La Colombia ancora una volta è stata teatro di episodi di inaudita atrocità. Ma se ci eravamo abituati a storie di narcotrafficanti e delitti politici di varia natura, questo è veramente un volto nuovo per un Paese segnato da una storia di ormai pluridecennale di violenza. Centoquaranta bambini uccisi e violentati nell’arco di cinque anni. Non è certo facile capire atteggiamenti così perversi, che possono albergare inspiegabilmente nel cuore anche delle persone all’apparenza meno sospettabili, ma d’altro canto si dimentica troppo facilmente che un corretto atteggiamento morale verso la vita è sempre il risultato di un continuo controllo delle proprie pulsioni. E non sempre è impresa facile.
Dinanzi a simili circostanze, ci si appella alla follia, ma si tratta di un modo troppo semplicistico di risolvere il problema. È l’atteggiamento tipico del “capro espiatorio”, ossia del voler trovare a tutti i costi una ragione plausibile, che possibilmente riguardi solo il colpevole, e che al contempo calmi l’altrui coscienza. Un modo per non porre in discussione il nostro sistema di valori: la società funziona e il serial killer è solo una scheggia impazzita del sistema.
Tuttavia, senza bisogno di arrivare a questi estremi da serial killer, la violenza fa ormai parte della nostra quotidianità e non è più circoscrivibile alla follia del singolo individuo. Laddove si dovrebbe tentare una mediazione responsabile tra la razionalità e la moralità, da un lato, e la follia e l’incontrollabile forza delle più efferate perversioni, dall’altro, troppo spesso e con troppa facilità si cede alla via della risoluzione violenta delle proprie tensioni. Si potrebbe parlare di mancata “civilizzazione”, ma già ai tempi di Freud – nella Vienna puritana di quasi un secolo fa – anche le famiglie più rispettabili cedevano ai vizi della pedofilia e dell’incesto.
Di certo il divario d’età che passa, nel caso della pedofilia, fra la vittima e il carnefice indica l’impossibilità di reggere il confronto con chi ci potrebbe tener testa. Si tratta di pura e semplice sopraffazione ai danni di una persona completamente indifesa e che, quindi, permette al suo violentatore di dar libero sfogo alle proprie pulsioni. Ci troviamo di fronte a una completa mancanza di controllo della propria situazione emotiva che, nella violenza e nella completa soggezione dell’altro, può eventualmente raggiungere l’apice del piacere. In altre parole, l’altro non deve esistere, cosicché la sua presenza muta e indifesa alimenti l’eccitazione, attraverso l’illusione di un sentimento di assoluta onnipotenza.
A dire il vero, si tratta di una forma fin troppo frequente di prevaricazione, che può esprimersi oltre che nella violenza fisica anche nella tortura psicologica. Sicuramente esiste una differenza di termini e di intensità tra le due situazioni, ma non così abissale come appare. Si può anche ipotizzare che un uomo, distruggendo giovani vite, esprima il desiderio di vendicare la propria infanzia mancata e un’esistenza costellata di fallimenti e frustrazioni.
L’odio e il desiderio di distruggere i bambini esprime, molte volte, l’odio verso progetti per una nuova vita che, nell’impossibilità di essere esauditi, si ergono contro di noi spingendoci all’intolleranza e alla furia devastatrice. È abbastanza chiaro quale sia la sorte di quest’uomo: verrà giustiziato e in tal modo la sua morte dovrebbe placare le coscienze inorridite da tanta e tale sete di sangue. Ma ciò non dovrebbe costituire un buon motivo per mettere a tacere i nostri dubbi circa la validità di un sistema sociale che, con troppa remissività, affida la risoluzione dei propri conflitti al gesto inconsulto. È accaduto in Colombia, ma ci sono stati precedenti, già noti alla cronaca, anche negli Stati Uniti, in Belgio, in Italia e in moltissime altre parti del mondo. Dunque non c’è geografia che tenga. La verità, quella che forse è troppo dolorosa da accettare, è che l’animo umano è capace del male e che il bene è ormai quasi un’eventualità.
Aldo Carotenuto
Tratto dal quotidiano “Il Messaggero” 31/10/1999.