Drewermann e lo splendore della debolezza. La psicologia come insoddisfazione per il Cristianesimo

in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, 47, Roma, Di Renzo Editore, 2000 – Estratto

Le biografie, prima ancora che le opere, dei pionieri della psicologia dimostrano come la nuova disciplina, almeno nella sua versione più vitalista, sia nata – dire quasi per “schismogenesi”- dalla teologia. Il primo entusiasmo per la scoperta della psiche sembra derivare propria da una profonda insoddisfazione per il rigore delle categorie etiche del Magistero. Oggi la filosofia post-moderna ha accreditato il pensiero debole della psicologia come il più rispettoso della complessità dell’uomo e la nuova disciplina si è posta come interlocutrice inevitabile di un sapere teologico aggiornato.

L’’attacco alla astrattezza e alla esteriorità della cultura cattolica avviene allora dai suoi stessi rappresentanti talari: Eugen Drewermann è il più conosciuto, raffinato, prolifico e temerario, in sintesi il più emblematico, di questi “insiders”. Sacerdote, teologo e psicoanalista, sospeso prima dall’insegnamento e poi a divinis, bersaglio occulto di una apposita Enciclica papale, la Veritatis splendor, Drewerman sembra essere diventato la voce di chi crede che la psicologia nasca innanzittutto da una esigenza di rinnovamento morale.

Il secondo tema ha radici psicologiche e riguarda il rispetto della complessità della natura psichica, in quanto sede di movimenti enantiodromici fra bene e male, difficilmente giudicabili dall’esterno. E’ questo in fondo il maggiore atto d’accusa rivoltogli dal curatore dell’’Enciclica.

Come Giordano Bruno, Drewermann risponde in maniera descrittiva ai suoi inquisitori, affermando che: “Persino i palazzi di Roma necessitano delle cloache. La pantera più bella non vive senza la crudeltà dei suoi artigli. Ogni essere umano viene al mondo fra sangue, feci e urina. Che cosa ci si attende dunque? ‘Male’, ‘volgare’ o meschino è solo ciò che si rifiuta alla vita e si sottrae al circolo…Quel che conta…è vivere il proprio punto d’osservazione con la maggiore decisione possibile”.

Male è dunque, per lo psicologo tedesco, solo l’abdicazione da se stesso e non la divergenza del proprio comportamento dalle norme di un canone formulato per tutti in nome di una verità immutabile e coercitiva.

La psicoanalisi viene in aiuto alla teologia morale proprio qui, nel campo dell’etica. “Solo grazie a questa amoralità del contegno psicoanalitico diventa possibile quella misura di verità, di veracità di intimo accordo e di fiducia che permette di gettare le basi di qualsiasi moralità”, spiega Drewermann in “Psicoanalisi e Teologia morale”.

La diversità morale è la misura della ricchezza e dell’unicità del proprio percorso evolutivo e non è condannabile aprioristicamente, anche al fine di creare soggetti genuinamente vicini alle ragioni della propria condotta.

In definitiva è il nuovo punto di vista sul problema del male il contenuto più scandaloso e sovversivo che Drewermann offre alla riflessione della teologia.

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Antonio Dorella