Winnicott e l’incubo sanatore

(tratto da Giorgio Antonelli, Discorso sul sogno, Lithos Editrice, Roma,2010)

Di un incubo sanatore, riparatore, ha parlato in prima persona Winnicott. Le circostanze sono quelle di una relazione analitica con una paziente psicotica che a tal punto disturba Winnicott da farlo lavorare male anche con tutti gli altri pazienti. Nella prima fase del sogno Winnicott, mentre guarda dal loggione di un teatro le persone sedute in platea, è preso dall’angoscia di perdere una parte del corpo. Nella seconda fase il corpo gli appare completamente sprovvisto del lato destro.

Al risveglio Winnicott comprende che la seconda fase del sogno investe la sua relazione analitica con la paziente psicotica la quale gli chiedeva “di non aver nessun rapporto col suo corpo, nemmeno un rapporto immaginario”. Al che Winnicott, irritato, la sera prima del sogno aveva detto alla paziente che gli stava chiedendo “poco più che spaccare un capello in quattro”. Il fatto è che qualsiasi allusione al corpo veniva vissuta da lei come una persecuzione. Ciò che la paziente voleva dal suo analista era che lui, come spirito disincarnato, si rivolgesse unicamente allo spirito di lei. Il lato destro del corpo di Winnicott era quello in rapporto con la paziente. Il rifiuto corporeo della paziente aveva prodotto in Winnicott un’angoscia psicotica reattiva. Scrive Winnicott che il fatto di aver sognato e ricordato quel sogno gli permise di “sanare il male” provocato dalla propria irritazione nei confronti della paziente. È una fortuna che Winnicott non abbia dato retta a Kant, il quale rinveniva la funzione benefica dell’incubo in quel suo svegliare il sognatore “avvertendolo del pericolo cui è esposto dagli effetti di una posizione forzata sulla circolazione”.

Quando il panico ci prende, spiega Hillman, chi è preso non può sapere se si tratti di un primo movimento con cui la natura vuole offrire una nuova visione di sé. La nuova visione di sé che la natura vuole offrire ha a che vedere con la necessità di sperimentare il senza confini di morte e vita, la loro prossimità, il loro essere immagini. Da questo punto di vista un modo di leggere la relazione che avvince incubo a incubazione è quello di vedere nell’una, l’incubazione, una sorta di volontaria ricerca dell’altro, l’incubo, anzi il sogno/incubo. La situazione analitica in tanto si assimila al sogno in quanto in essa si tratta di una volontaria ricerca di incubazione.

Nella situazione analitica che si assimila al sogno si tratta di una ricerca tanto volontaria quanto paradossale dell’angoscia, del luogo contenuto, del costringimento, di quello che, con Freud, chiameremmo sintomo (Freud assimila sogni e sintomi) e con Lacan, che gioca al gioco della lingua, sant’uomo (sinthome, come lo scrive Lacan, si pronuncia come saint homme). Sant’uomo che potremmo addirittura assimilare a un angelo e, con Jung, a un delirio complessuale, a un demone (dal momento che Jung accoglie il punto di vista primitivo che giudica psicologicamente corretto) o, ancora, a un abaissement du niveau mental, dimenticanza più o meno completa dell’Io e, infine, semplicemente, alla follia, alla disintegrazione personale. Secondo Jung “si può dire senza esagerare che il sognatore è normalmente un pazzo, oppure che la pazzia è un sogno che ha preso il posto della coscienza normale”. Non è insomma una metafora dire che la pazzia è un sogno divenuto realtà, dal momento che la fenomenologia del sogno e quella della schizofrenia sono quasi identiche.

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Giorgio Antonelli