TRA MEDICO E PAZIENTE È LA FIDUCIA CHE CONTA, così cambia la “pubblicità” dei Dottori
TRA MEDICO E PAZIENTE È LA FIDUCIA CHE CONTA, così cambia la “pubblicità” dei Dottori

15/01/2002

PUBBLICITÀ: invenzione amata, invenzione odiata. Simbolo di libertà, di varietà, della possibilità di scegliere tra tanto e tanti; regno per eccellenza dell’immagine. E l’immagine, lo sappiamo, a volte è la proiezione di una realtà ben più corposa, altre è semplicemente effimera. È per questa sua ambivalenza di fondo che lo spettatore non può che restare turbato dinanzi alle sue proposte. Di fronte a quelle che possono essere soltanto messaggi riassuntivi di una verità ben maggiore, ma che lasciano trapelare il dubbio che dietro di esse non si celi un bel niente. Semplici menzogne, o goffi ‟aggiustamenti” della realtà. Si comprende bene allora quanto questo possa essere ancor più destabilizzante quando ad essere pubblicizzati non sono prodotti di consumo immediato e in qualche modo voluttuario, ma addirittura ‟persone”, ‟ruoli”, categorie e, quel che più conta, immagini sociali.

E il dubbio cresce: è giusto trasformare persino l’immagine di quello che è un ‟servizio pubblico”, per usare una terminologia non del tutto pertinente, in qualcosa che possa essere propagandato quasi fosse un detersivo?

Pensiamo bene: in effetti, un professionista con doti e capacità, ma soprattutto con titoli e riconoscimenti – perchè in fondo è questo che fa la differenza in un contesto pubblico, attraverso il primo impatto comunicativo – ha tutti i diritti di esporre i propri ‟requisiti”. Così come l’utente ha tutto il diritto di scegliere un professionista di indiscussa competenza che possa aiutarlo nel difficile cammino della propria salvaguardia fisica.

Ma ciò che non possiamo fare a meno di chiederci -non senza quello spirito nostalgico che accompagna ogni riflessione che scaturisce dal coinvolgimento personale- è cosa sia ciò che l’utente richiede al proprio medico, e, soprattutto, in base a quali criteri ritenga sia utile scegliere la persona cui affidarsi. Perché ‟mettersi nelle mani di un professionista” è ciò che realmente avviene in questo caso, ed implica sempre il vissuto di un rischio, di un salto nel buio.

È pur sempre vero che un curriculum ricco di titoli ed onorificenze impressiona l’osservatore; e svere spesso a squarciare quell’oscurità, con le luci della ribalta. Spesso, lo impressiona al punto da innescare in lui aspettative persino ai limiti della verosomiglianza, aspettative basate sulla ridondanza delle parole. Ma quando il paziente varca la soglia, ciò che richiede è soprattutto una persona, un ‟uomo”, che dall’altra parte della scrivania, dall’alto della sua competenza professionale, sappia, né più né meno, fornirgli un aiuto.

Di più, se il paziente sentirà che l’altro non è in grado, non soltanto di fornire una risposta pertinente e rassicurante alle proprie richieste, ma di fungere innanzitutto da figura rassicurante, allora -a dispetto dei titoli e della risonanza del suo nome- egli non esiterà ad andar via e a non ritornare più.

Ciò che conta, infatti, non è tanto ciò che accade al di fuori del rapporto medico-paziente, nel contesto sociale e collettivo più o meno telematizzato, quanto ciò che avviente tra le quattro mura dello studio medico, tra un uomo che chiede aiuto e un altro che mette a disposizione le proprie conoscenze acquisite per fornire sostegno e sollievo.

Non dimentichiamoci mai che il lavoro che ognuno di noi sceglie di portare avanti per tutta la vita, il ruolo sociale del quale veniamo investiti, la stessa potenza del nostro nome che può crearsi nella collettività non sono altro che il frutto di una scelta ben precisa. Che non dovrebbe essere dettata da brama di affermazione personale fine a se stessa, ma essere il riflesso di una contestualizzazione sociale. Poiché ognuno di noi, con il proprio lavoro, svolge una funzione che non è quella di accrescere la propria fama o innalzare la propria ricchezza, ma di svolgere un servizio che sia utile a quella comunità di uomini alla quale appartiene. Un servizio che si inserisca nell’assetto sociale, quale anello gregario di uomini che lavorano sostanzialmente per aiutarsi reciprocamente e portare avanti quell’entità che si chiama semplicemente ‟società”.

ALDO CAROTENUTO

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Aldo Carotenuto
Aldo Carotenuto (1933-2005) Ha insegnato Psicologia della Personalità e delle Differenze Individuali all'Università di Roma