JEAN-TRISTAN RICHARD, Le strutture inconsce del segno pittorico, Pittura e psicoanalisi, surrealismo e semio-analisi – a cura di Antonella Giurgola
Jean-Tristan Richard propone già nel titolo del suo libro una linea di indagine indirizzata alla ricerca di nuovi aspetti del potere dell’arte figurativa, mettendo in rapporto psicoanalisi ed estetica ed il loro potere di evolvere in modo sempre più approfondito le modalità attraverso cui le immagini artistiche esplicano le loro funzioni.
Il libro è suddiviso in due parti.
Nella prima vengono menzionate in successione gli approcci relativi alla pittura a partire da Freud e dai suoi discepoli, di ieri e di oggi.
Nella seconda viene proposto un modello semio-analitico con richiami e riferimenti fondamentali a semiologi della pittura (soprattutto il francese Morin) sebbene questi non indagano la sintassi dei dipinti ma esplorino piuttosto le operazioni mentali e linguistiche attraverso cui il quadro viene guardato e compreso. Schefer afferma che “ciò che definisce il quadro non è la sua struttura, ma il numero e il tipo di letture che di esso se ne possono fare”.
Freud avvertì sempre una grande ammirazione verso gli artisti del suo tempo sostenendo che essi, rispetto ai comuni mortali, potessero fare un uso più appropriato delle loro fantasie.
La prospettiva aperta da Freud rispetto alla creazione di un’opera d’arte mira ad accentuare la parte fantasmatica, la scena non vista, un’opera pittorica alla stregua di un sogno: una spinta a trovare una raffigurazione psichica, una rappresentazione, una soddisfazione immaginaria inconscia frutto del doloroso passaggio dal principio di piacere al principio di realtà.
Un ricordo d’infanzia di Leonardo Da Vinci del 1910 è il contributo più importante del padre della psicoanalisi all’arte pittorica: Freud tenta una ricostruzione dell’infanzia di Leonardo Da Vinci attraverso un’analisi delle sue opere volendo semplicemente dimostrare che le spinte pulsionali, bloccate durante l’adolescenza, possano essere convertite in attività d’espressione creativa.
Non meno rilevante è l’ipotesi che l’opera, oltre ad essere il contenitore di conflitti infantili irrisolti, possa essere il tentativo di risoluzione del conflitto stesso. Seguendo quindi la sua linea teorica, ne discende che l’opera andrà oltre colui che l’ha prodotta essendo il risultato del meccanismo della Sublimazione, e cioè di portare nel livello preconscio meccanismi inconsci rendendoli comprensibili. E questa tensione mai del tutto appagabile permetterebbe di creare un compromesso tra principio di piacere e principio di realtà.
Nel 1914 viene pubblicato un secondo lavoro sul Mosè di Michelangelo, che dopo una fase di osservazione e meditazione permetterà a Freud di intuire la personalità dello scultore. Proprio questa fascinazione misteriosa portò Freud a voler scoprire da quale natura provenisse.
Qualche tempo più tardi, Freud sovrappose le immaginazioni artistiche con quelle nevrotiche: si tratterebbe per entrambe della realizzazione fantasmatica di desideri inconsci. Ma mentre i deliri, i sogni, i sintomi posseggono una componente di asocialità, le opere d’arte hanno il potere di sedurre e conquistare la simpatia dei suoi osservatori.
Ma se i sogni e i deliri vengono manifestati a qualcuno implicando una sorta di messaggio, cosa succede nel caso di quegli artisti che tengono per sé le proprie produzioni?
Freud nel corso di tutta la sua opera fece riferimento a molti altri pittori come Botticelli, Raffaello, Tiziano, Haitzmann e Rembrandt;
In Precisazioni sui due principi dell’accadere psichico egli scrisse: “L’artista è originariamente un uomo che si distacca dalla realtà giacché non riesce ad adattarsi alla rinuncia al soddisfacimento pulsionale che la realtà inizialmente esige e lascia che i suoi desideri erotici e di gloria si realizzino nella sua vita fantasmatica; egli trova però la via per ritornare dal mondo del fantasma alla realtà grazie alle sue doti particolari.”
Abraham, nel 1011, pubblicò un saggio dedicato al pittore Segantini.
Fedele all’impostazione teorica del suo maestro, Abraham concluse che le esperienze dell’artista lo portarono ad una profonda depressione che seppe comunque canalizzare in un processo di sublimazione che gli permise di utilizzare queste esperienze a suo favore.
Secondo Jung l’arte comprenderebbe non contenuti psichici individuali ma collettivi, che rimandano alla massa pur dipendendo dal subconscio del suo creatore. Così nelle tele di Pablo Picasso ( Jung collegava i fantasmi dei suoi pazienti alle tele del Pittore spagnolo) devono essere rintracciati gli archetipi della psiche: Padre, Madre, Animus Anima ecc…
Rimane la convinzione che l’attività del modellamento, che sia la pittura che l’elaborazione dei sogni permette, possano essere strumenti preziosi per dare realtà all’inconscio e quindi per il buon funzionamento della terapia.
Otto Rank considera la nevrosi come un’opera d’arte mancata, e non una malattia. La chiave della guarigione sarebbe proprio l’esplosione della capacità di creare, legata al bisogno di superare “il trauma della nascita” e non alle pulsioni.
L’autore distingue i mezzi interni e individuali, determinati da una specifica economia di affetti inconsci che permetterebbe di generare piacere, e i mezzi esterni e tecnici determinati dal lavoro del pensiero in conformità con una serie di regole estetiche.
Secondo M. Klein la capacità creativa rappresenterebbe un processo di auto-creazione, e cioè un movimento di riparazione e sublimazione prodotto dal passaggio, durante il primo anno di vita, dalla fase schizoparanoide a quella depressiva e quindi dall’oggetto parziale a quello totale e dal principio di piacere a quello di realtà.
Sulla stessa linea Hanna Segal dimostra, attraverso la sua esperienza con artisti avuti in terapia, che l’opera d’arte è la riparazione maniacale del’’oggetto fantasticamente aggredito.
La psicoanalisi di oggi, nell’incontro con la pittura, propone vari contributi.
Una menzione particolare è rivolta a Kris. Egli sostiene che la relazione tra i processi primari (condensazione e spostamento, pensiero magico, meccanismi inconsci) e secondari ( razionalizzazione della realtà, adattamento, meccanismi mentali preconsci e consci) viene ribaltata: nell’opera d’arte avrebbe luogo un controllo da parte dell’Io.
Secondo l’autore l’opera creata deve essere analizzata come un sintomo: essa implica sia un contenuto latente che uno manifesto. Mentre quello latente si attualizza nella rappresentazione, quello manifesto funge da cerniera tra l’inconscio e l’opera d’arte. La dinamica tra questi elementi mirerebbe, infine, ad ottenere un’unità creativa coerente dell’oggetto creato.
Ogni opera possiede una virtù per il suo creatore così come per lo spettatore, una virtù che possiede un parallelo con ogni seduta psicoanalitica, in ciò che in essa viene creato simultaneamente.
Ma l’arte, quale essa che sia, ci chiede per un attimo di partecipare al complesso gioco tra visibile e invisibile, presenza/assenza, proiezione/introiezione, permutazione tra realtà e illusione, quell’attimo che diviene passato e futuro, presente ed eterno.
Ciò che ancora si trasforma in immemorabile accade all’interno del segno che si anima nel momento in cui viene trasceso, ma che prima ancora è confine, una soglia che lascia udire quell’insieme di vissuti indefinibili che senza la logica del discorso non potrebbero incarnare una forma, una unità plastica della rappresentazione.
Qual è la verità? Qual è questa virtù che ci fa colludere con la nostalgia affascinante dell’arte? Strutture deliranti? Infantili? Trasgressione? Morte e piacere? Genialità e follia?
Ma così come ogni teoria psicoanalitica dell’arte non si limita al solo tentativo di comprendere e mettere a fuoco i dettagli, così anche per l’0pera d’arte ciò che coinvolge, affascina e stupisce, è che ognuno ha il potere di vedere ciò che un altro non potrebbe vedere. L’esperienza estetica non può essere riassunta da una spiegazione di senso delle figure e delle impressioni (significati); disgelare i significanti unitari, però, non può prescindere dall’applicazione delle intuizioni letterarie. Questo permetterebbe l’incontro tra unità discorsive della rappresentazione le unità plastiche della figurazione.