William Wordsworth, Poesie (1798-1807), a cura di Angelo Righetti, Milano, Mursia, 1997
“Il bambino è padre dell’uomo”
Cosa può insegnare Wordsworth agli psicologi del profondo?
Il bambino è padre dell’uomo. Il famoso verso di Wordsworth lo conoscono Freud e Lacan. Di Wordsworth, né tantomeno degli altri romantici inglesi, Jung al contrario non fa menzione. Eppure il padre del romanticismo inglese ha molto da insegnare agli psicologi del profondo. Ha da insegnare il, dare segni del profondo, appunto. La sua autobiografia The Prelude (pubblicata in traduzione italiana da Mondadori) è forse il primo testo in Inghilterra o, comunque, uno dei primi di quel paese a esibire il termine “inconscio”. E non importa che sia stata pubblicata postuma. Quando Coleridge l’ascoltò recitare dal suo amico (allora) e autore, ne fu fulminato. Credette forse di comprendere (a torto) di non essere tagliato per l’arte poetica.
Nella raccolta curata da Angelo Righetti figurano testi poetici di prim’ordine, dai Versi scritti qualche miglio sopra Tintern Abbey al breve componimento sull’arcobaleno, citato all’inizio, che è un inno alla meraviglia, dal bellissimo Erravo solo come una nube (un corrispettivo dell’attenzione egualmente fluttuante di Freud e dell’oscillazione di Ferenczi) ai versi citati di seguito che chiudono il sonetto (petrarchesco e non elisabettiano) The world is too much with us (tradotto “Il mondo ci stringe da vicino”). Scrive dunque Wordsworth, dopo aver lamentato la mancanza di armonia con un mondo in cui l’uomo sembra soltanto vivere per disperdere i propri poteri: “Gran Dio, vorrei/essere un pagano cresciuto in una fede consunta/e allora potrei da questa distesa erbosa/aver lampi di visioni e sentirmi meno sperduto/e vedere Proteo che viene dal mare, o sentire/il vecchio Tritone che suona il corno inghirlandato.”
Risuona distintamente in questi versi l’annuncio di Hillman. La poesia romantica inglese costituisce una sicura fonte della psicologia archetipica. E, poi, non è forse Proteo, prima di Hermes o delle altre divinità olimpiche, il dio dell’analisi? Non attendono forse Proteo i praticanti dell’arte analitica? Non sono anche loro, non meno del poeta inglese, pagani cresciuti in una fede consunta, una fede di cui vedono e respirano tutto il deserto? Ma quando viene Proteo, dal mare, l’artista dell’analisi è veramente capace di abbracciarlo come seppe fare a suo tempo Meneleao alla ricerca della via del ritorno in patria dopo la distruzione di Troia?
Barbara Hannah, una fedelissima di Jung, ha ravvisato per tempo nell’abbraccio di Menelao una metafora dell’immaginazione attiva. Noi potremmo dire che l’immaginazione attiva non entra come uno dei suoi costituenti nell’analisi. Se veramente dobbiamo rispettare le debite relazioni della parte e del tutto, così come si fa quando si parla di esse in anima, dovremo dire che l’analisi è un episodio dell’immaginazione. In linea con i romantici inglesi, a cominciare da Wordsworth. Parlare dell’equazione romantica delle psicologie del profondo non significa soltanto condurre in porto un’operazione di raccordo storico, significa piuttosto coltivare il giardino dell’adesso.