Volume 8, aprile 2009
Editoriale
Oggetto di questo nuovo numero del Giornale Storico sono le relazioni tra psicoterapia e arte, psicoterapia e letteratura, psicoterapia e scrittura in una prospettiva che si ricollega con forza al pensiero e alla pratica analitica di Aldo Carotenuto, erede di una tradizione che rimonta alle origini del fare analisi, tradizione alla cui luce è stato concepito e opera il Centro Studi di Psicologia e Letteratura. Una rivisitazione essenziale della incidenza della creatività nel pensiero di Aldo Carotenuto, anche sulla scia di Jung, costituisce parte della complessa tematica affrontata nell’articolo di Simonetta Putti e di Erika Czako. Erika Czako ha anche trascritto per noi, e riportato nel suo articolo, alcuni brani delle lezioni tenute da Aldo Carotenuto. Su uno di quei brani vale la pena di riflettere. Dice a un certo punto Aldo Carotenuto che un vero psicologo è sempre un artista e che uno psicologo che non è un artista è un falso psicologo. Intorno a questa tematica gravitano anche i contributi di Virginia Salles e Roberto Ruga, autore di un recente libro su Aldo Carotenuto. Su un fronte analogo, e da diverse prospettive, si muovono inoltre Antonio Dorella, che affronta la questione dal punto di vista della psicoterapia cognitiva, e Patrizia Battaglia, che concentra la propria attenzione sull’Arte Terapia, la cui prerogativa, sostiene l’autrice, è quella di avvalersi della potenzialità creativa del paziente. Nel contesto della cura e della comprensione del disturbo borderline di personalità anche Ferdinando Testa dirige il focus del suo intervento sull’importanza dell’arte e dell’attività immaginativa quali strategie terapeutiche.
Un vero psicologo è sempre un artista. Assunto centrale, ribadisco, nel pensiero e nella pratica di Aldo Carotenuto e dei soci del Centro Studi. A suo tempo, quando era ancora avvinto alle ragioni della psicoterapia, era stato Hillman ad affermare che gli psicoterapeuti, se non devono diventare alla lettera artisti e poeti, devono vedere e parlare come se lo fossero. Prendiamo ad esempio quell’America emersoniana nella quale si era imposta la poesia di Whitman e dunque il verso libero, il verso che non soggiace all’obbligo della rima, ma neanche la rigetta del tutto, o della scansione degli accenti, cioè all’influenza europea, l’influenza ad esempio di quel verso base della poesia inglese (il verso di Marlowe e Shakespeare nonché dei loro lussureggianti contemporanei, il verso di Milton e quello del Prelude di Wordsworth) che è il pentametro giambico. Al verso libero gli europei non sembrano certo approdare con la facilità di Whitman. Con tutto il suo parlare di libertà e pura determinabilità propria dello stato estetico (che è anche quel mezzo di cui Jung parlava come del luogo dove avvengono le cose dell’analisi), per quale motivo Schiller, ad esempio, non vi è approdato? Si comprende perché, nel corso di una intervista rilasciata da Pound a Donald Hall nel 1962, l’intervistatore chieda al poeta se ritenga che il free verse connoti una forma tipicamente americana. Così la pensa William Carlos Williams, aggiunge per avvalorare l’assunto. Così sembrerebbe, aggiungiamo noi, se volgiamo la nostra attenzione a Foglie d’erba di Walt Whitman. Pound, per tutta risposta, cita una frase di Eliot e la frase di Eliot suona categorica: non esistono versi che siano veramente liberi per chi voglia fare un buon lavoro. Il che mi fa pensare a una frase pronunciata da Jung in occasione di un suo seminario sull’analisi dei sogni. Per interpretare i sogni, disse lo psicologo svizzero nell’occasione, e nella lingua di Pound ed Eliot, occorre un metodo serio. In altri termini allo stesso modo in cui Hillman sostiene che non devono diventare alla lettera artisti e poeti, devono vedere e parlare come se lo fossero, noi possiamo sostenere che, se si parla di tecnica, si parla per ciò stesso di tecnica analitica. Hillman non specifica se per un analista la conoscenza della metrica possa costituire un necessario strumento di lavoro. E, tuttavia, se gli psicoterapeuti devono vedere e parlare come se fossero poeti, potrebbero mai farlo ignorando la tecnica poetica, ignorando cos’è un giambo?
Al tempo della restaurazione della monarchia dopo la parentesi repubblicana di Cromwell, Dryden, maestro con Pope della poetic diction e dell’heroic couplet (il distico eroico composto di due pentametri giambici rimati), criticava il blank verse, il verso sciolto, ovvero il pentametro giambico non rimato in uso presso gli elisabettiani. Suo difetto sarebbe quello di far smarrire a chi lo usa il piacere della condensazione, di prendergli la mano, di allontanarlo dalla precisione del pensiero chiaro. Chiara l’influenza della Francia di Descartes e Boileau. Analoghe considerazioni sulla preferibilità della rima e l’indesiderabilità del blank verse si ritrovano, oltre un secolo dopo, nella Vita di Milton di Samuel Johnson. Il quale contesta l’affermazione miltoniana secondo la quale la rima non costituirebbe un ausilio necessario alla vera poesia. Affermazione chiaramente armonica con la predilezione inconsapevole, inconscia (come avrebbe detto anche Blake) del poeta cieco per Satana. Se si ama Satana, consapevolmente o meno, non lo si può fare, sembrerebbe, che in regime di verso sciolto. Con i romantici la poetic diction viene ampiamente ridimensionata. Wordsworth, per primo, le si scaglia contro nella prefazione alle Lyrical Ballads giudicandola artificiale, lontana dalla vita reale. Il fatto che per le mutazioni metriche occorrano i lunghi periodi è degno di nota. Altrettanto interessante sarebbe interrogarsi sull’equazione metrica di questa o quella psicoterapia. Diciamo allora che con il distico eroico o il verso sciolto ci troviamo dalle parti del setting entro il quale avviene l’evento poetico. Questo setting, stando a Dryden, è inteso nel senso del circoscrivere, del frenare, del controllare. Il plusvalore di un tale operato è, secondo lo stesso poeta, la chiarezza del pensiero. Una volta posti i confini, i limiti, le regole, si suppone che possa essere agevolata la produzione di pensieri chiari, precisi. Il fatto che Freud non parli mai di immaginazione (Einbildungskraft), ma solo di fantasia, la dice lunga sull’inedita equazione metrica della psicoanalisi. Cos’è infine un pensiero chiaro, preciso? È un confine.
Kerouac, dal canto suo, e certamente proseguendo sulla scia tracciata da Whitman, riassume in trenta punti il proprio pensiero sulla prosa moderna e si tratta di trenta punti che non mancano di legarsi alle questioni della psicoterapia. Sii sottomesso a qualsiasi cosa, aperto, in ascolto, recita il secondo punto. Sii innamorato della vita, gli fa eco il quarto (una trasposizione del sì di Nietzsche). Qualcosa di quello che senti troverà la sua forma, aggiunge il quinto. E ancora parla Kerouac di fantasticare in trance sognando l’oggetto che si ha di fronte (e media da Yeats, ma con ipotizzabili ascendenze junghiane), di rimuovere le inibizioni letterarie, grammaticali e sintattiche (il corrispettivo della volontà rankiana), di raccontare la vera storia del mondo attraverso il monologo interiore (la tecnica che in Joyce e Virginia Woolf, in modi diversi, traduce il williamjamesiano flusso di coscienza, di scrivere per se stessi nel ricordo e nello stupore (una sorta di sintesi di Platone e romantici inglesi), di accettare per sempre la perdita (una riconversione letteraria della fase depressiva kleiniana), di non aver paura o vergogna della dignità della propria esperienza (la nostra sensibilità individuale è il nostro genio, aveva scritto Baudelaire).
Ce n’è abbastanza per raccordarsi alla tecnica analitica. Una teoria dell’arte, una teoria della scrittura è una teoria psicodinamica. Analogamente se uno scrittore parla di tecnica, ad esempio di verso libero (e dunque di un vertere, che non può essere un univertere, in direzione dell’essere liberi), allora uno psicoterapeuta deve porsi all’ascolto. Deve fare spazio dentro. Non può darsi insegnamento se non dove un segno può penetrare un luogo. Se si parla di tecnica, si parla per ciò stesso di tecnica analitica. Ogni téchne necessariamente riguarda lo psicologo del profondo: il togliere dello pseudoDionigi o di Michelangelo così come i cinque ascendenti battiti di un pentametro giambico di Skakespeare, Milton, Wordsworth o il pulsare del racconto in ogni interpretazione, il vuoto sotteso a ogni parola. Non casualmente, dunque, nell’articolo di Amedeo Caruso si fa questione della scrittrice e dell’artista Lou Andreas Salomé come della prima vera psicoanalista della storia.
Il vuoto è la forma del setting e c’è vuoto sotteso ad ogni parola. Il buddhismo insegna a Kerouac il vuoto sotteso ad ogni parola. Una lezione sul silenzio. Così anche mostra di recepire il buddhismo lo scrittore americano: tutte le creature viventi che si allenano ad ascoltare il Silenzio udranno il Paradiso. Una lezione, questa del silenzio, in armonia con l’arte del fare analisi. Poiché siamo qui, scrive anche l’autore di On the Road, non possiamo non essere puri. Come dire la sintesi, anche fenomenologica, dell’hic et nunc à la Bion, à la Jung, à la Binswanger, à la Perls, e della tecnica ferencziana secondo cui l’analisi va condotta nel come se dell’eternità. Lo psicoanalista senza sapere, senza memoria, senza desiderio di Bion appare una chiara approssimazione, quasi equazione, buddhista della psicoanalisi. Intorno a quell’essere puri orbitano la lezione del facile fluire della vita di marca stoica, il promeneur solitario di Rousseau che fantastica senza resistenze e i suoi eredi psicodinamici, le associazioni e dissociazioni dell’inconscio secondo Jung, il ritiro di Perls nel vuoto fertile e la lista potrebbe agevolmente continuare.
L’antico detto cinese, citato da Kerouac insieme al verso di Yeats sui migliori che mancano d’ogni convinzione, detto secondo cui chi sa non parla trasla al moderno detto, che sto inventando io adesso, hic et nunc, molto hic e certamente nunc, secondo cui l’analista che parla non sa necessariamente cosa sta facendo. Quell’analista deve avere il coraggio che avevano i personaggi di Chaucer, stando alla lezione di Bloom, e che da Chaucer si è riverberato dalle parti di Shakespeare: ritrovarsi nel proprio parlare mentre parla, ritrovarsi trasformato mentre parla con un altro e mentre l’altro, anch’egli, si trasforma. Se Kerouac scrive di stare aspettando la Dorata Eternità, e assicura di non sapere quanto dovrà aspettare, il pensiero va direttamente alla capacità negativa di Keats, al nisi Deo concedente di Jung e alla keatsiana pazienza di Bion. Pazienza da applicare anche a quel dire che ha il coraggio di inaugurare percorsi dall’esito imprevedibile, perché non dominato, non posseduto a priori.
Che devono fare dunque gli psicoanalisti secondo quest’impossibile Kerouac improbabilmente trasposto sub specie psychoanalytica? Ho risposto già io per lui e usando una sua immagine: devono fare come i gatti che sbadigliano perché capiscono che non c’è niente da fare. Devono non fare, insomma, non devono resistere. Il che significa che devono morire. Chi resiste all’analisi è l’analista, ovviamente, come sanno bene Ferenczi e Lacan. Buddhismo psicoanalitico: l’analista che non resiste è l’analista che non esiste. E, insieme, equazione artistica del fare analisi.
Tutt’altro pensiero, rispetto a quello di Hillman, sembra intrattenere Rank, là dove l’autore del seminale Trauma della nascita fa discorso di fine dell’arte. Hillman, avvinto alla giustizia di Afrodite nonché politico della bellezza, non pensa la fine dell’arte ma quella della psicoterapia. Rank pensa invece congiuntamente le due fini. Nel suo dismettere le vesti dello psicoterapeuta egli aveva, concordemente, di molto anticipato Hillman. Non è certo casuale che si debba a questo geniale pioniere della psicoanalisi quella summa psicodinamica sull’arte, Art and Artist, che è potuta sopravvivere nella traduzione inglese e che resta ancora in attesa di una traduzione in italiano. Summa della quale tiene debito conto l’articolo iniziale di Giorgio Antonelli. In esso l’ispirazione dello psicoterapeuta viene coniugata, nel contesto del luogo setting (inteso quale reale scoperta o riscoperta di Freud), all’ispirazione del filosofo e a quella dell’artista. Ogni psicoterapeuta serve la psiche, intenzionando l’opus, la poiesis, il far emergere. Non che debba emergere un oggetto d’arte, è sufficiente che emerga un’articolazione. La creatività non implica l’oggetto. Implica invece il fare. In questa direzione, allora, non soltanto lo psicoterapeuta ma anche il paziente formano quella coppia creativa di cui a suo tempo aveva parlato Adler.
Accogliamo con piacere e gratitudine gli interventi di Giovanni Invitto, Valentino, Baldi, Gabriele Pulli, Oliviero Rossi. Del primo va detto che è la trascrizione riveduta dell’intervento di Invitto al Convegno organizzato dal Centro Studi nel 2008 su Psicoterapia e consulenza filosofica. Il contributo del secondo è, per così dire, il prodotto di un incontro fortunato nonché telematico, dell’autore col sottoscritto. La Fortuna, del resto, come sosteneva a suo tempo Rohde è l’equivalente antico della nostra psicologia. Niente di più adeguato, dunque, nel contesto di questo numero del Giornale Storico. La tesi di fondo è che la critica letteraria psicoanalitica deriva dalla sola componente metapsicologica della psicoanalisi e non può dunque essere considerata un forma di psicoanalisi. A Pulli, che qui ringrazio per aver accolto la mia proposta, ho chiesto io espressamente di consegnarci, sub specie letteraria, parte almeno dell’approccio di Matte Blanco, un autore col quale non dovremmo mai stancarci di intrattenere relazioni. Pulli applica quella lezione a un episodio, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, che da sempre riveste una importanza fondante per l’indagine psicoprofonda: l’episodio di Eco e Narciso. Oliviero Rossi ci offre un interessante contributo su una recente modalità di intervento terapeutico: la video e la fototerapia, ovvero il videodramma e il fotodramma.
Infine due contributi di psicologia applicata alla letteratura sono quelli di Valeria Verrastro e Filippo Petruccelli, che rileggono per noi l’Ippolito di Euripide, e di Enrico Santori che si dedica al romanzo Notre Dame de Paris alla luce del quale, e abbracciando un’ottica transgenerazionale, affronta la vicenda che vide protagonisti Victor Hugo, l’autore del romanzo, sua figlia Adèle e gli altri componenti della loro famiglia.
Una bibliografia su psicoterapia e arte, che sarà periodicamente aggiornata, è pubblicata sul sito del Centro Studi, www.centrostudipsicologiaeletteratura.org. Sullo stesso sito i lettori potranno anche consultare le schede approntate dai nostri collaboratori su alcuni di quei testi.
Nella sezione Viste voglio segnalare in particolare la recensione di un testo di psichiatria fenomenologica a cura di Luisa De Paula.
Nella intervista finale Amedeo Caruso, costantemente alla ricerca delle radici psicoanalitiche del cinema italiano d’autore, ci parla e fa parlare psicoanaliticamente, appunto, Piero Carpi, che qui ringraziamo per la sua disponibilità.
Ringrazio infine il collega e amico Antonio Dorella per aver letto e recensito con la competenza e l’attenzione che gli sono consuete il mio ultimo libro su Otto Rank, uno psicologo cui molto dobbiamo in tema di psicoterapia e arte.
Giorgio Antonelli
Indice
- Editoriale
- Giorgio Antonelli, Intuizione, intenzione, inspirazione, insetting
- Amedeo Caruso, Lou Andrea Salomé: Arte Psiche e Libertà
- Giovanni Invitto, L’arte come autoproiezione del pathos e spazio diagnostico nelle filosofie fenomenologiche dell’esistenza
- Simonetta Putti, Il salto nel Mondo
- Oliviero Rossi, Videoterapia e fototerapia nella relazione d’aiuto
- Roberto Ruga, Una psicoterapia ad arte
- Virginia Salles, L’arte della psicoterapia. Lo spazio terapeutico come luogo sacro dove si svolgono i Misteri dell’anima
- Baldi Valentino, Critica letteraria e modelli psicoanalitici nella cultura italiana
- Patrizia Battaglia, La psicoterapia con l’arte
- Antonio Dorella, Metafora e differenziazione. La dimensione artistica delle psicoterapie cognitive
- Gabriele Pulli, Note sul principio di simmetria
- Ferdinando Testa, Mito e psicoterapia. Borderline e visione del mondo
- Erica Czako, L’arte tra parola e anima
- Valeria Verrastro Filippo Petruccelli, Nuove metodologie di ricerca in psicologia della letteratura
- Enrico D. Santori, Ce qu’il y a dans une bouteille d’encre. Victor Hugo, Adèle, Quasimodo, Esmeralda.
- Viste
- Amedeo Caruso, Alla ricerca delle radici psicoanalitiche del cinema italiano d’Autore. Fabio Carpi, parliamo (psicoanaliticamente) tanto di lui.