Intervista allo junghiano Aldo Carotenuto, Professore di psicologia all’Università di Roma e autore di un saggio sul rapporto fra amore e sofferenza
23 Dicembre 1988 (Il Nuovo Ravennate)
Articolo scritto da Mariagiovanna Maioli Loperfido
Venerdì 2 dicembre 1998. Nella affollatissima sala convegni di Casa Melandri il Crc ci segnala, tramite la brillante esposizione dell’autore, «Eros e pathos», margini dell’amore e della sofferenza, l’ultimo saggio sull’esperienza amorosa (Bompiani, lire 22.000, già alla terza edizione) dello junghiano Aldo Carotenuto, Professore di Teorie della personalità nel corso di laurea in psicologia dell’Università di Roma.
Amore e sofferenza: «Due dimensioni essenziali e intrecciate» della medesima esperienza. Solo in questa esperienza – afferma Carotenuto – si pensa all’eternità di un sentimento. Ci si sente vivi soltanto se si è immersi nell’illimitato. La nostra vita non avrebbe significato se noi non sentissimo il desiderio dell’illimitato.
“E non amarmi per la tua / dolce pietà che la guancia m’asciuga: / ché il pianto può obliare chi da te /ebbe lungo conforto, e in questo perderti. / Ma per amore amami, che sempre / ti cresca nell’eternità d’amore”. Così implora l’amato la voce appassionata e tuttora ricca di fascino di Elizabeth Barrett Browning.
La definizione dell’innamoramento data da Alberoni: stato nascente di un movimento collettivo a due è ancora accettabile, posto che per lei lo sia mai stata?
Nel mio libro io parlo soprattutto di una dimensione che credo Alberoni chiami innamoramento; però io credo spessamente che l’unica dimensione che noi conosciamo è quella travolgente, quella che per noi ha significato. L’altra che si chiama amore, amore maturo non esiste. È soltanto un modo generico ed educato per dire che due persone vanno d’accordo, ma l’amore se lo vanno a trovare altrove.
Lei scrive che per amore intende quel sentimento che lega due persone che si desiderano anche sessualmente. Quando esiste solo l’attrazione sessuale può essere ancora amore?
In genere l’attrazione sessuale, cioè lo svolgimento soltanto dell’attività sessuale, serve alle persone come deterrente per dei problemi d’angoscia. È chiaro che questo non è l’innamoramento di cui io parlo. L’innamoramento è soprattutto il senso di perdita che noi abbiamo quando non stiamo con la persona che noi amiamo. Vale a dire: se io ho soltanto un’attività sessuale questa persona c’è e non c’è, cioè è insignificante. Il problema è quando è solo con quella persona che per me ha significato. Allora in questo caso le due cose sono interconnesse.
E quando c’è solo l’attrazione intellettuale come si può chiamare?
La sola attrazione intellettuale non si può chiamare innamoramento, è tutta un’altra cosa. Bisogna che le due dimensioni siano connesse.
L’amore assomiglia più all’odio che all’amicizia, dice pressappoco una massima di La Rochefoucauld che lei cita. Ma l’amicizia è del tutto esente da quella che lei chiama la « terribile dualità»? (n.d.r. amore-o-odio).
Nell’amicizia in genere noi non sentiamo mai una carenza che ci può uccidere, mentre è nell’innamoramento che noi sentiamo una carenza per la quale o ci buttiamo dalla finestra oppure ammazziamo l’altro.
Se l’uomo conosce se stesso solo nel momento del pericolo possiamo dire – lei scrive – che l’uomo conosce se stesso solo nel momento in cui si innamora. Allora l’amore è un pericolo?
È un pericolo in questo senso: che è nell’innamoramento che noi siamo capaci di atti delinquenziali. Cioè, anche le persone più corrette, quelle che fanno una vita normale possono essere smantellate e pronte a delinquere pur di non perdere l’oggetto d’amore. Questo è uno dei problemi più tragici della vita d’un uomo. Esempio: uno che non dice mai bugie, incomincia a dirle in quel momento. Prenda l’innamoramento nell’ambito di una famiglia: lei o lui si innamora di un’altra persona: se è stata sempre una persona corretta diventa scorretta per forza. E lo diventa subito.
Nell’amore c’è sempre la perdita momentanea dell’io?
Certo. È una specie di ubriacatura ed è bellissima. E chi ce l’ha se la mantenga.
Il pié nell’amorosa pania lei deve avercelo messo spesso…
Beh, sì, mi ci sono trovato molte volte. Un libro del genere non si può scrivere se non si passa attraverso una elaborazione personale di questa esperienza.
Si può amare più volte a forti tinte con la sensazione ogni volta di non aver mai provato nulla di simile?
Sì, perché si cresce e allora se il mio cervello cresce io sono un po’ diverso e posso dar vita a qualcosa di diverso. Mentre è difficile pensare a un fenomeno del genere se io rimango sempre lo stesso. Cioè la mia esperienza che cresce su se stessa mi apre delle dimensioni che magari un anno fa non avevo e allora la nuova dimensione che io apro si poggia su una piattaforma maggiore e come tale capace di vivere a forti tinte la nuova esperienza che non è una ripetizione, è qualcosa di nuovo.
L’idea che ci facciamo d’ogni cosa, è cagione che tutto ci deluda. Sono versi di Cardarelli. Anche della persona che amiamo ci facciamo spesso un’idea che non corrisponde al vero…
Ed è necessario che sia così. È un’illusione che però ci permette di andare avanti.
È vero che amor che a nullo amato amar perdona?
Questo io non l’ho mai capito bene. Che cosa voleva dire il poeta? Che se c’è una grossa intensità da parte di uno anche l’altro cade? Io non ho mai visto un caso del genere, non è una cosa comune. Io vedo una bella ragazza e… Chissà, forse voleva dire un’altra cosa. Per quanto il testo è inequivocabile. Questo non mi ha mai convinto!
Lei riporta versi di grandi poeti nel suo libro…
L’esperienza amorosa arriva a dei vertici per i quali il linguaggio comune non può mai esprimere quello che vuole e allora si serve del linguaggio metaforico. E gli unici che sanno fare questo sono i poeti. Ecco perché mi sono servito nei momenti cruciali di versi di grandi poeti.
Temere l’amore è temere la vita?
Certo. Significa non vivere. Non c’è nessuna giustificazione per rinunciare all’amore.
Intervista di Mariagiovanna Maioli Loperfido.