più sicuro, perché la persona che giudica con i sentimenti è probabilmente molto più vicina alla verità e alla dimensione umana, di quanto sia la persona che giudica soltanto con la sua ragione.
C’è un autore junghiano molto importante, si chiama Neumann, il quale ha dedicato molti dei suoi studi alla creatività, alla storia psicologica della coscienza, al fenomeno del femminile nella cultura mondiale, il quale diceva che probabilmente le persone nevrotiche sono persone che, in maniera sensibile, hanno capito, magari con dieci, venti, cento anni di anticipo, le contraddizioni del mondo. E allora loro sono soli, e allora reagiscono attraverso la nevrosi a queste contraddizioni. E queste persone, se potessero essere inserite in mondi dove le contraddizioni sono state risolte, forse non sarebbero così tormentate e così malate psicologicamente. Io non so se questo però è utopistico. Noi dobbiamo riconoscere il mondo delle contraddizioni, nel quale noi siamo inseriti. Generalmente poi il discorso psicoanalitico tende a dare a te, singolo, la forza per resistere, mentre diciamo che un discorso rivoluzionario è un discorso appunto che attiene alla sociologia, attiene alla politica e allora tende, diciamo, a cambiare in forme più o meno violente una situazione che di per sé è negativa. Si pensi quando a tutte le violenze che noi abbiamo subito durante il Medioevo, si pensi a tante contraddizioni che l’umanità ha dovuto subire, prima di liberarsi da certi dei; si pensi che prima il potere era un potere che derivava direttamente da Dio, che c’erano diritti ereditari che non potevano essere mai messi in discussione. E’ chiaro che tutte queste cose fanno male. E’ chiaro che una persona sensibile, naturalmente più sensibile delle altre, ne risente molto e risentendone molto, attraverso il sintomo nevrotico, rivela la sua disperazione e nello stesso tempo rivela una necessità importante, quella di cambiare le cose. Io, personalmente, ho sempre in mente una definizione della saggezza della vita: capire se le cose possono essere cambiate e allora vanno cambiate; se le cose non possono essere cambiate, allora bisogna piegarsi a questa realtà. Soltanto che io penso che invece è difficile capire quando una cosa può essere cambiata. Però la speranza di tutti noi dovrebbe essere proprio questa, cioè che le cose possono essere cambiate.
Ci sono persone che vivono un’esistenza intera senza mai rivelare a nessuno la tempesta dei sentimenti di cui loro sono vittime. Ci sono situazioni familiari, dove lei o dove lui non fanno mai trapelare, ma neanche minimamente, quello che è il loro mondo interno, quello che amano, quello che odiano. E il silenzio dei sentimenti è più vasto di quello che si possa pensare. Noi anzi, diciamo, purtroppo siamo abituati a qualcosa di diverso, siamo abituati, per esempio, a persone che si innamorano e lo devono dire su tutti i giornali, lo devono dire anche in televisione. Ma chi crede a queste persone? Chi crede a quelle parole? Io credo molto di più al silenzio dei sentimenti. Ed allora mi vengono in mente quelle situazioni analitiche molto profonde, molto intense, così ricche di significato che non possono neanche essere descritte e che nascondono, uso questa parola, perché è proprio l’esatta parola che si dovrebbe usare, questa dimensione del sentimento che non si manifesta, ma che pure comunica. Cioè, poi il punto è questo: non c’è bisogno di dire una sola parola, ma quel sentimento ha già detto tutto. In genere io direi che queste situazioni sono sempre situazioni che si possono vivere in due. Situazioni nelle quali già, se per un attimo, io do un significato alla dimensione che vivo, già io deturpo quella situazione. E allora il silenzio dei sentimenti, il silenzio di una situazione emotiva che non viene mai fuori, diventa, in un certo senso, la matrice di una ricchezza incredibile, una ricchezza che non va comunicata verbalmente, ma va comunicata da cuore a cuore. E in quella comunicazione ci sono i misteri della vita più profondi che io conosca.
Trascrizione di Alberto Perillo, Dottore in Psicologia.