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La crescita personale come viaggio… diretti dove?

Il mio viaggio nella crescita personale

Quando avviai la mia attività di Gestalt counsellor, nel redigere i testi del mio sito web mi ritrovai a usare spesso l’espressione “crescita personale”.  Lo feci con una notevole nonchalance, ma al contempo con un sotterraneo senso di disagio, che andò acuendosi nel tempo. Per me le parole sono sempre state importanti, e presto si insinuò in me un dubbio: “parlo, parliamo, si parla tanto di crescita personale, ma… cos’è?”. Quando un’espressione linguistica si impone, generalmente nella storia del suo uso sono racchiusi interi universi semantici; in questo caso mi accorgevo che, sebbene avessi una vaga idea del concetto, in effetti non sapevo circoscriverlo – un po’ come quando usiamo quelle che mi piace chiamare le “parole passe-partout”: arte, bellezza, felicità, emozioni, e simili.

Alla proposta di scrivere un articolo sul tema del viaggio, dopo alcune riflessioni mi sono reso conto che è possibile declinare il viaggio come crescita personale (un topos letterario che troviamo già nell’Odissea, se non prima), ma soprattutto che è possibile declinare la crescita personale come viaggio, in almeno tre sensi: il primo è dato dal mio viaggio individuale di crescita personale, ma anche nel mondo della crescita personale; il secondo è costituito dalla crescita personale come viaggio in generale, come cammino di evoluzione mentale e spirituale; il terzo, infine, è rappresentato dal viaggio compiuto dalla crescita personale stessa, intesa come concetto psicologico, come fenomeno sociale e come genere letterario. In questo articolo, risparmierò al lettore ulteriori mie esperienze biografiche, per introdurre (niente più di questo lo spazio mi consente) le mie ricerche sul viaggio compiuto dalla crescita personale.

In primis, è necessario cercare di definire il concetto, un’impresa null’affatto semplice e su cui mi limiterò in questa sede a proporre alcune osservazioni esplorative. Esso, infatti, è oggi piuttosto ubiquitario e, come tutte le parole passe-partout, refrattario a essere inquadrato in una definizione netta e precisa. La crescita personale, tuttavia, è senza dubbio un fenomeno importante nella nostra società; ne sono prova l’enorme mole di libri di auto-aiuto e la smisurata sitografia dedicate all’argomento: limitando la ricerca alla sola sezione dei libri, Amazon.it elenca oltre 1000 pubblicazioni alla voce “crescita personale”, mentre Amazon.com ne elenca oltre 60.000 alla voce “personal growth”; Google ritorna 1.610.000 risultati all’espressione “crescita personale” virgolettata, cioè alle due parole considerate insieme e in quest’ordine, e 20.100.000 risultati all’equivalente inglese “personal growth”[1].

Wikipedia, che non è una fonte attendibile da un punto di vista scientifico, ma rappresenta per molti la risorsa più immediata di conoscenza, definisce il concetto di “personal development” (che in questa sede possiamo provvisoriamente considerare come un sinonimo di “personal growth”) come un insieme di attività che migliorano la consapevolezza e l’identità, sviluppano i talenti e il potenziale, costruiscono il capitale umano e facilitano l’inserimento delle persone nel mondo del lavoro [employability], migliorano la qualità della vita e contribuiscono alla realizzazione dei sogni e delle aspirazioni. Lo sviluppo personale ha luogo lungo tutto il corso della vita di una persona.[2]

Questa definizione, tanto vaga quanto onnicomprensiva, specifica altresì che il concetto non è limitato all’auto-aiuto. Al contrario, gli studiosi della letteratura sull’auto-aiuto classificano la crescita personale come una sottocategoria dell’auto-aiuto[3]. Allo stesso modo, mentre Wikipedia tende a comprendere diversi fenomeni all’interno della definizione, altrove la crescita personale è presentata come una forma di sviluppo, al fianco di tante altre, quali ad esempio il miglioramento del proprio livello finanziario, delle proprie relazioni interpersonali o del proprio equilibrio psicologico[4]. D’altra parte, nei siti di psicologia pop o nei numerosissimi blog di esperti e sedicenti tali, l’etichetta “crescita personale” è usata per indicare un qualsiasi miglioramento (qualunque cosa ciò significhi) in un qualsiasi aspetto della vita, compresi la propria situazione finanziaria, la salute, la spiritualità, la propria visione del mondo, l’alimentazione, la soddisfazione professionale, l’uso del tempo, la leadership e il management aziendali, etc., andando in questo senso a coincidere con la categoria dell’auto-aiuto in generale.

Queste discordanze dipendono dal fatto che l’espressione “crescita personale” fa riferimento a diverse realtà:

  1. un’esperienza biografica, uno sviluppo individuale di un qualche tipo che porta la persona a uno stato maggiormente desiderabile in uno o più aspetti della vita;
  2. un percorso formalizzato, ovvero un corso, per facilitare il raggiungimento di tale stato maggiormente desiderabile;
  3. un genere letterario, variamente definito come una sottocategoria dell’auto-aiuto oppure, più spesso, come coincidente con la letteratura d’auto-aiuto tout-court-nel senso che tutto l’auto-aiuto aspira a portare il soggetto a uno stato maggiormente desiderabile.

Per comprendere meglio il significato attuale dell’espressione “crescita personale”, a questo punto è necessario ricostruirne le origini, ovvero percorrere il viaggio compiuto dalla “crescita personale” come concetto.

Il viaggio della crescita personale

Il concetto di “crescita personale” ci giunge attualmente attraverso la letteratura di auto-aiuto, la quale è di matrice anglosassone e in particolare americana. Parto dunque dalle origini con William James, il padre della psicologia americana, che però non la usa mai nei suoi scritti[5]. Certamente egli usa la parola growth, ma per indicare una crescita dimensionale, una crescita organica, o uno sviluppo evolutivo; solo occasionalmente la usa anche in senso figurato; per esempio, in The Varieties of Religious Experience (la cui prima edizione risale al 1902), parla di “spiritual growth”, e cita altri autori che usano il termine in questa accezione. Sembrerebbe dunque che, all’inizio del secolo scorso, il significato della parola “crescita” più prossimo a quello di “crescita personale” fosse quello di “crescita spirituale” -un significato che, come abbiamo visto, rimane tuttora all’interno dell’espressione in esame, ma a cui quest’ultima non può essere ridotta.

Kurt Lewin (prussiano di nascita ma americano di adozione), non usa la parola crescita nel senso qui in esame, bensì nel significato di crescita psichica in riferimento allo sviluppo della personalità del bambino. È un significato ordinario, non figurato, in cui non vi è l’idea di un miglioramento della propria condizione lungo l’arco dell’intera vita. Anche Alfred Adler (a sua volta esule negli Stati Uniti) parla di “crescita del corpo e della psiche”[6], riferendosi dunque alla crescita evolutiva del bambino.

Nel 1939, tuttavia, viene dato alle stampe The Organism di Kurt Goldstein. Nelle 420 pagine dell’opera, la parola growthcompare solo 3 volte, sempre nel suo significato ordinario di crescita fisica. Nell’opera, tuttavia, riveste un ruolo centrale un nuovo concetto, quello di self-actualization, ovvero di autorealizzazione. L’opera è importante, tant’è che Toward a Psychology of Being di Abraham Maslow (la cui prima edizione è datata 1962[7]) è dedicato a Kurt Goldstein. E Toward a Psychology of Being trasuda di crescita personale… Scorriamo l’indice del volume: la parte seconda si intitola Growth and Motivatione all’interno vi troviamo i capitoli Deficiency motivation and growthe Defense and growth. La parte terza si intitola Growth and Cognition, e nella parte quinta troviamo il capitolo Values, growth, and health. Più avanti, il capitolo 14 si intitola Some basic propositions of a growth and selfactualization psychology. Maslow, dunque, intendeva fondare una nuova psicologia sul concetto di crescita, un concetto che però non corrispondeva più a quello evolutivo. A pag. 18 del testo, infatti, appare l’espressione “personal growth” e vale la pena scorrere l’intero brano:

Ipersemplificando la questione, è come se Freud ci avesse fornito la metà malata della psicologia e noi dobbiamo ora completarlo con la metà sana. Forse questa psicologia sana ci darà più possibilità per controllare e migliorare le nostre vite e per diventare persone migliori. Forse questo sarà più fruttuoso che chiedere “come diventare non malati”. Come possiamo incoraggiare il libero sviluppo? Quali sono le migliori condizioni per garantirlo? Sessuali? Economiche? Politiche? Di che tipo di mondo abbiamo bisogno affinché questo tipo di persone possa crescervi? Che tipo di mondo queste persone creeranno? Le persone malate sono fatte da una cultura malata; le persone sane sono rese possibili da una cultura sana. Ma è altrettanto vero che gli individui malati rendono la loro cultura più malata e che gli individui sani rendono la loro cultura più sana. Migliorare la salute individuale è un approccio per creare un mondo migliore. Per dirlo in un altro modo, l’incoraggiamento della crescita personale è una possibilità reale; la cura dei sintomi nevrotici presenti è molto meno facile senza un aiuto esterno.

Maslow pose la questione della crescita personale come un problema di salute mentale, resa possibile da condizioni socio-culturali tali da garantire lo sviluppo libero dell’essere umano.  Cos’è, tuttavia, questo “sviluppo libero”? Com’è possibile che Maslow potesse basare la sua nuova psicologia su un’apparente tautologia? Evidentemente, egli faceva riferimento a uno sfondo semantico già ampiamente consolidatosi all’epoca, ovvero negli anni Sessanta. Cos’era dunque accaduto nel mondo della psicologia in quei 23 anni che separano il libro di Goldstein da quello di Maslow?

Tanto per cominciare, c’era stato Carl Rogers. Nel 1942 egli aveva usato l’espressione “personal growth” per riferirsi all’evoluzione del cliente per mezzo e all’interno della relazione terapeutica:

Durante questo aspetto della terapia è probabile che vi sia l’espressione di sentimenti personali […]. Non c’è dubbio che veniamo coinvolti emotivamente, fino a un certo punto sano, quando la crescita personale ha luogo sotto i nostri stessi occhi. [8]

Vi era poi stato Eric Fromm, che già nel 1947 scriveva ampiamente di crescita nel senso di sviluppo delle proprie potenzialità, associando il concetto all’amore e alla felicità:

L’orientamento produttivo che ora discuterò rimanda al tipo di carattere in cui la crescita e lo sviluppo di tutte le sue potenzialità sono lo scopo a cui tutte le altre attività sono subordinate.[9]

E ancora:

Amare una persona produttivamente implica che la sua vita ci importi e che ce ne sentiamo responsabili, non solo per la sua esistenza fisica, ma per la crescita e lo sviluppo di tutti i suoi poteri umani.[10]

Da questa varietà di accostamenti cominciamo a capire come mai oggi il concetto di crescita personale riesca a coprire sfere tanto diverse quali quelle professionale, relazionale, esistenziale. Fromm, tuttavia, si spinse oltre la celebrazione dello sviluppo personale, arrivando ad asserire che la spinta alla crescita è parte integrante di ogni essere umano e che l’impossibilità ad agirla è causa di disagio psichico:

l’uomo ha una spinta interiore per la crescita e l’integrazione […]. Essa deriva dalla natura stessa dell’uomo, dal principio che il potere di agire crea un bisogno di usare questo potere e che un fallimento nell’usarlo risulta in disfunzionalità e infelicità. [11]

Si comprende ora meglio l’interrogarsi di Maslow su quali potessero essere le condizioni socio-politiche più adatte a garantire la crescita degli individui: si tratta, come Maslow rilevò, di una questione di salute, che spiega anche l’enfasi che la psicologia pop oggi pone sulla crescita personale.

Il legame tra crescita personale e nevrosi era già stato ampiamente sviluppato anche da Karen Horney, la quale, in una nota al primo capitolo di Neurosis and Human Growth(1950), così definiva la crescita:

sviluppo libero, salutare in accordo alle potenzialità della natura generica e individuale di una persona” [12].

La Horney più avanti in quest’opera esplicitò come le condizioni per la crescita personale dipendano sia dall’ambiente in cui l’individuo si trova, sia dalla sua capacità di reagire a tale ambiente. Ella, inoltre, sottolineò l’importanza della crescita personale nel processo terapeutico di guarigione del paziente:

ogni movimento verso l’essere se stesso gli [al paziente]dà un senso di realizzazione che è diverso da qualsiasi cosa egli abbia conosciuto in precedenza […]. Perché esso gli mostra la possibilità di sentire in armonia con se stesso e con la vita. Esso costituisce probabilmente il più grande incentivo per lui a lavorare alla sua crescita, verso ua più grande auto-realizzazione. [13]

Questi concetti furono quindi ripresi e rielaborati un anno dopo da uno psicologo molto influenzato dalla Horney, Fritz Perls, il fondatore della psicoterapia della Gestalt, in un testo che non a caso fu intitolato Gestalt Therapy. Excitement and Growth in the Human Personality[14]. Per completare questa rassegna, nel 1961 il concetto di “crescita personale” trovò ampio spazio in un altro lavoro di Rogers[15], il cui capitolo secondo si intitola Some Hypotheses Regarding the Facilitation of Personal Growth. Tutti questi autori sembrano comunque dare per scontato, al punto da non doverlo argomentare, il fatto che esista una spinta naturale alla crescita, e che tale spinta riguardi lo sviluppo delle proprie potenzialità -un significato differente da quello attuale, che ha più a che vedere con un miglioramento della propria situazione, indipendente dalle caratteristiche di personalità e dalle attitudini individuali. Per Fromm, la Horney, Perls e Maslow, la crescita è legata alla personalità e, attraverso di questa, alla natura stessa di un individuo. Da dove veniva questo loro sicuro utilizzo del concetto di crescita in tal senso?

Un altro grande psicologo, probabilmente ispirato dall’Ecce Homo di Nietzsche, anzitempo aveva ampiamente sviluppato l’idea di un movimento dell’uomo verso la realizzazione della propria natura; parlo ovviamente di Carl G. Jung. Nella traduzione italiana dell’opera omnia di Jung, l’espressione “crescita della personalità” è usata a partire dai primi lavori degli anni ’30; leggiamo emblematicamente in un suo scritto del 1939 [16]:

All’inizio la personalità è raramente ciò che diverrà in seguito. Perciò sussiste […]la possibilità di un ampliamento o di un cambiamento. Esso può aver luogo attraverso un accrescimento dall’esterno, cioè per il fatto che nuovi contenuti vitali vengono immessi dall’esterno e assimilati […]. Si è inclini a supporre che questo ampliamento provenga “solo” dall’esterno; […]quanto più si pensa che la crescita venga dal di fuori, tanto più ci s’impoverisce nell’intimo. Se dal di fuori ci afferra una grande idea, dobbiamo capire che ciò accade solo perché qualcosa in noi le corrisponde e le si muove incontro.

Mi limito ad aggiungere che, come si comprende dall’analisi di altri scritti junghiani[17], tale disposizione interna parte dall’accettazione dell’Ombra. In diversi suoi lavori, Jung esplora la similitudine tra il Sé e l’albero; quest’ultimo raffigurerebbe simbolicamente il Sé come “un processo di crescita e di trasformazione”[18]. Per Jung la personalità era dunque una costruzione diacronica che implicava l’integrazione delle sue diverse componenti. Già per lo studioso svizzero la nevrosi rappresentava “un disturbo della crescita della personalità”[19]-un’idea che, come abbiamo visto, sarà rielaborata da Fromm, dalla Horney e da Maslow.

Fondamentale mi sembra poi l’insistenza di Jung sul fatto che la crescita solo apparentemente provenga dal di fuori, derivando in realtà da una disposizione che già si è manifestata in noi. Nel caso della crescita personale, ciò significa che se siamo colpiti da un libro di auto-aiuto o da un corso che abbiamo appena intrapreso, è perché in realtà eravamo già pronti a ricevere quelle idee, quegli stimoli. L’efficacia dei percorsi di crescita personale deriverebbe dunque dalla nostra predisposizione a cambiare.

Cambiare, comunque, per andare dove? Dove siamo diretti? La risposta di Jung è ben più precisa e suggestiva di quella degli psicologi umanistici, e si ritrova nel concetto di individuazione, di cui lo studioso parlò per la prima volta già nel 1911 [20]. Jung spiegò che il processo di individuazione “corrisponde al naturale decorso di una vita nella quale l’individuo diventi quello che da sempre era”[21]:

Individuarsi significa diventare un essere singolo e, intendendo noi per individualità la nostra più intima, ultima, incomparabile e singolare peculiarità, diventare sé stessi, attuare il proprio Sé. [22]

La crescita è quindi per Jung davvero qualcosa di “personale” nel suo identificarsi con il nostro sviluppo in modo quasi teleologico: individuarsi è diventare ciò che per natura siamo già in potenza e che si suppone dovremmo diventare. Il viaggio della crescita personale, allora, non ci porta lontano da noi, altrove, magari laddove altri ci vorrebbero; esso ci riporta proprio a noi stessi, portandoci a essere più noi stessi di quanto non siamo mai stati. Vien da sé che a questo scopo Jung non avrebbe mai comprato un libro di auto-aiuto.

Emanuele Gatti

Emanuele Gatti è Professore per la cattedra di “Psicologia della Socializzazione” presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi di Roma. Specializzato in Mindfulness e nel ruolo delle emozioni nei processi interpersonali, è fondatore del Centro Studi Mindfulness e Relazioni. Lavora privatamente come Counsellor gestaltico a Roma e a Udine, e svolge attività di formazione negli ambiti dell’intelligenza emotiva, della comunicazione e delle competenze trasversali per privati e aziende.

Sito: www.emanuelegatti.com.

E-mail: comunica@emanuelegatti.com.

 

NOTE

[1]Consultazioni svolte l’8 Settembre 2018.

[2]Consultazione effettuata l’8 Settembre 2018.

[3]Dolby, S. K., Self-Help Books. Why Americans Keep Reading Them, Urbana e Chicago, University of Illinois Press, 2005.

[4]Vd. ad es. Rimke, H. M., “Governing Citizens Through Selfhelp Literature”, Cultural Studies, vol. 14 (2000), n° 1, pp. 61-78.

[5]James, W., The Principles of Psychology(2 voll.), London, Macmillan and Co., 1890.

Writings 1878-1899, New York, Literary Classics of the United States, 1992.

Writings 1902-1910, New York, Literary Classics of the United States, 1988.

[6]Adler, A., Der Sinn Des Lebens, Berlino,Fischer Taschenbuch, 1933 (tr. it. di S. Bonarelli, Il Senso della vita, Roma, Newton e Compton, 2012).

[7]Qui faccio riferimento all’edizione aggiornata del 1968: Maslow, A. H., Toward a Psychology of Being, New York, Start Publishing, 2012 (1968).

[8]Rogers, C., Counseling and Psychotherapy. Newer Concepts in Practice, Boston, Houghton Mieelin Company, 1942, p. 44.

[9]Fromm, E., Man for Himself. An Inquiry into the Psychology of Ethics, Oxon, Routledge, 2002 (1947), p. 82.

[10]Ivi, p. 100-101.

[11]Ivi, p. 219.

[12]Horney, K., Neurosis and Human Growth. The Struggle Towards Self-Realization, New York, W. W. Norton & Company, 1950, p. 17.

[13]Ivi, p. 363.

[14]Perls, F. S.; Hefferline, R. F.; Goodman, P.,Gestalt Therapy. Excitement and Growth in the Human Personality, New York, The Julian Press, 1951 (tr. it. di J. Sanders e F. Liuzzi, La terapia della Gestalt. Vitalità e accrescimento nella personalità umana, Roma, Astrolabio, 1997).

[15]Rogers, C., On Becoming a Person. A Therapist’s View of Psychotherapy, Boston, Houghton Mieelin Company, 1961.

[16]Jung, C. G., Sul rinascere, 1940/1950 (in Opere, vol. 9, tomo primo, Torino, Bollati Boringhieri, 1980, p. 118).

[17]Jung, C. G., Empiria del processo di individuazione, 1934/1950 (in Opere, vol. 9, tomo primo, Torino, Bollati Boringhieri, 1980).

[18]Jung, C. G., Mysterium coniunctionis, 1955 (in Opere, vol. 14, tomo secondo, Torino, Bollati Boringhieri, 1990, p. 295); cfr. anche –L’albero filosofico, 1945/1954 (in Opere, vol. 13, Torino, Bollati Boringhieri, 1988).

[19]Jung, C. G.,Il divenire della personalità, 1934 (in Opere, vol. 17, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, p. 178).

 

[20]Jung, C. G., Simboli della trasformazione, 1911 (in Opere, vol. 5, Torino, Bollati Boringhieri, 1970)

[21]Jung, C. G., Gli archetipi dell’inconscio collettivo, 1934/1954 (in Opere, vol. 9, tomo primo, Torino, Bollati Boringhieri, 1980, p. 38).

[22]Jung, C. G., L’io e l’inconscio, 1928 (in Opere, vol. 7, Torino, Bollati Boringhieri, 1983, p. 173)

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