Il libro della quiete interiore

Gerd. B. Achenbach, Il libro della quiete interiore, 2000.

Il secondo libro di Achenbach, pubblicato in Germania nel 2000 (edito in Italia nel 2005, per Apogeo), porta avanti una riflessione sulla vita moderna (che appare caratterizzata da irrequietezza), attraverso la ricerca della calma interiore.

Il libro vuole essere un esempio di consulenza filosofica applicata, anche se, le meditazioni dell’autore con se stesso, non permettono e non prevedono la considerazione dell’aspetto relazionale che, inevitabilmente, connota ogni interazione, anche quella tra consulente filosofico e il suo ospite (a meno che non si immagini l’autore nei panni del consultante/ospite e i Saggi del passato, cui si da voce, a rappresentare un consulente filosofico ideale che porta dentro di sé tutto il sapere del mondo antico…)

La questione presa in considerazione, l’interrogativo di partenza è se sia ancora possibile per noi, eredi del Moderno, riuscire a raggiungere la quiete interiore.

Questa è definita come tranquillità dell’animo, indifferenza, leggerezza, equilibrio delle passioni, accettazione del proprio destino: l’euthimia (assenza di turbamento), come affermavano gli antichi Greci, è l’essenza della felicità, se non la Felicità stessa.

Il libro è animato dal pensiero stoico, cui l’autore sente di aderire profondamente (come per la consulenza filosofica,infatti, anche per la Stoa non esiste separazione tra filosofia e vita), ma sono presenti i contributi di molti altri autori cari ad Achenbach: Epitteto, Seneca, Plutarco, Marco Aurelio, Pascal, Montaigne, ed anche Michael Ende, Lewis Carroll. Pure la Bibbia è fonte di ispirazione: vengono citati sia l’Antico Testamento (Qoelet, Proverbi, Giobbe), che i Vangeli.

Alla fine l’autore così scrive :”… ho scritto questo libro che mi ha dato gioia, poiché in esso i miei amici hanno preso la parola e posso sperare che presto diventeranno anche i vostri amici (se non lo sono ancora)”.

Dalla Lettera a Sereno di Seneca, Achenbach prende spunto per riflettere sull’inquietudine che caratterizza l’uomo medio (sia antico, che moderno), che fugge da se stesso attraverso il divertimento e la distrazione, per evitare, come scrive Pascal, pensieri e verità che lo farebbero star male.

Per Achenbach, il nostro Moderno, era delle macchine e della velocizzazione di ogni attività, è il tempo del Tempo, un’epoca, cioè, dove Dio è morto, ma è stato sostituito da un’altra divinità: il Tempo. A questo nume tirannico tutta la civiltà occidentale è sottomessa perché vittima di due inganni, che sono la causa di quella irrequietezza già descritta da Seneca.

Il primo errore è quello di considerare il tempo come una scorta, qualcosa che si possiede, un bene che va risparmiato attraverso la velocizzazione progressiva di tutte le nostre attività. Più noi acceleriamo per non perdere tempo, però, più perdiamo il tempo più prezioso, più importante, l’unico che veramente conta; il Tempo Esistenziale, delle relazioni, degli affetti, della riflessione, il Tempo della Vita. Achenbach chiama questo inganno il paradosso di Momo, (rifacendosi al famoso romanzo di Michael Ende): più tempo risparmiamo, meno ne abbiamo, la lentezza, invece, ci dona Tempo di Vita.

Lentezza e silenzio, infatti, che sono per l’autore presupposti della tranquillità interiore, sono banditi dal Moderno che ci impone il rumore, il chiasso, la folla del divertimento organizzato, ritenuto indispensabile per occupare il tempo risparmiato.

Il secondo tranello in cui si cade riguardo il tempo, viene chiamato da Achenbach l’inversione del tempo, prendendo spunto da una immagine di Angelus Novus di Walter Benjamin. La direzione del tempo è, infatti, un vettore che proviene dal futuro, diviene presente e poi diventa passato (domani cambia in oggi e poi, si trasforma in ieri). La destinazione della vita di ogni uomo, non è quindi il futuro, come erroneamente si pensa, ma il passato: è lì che noi successori, siamo destinati a ricongiungersi ai nostri predecessori; è lì che bisogna guardare se vogliamo vedere e capire dove andiamo. L’individuo contemporaneo, invece, si direziona contro il tempo, si lascia il passato alle spalle considerandolo vecchio, finito, out, e guarda verso il futuro senza vedere niente, visto che è prerogativa del futuro essere insondabile e inconoscibile! Oltretutto, se non si guarda al passato, alla sapienza, alla tradizione, si finisce per misconoscere ogni fondamento, ogni valore, ogni credenza, cosicché tutti i giudizi della nostra società finiscono per avere la data di scadenza: durano lo spazio di una stagione e vengono presto rimpiazzati da nuovi ideali, da nuove mode. La maggior preoccupazione è stare al passo con i tempi, pretendendo di farlo camminando all’inverso con il viso rivolto contro il senso di marcia.

Achenbach suggerisce a questo punto un salutare ritorno alla saggezza del passato e propone al lettore principi, regole e strumenti tratti dalle opere dei suoi amici pensatori per raggiungere la tranquillità dell’anima e il silenzio, per ascoltarci e per percepirci: per chiarificarci (termine caro alla consulenza filosofica).

Vengono presentate (supportate dai pensieri dei grandi del passato) quelle che, secondo l’autore, sono le Sei Regole della Saggezza, che, se interiorizzate e applicate, aiutano a vivere meglio e immunizzano dal tumulto della società contemporanea.

1. Non è importante la filosofia, ma il vivere filosoficamente (come per gli Stoici, per i quali non c’era divisione tra pensiero e vita)

2. La risposta alla domanda “Che cosa conta veramente? “Per te, sei Tu quello che conta” (non un tributo all’egoismo, ma il riconoscere che l’importante è che ognuno possa andare fiero di se stesso e del proprio valore)

3. Orientati su te stesso e non sugli altri

4. Un conto è ciò che succede, un conto è la tua idea di ciò che succede (esemplare a questo proposito, una massima di Epitteto: “Non sono le cose a turbare gli uomini, ma i giudizi sulle cose”).

5. Devi essere indifferente verso le cose indifferenti (Adiaphora come le chiama Seneca, vanno considerate con saggio distacco. Scrive Plutarco “… ricchezza, fama, forza, potere… ci possono rendere felici quanto meno tremiamo di fronte al loro contrario perché tanto più è grande il desiderio di possesso, tanto più è grande la paura della sua perdita”)

6. Devi volere tutto quello che accade così com’è (è il principio più rigido, Achenbach lo definisce, citando Montagne, il fior della Filosofia: la conciliazione del nostro spirito con ciò che è, con ciò che è stato e con ciò che sarà).

L’esposizione dell’ultima regola richiede una riflessione supplementare sul pensiero della morte e della sofferenza, la materia cioè che, di fatto, turba maggiormente la nostra calma interiore. Il Moderno attua programmi per eliminare dolore e sofferenza, considerati ingiusti, intollerabili, cerca le cause dei mali del mondo per debellarli, ma, in questo modo, perde anche il senso della sofferenza, non la capisce: diventa assurda. Achenbach ripropone, invece, un ritorno alla saggezza degli antichi, che sapevano patire e sopportare la tribolazione, l’infelicità che li coglieva, come il fardello del loro destino, esercitandosi nella pazienza con grandezza e forza d’animo, come il Giobbe biblico.

Essere capaci di questo, secondo l’autore, chiarifica l’essere umano nel profondo, lo rende migliore. Proprio da questa chiarificazione, proviene la calma interiore.

Condividi:
L'autore
Avatar photo
Marina Malizia