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Lo studiosus Honegger

Lo studiosus Honegger

 21 Giugno 1909, lettera indirizzata da Carl Gustav Jung a Sigmund Freud:

Avrà ricevuto dallo studiosus Honegger una lettera che L’avrà in ogni caso divertito. E’ un giovane molto intelligente e di fine sensibilità, vuole dedicarsi alla psichiatria, mi ha consultato una volta in precedenza a causa di una perdita del senso di realtà durata alcuni giorni. (Psicastenia= introversione libidica= dementia precox). Lo spingo indirettamente ma con decisione verso l’analisi, affinchè si analizzi coscientemente, forse riuscirà così a prevenire l’autodisgregazione della dementia precox.[1]

Questa lettera è il primo documento che conosciamo in cui C.G. Jung cita Johann Jakob Honegger, un giovane medico che offrì un contributo decisivo per lo sviluppo teorico e tecnico della psicoanalisi nella sua fase pioneristica.

Johann Jakob Honegger nacque a Zurigo nel 1885, suo padre J. J. Honegger senior (1851-1896) era psichiatra presso la Clinica Psichiatrica di Zurigo, di cui fu anche Direttore per un breve periodo. Quando Johann aveva 11 anni il padre venne ricoverato e poi morì – nella stessa clinica che fino a due anni prima aveva diretto – a causa di una grave patologia organica al cervello che lo aveva reso psicotico.

Nel 1904 iniziò a frequentare la Facoltà di Medicina di Zurigo e nell’ultimo anno di corso (1909) presso il Burghölzli conobbe C.G. Jung al quale, come si evince nella lettera sopra citata, si era rivolto per curare quelli che sembravano essere sintomi di depersonalizzazione/derealizzazione[2]. Jung individuò nello stato psichico di Honegger i prodromi della “dementia precox”, una forma di funzionamento psicotico del pensiero diversa però dalla “psicosi schizofrenica” già introdotta da Bleuler[3].

In quell’occasione Jung aveva suggerito allo studente di iniziare un’analisi e soprattutto di “analizzarsi coscientemente” per prevenire un peggioramento dello stato psichico. Non sappiamo che cosa, all’epoca, turbasse esattamente Honegger ma da quel momento tra Jung e lo studente iniziò uno scambio molto intenso basato sulla collaborazione professionale in clinica e sul rapporto analitico[4].

Quando i due medici si conobbero Jung si trovava in un momento della sua vita molto difficile: stava cercando di porre fine alla relazione d’amore con Sabina Spielrein[5], evento che lo aveva sconvolto sia dal punto di vista umano che professionale. In questa sofferta solitudine Jung trovò nella relazione con lo studente (più giovane di lui di 10 anni) un grande conforto:

Ho trascorso parecchio tempo col giovane Honegger, un uomo di estrema intelligenza e di fine sensibilità. Non passa giorno senza che mi si offra l’occasione di uno scambio intellettuale. Così colmo le mie lacune…[6]

Dopo aver terminato il corso di studi Honegger diventò medico volontario presso il Burghölzli dal 7 Gennaio al 12 Marzo 1910[7]. La stima che Jung nutriva nei confronti del giovane collega era tale che non solo gli aveva affidato il compito di approfondire le ricerche che facevano luce sui legami tra dementia precox e mitologia, ma si era rivolto a lui in qualità di analista:

[Honegger] è un uomo che lavora in maniera eccellente, come nessuno dei miei discepoli ha fatto finora. Ha fatto parecchio anche per me personalmente, infatti ho dovuto affidargli alcuni dei miei sogni. Nel periodo in cui non Le ho scritto sono stato infatti tormentato dai complessi…[8]

Non era la prima volta che Jung sperimentava con un paziente il procedimento dell’“analisi reciproca”, infatti già due anni prima si era lasciato analizzare da Otto Gross[9] (in seguito si fece analizzare anche da Maria Moltzer[10] e da Toni Wolff).

Honegger aveva suscitato una forte impressione anche su Freud, al punto da consentire al medico di intervenire psicoanaliticamente su di lui:

Honegger mi ha compreso a fondo; stando a questa prova il giovane ha attitudine per la psicoanalisi” (lettera del 12/07/1909 a Pfister)[11]; “Honegger mi ha fatto una splendida impressione, dalla quale mi riprometto grandi cose.” (lettera del 2/1/1910 a Jung)[12]; “Penso che lei porti Honegger a Norimberga; anche con me ha avuto uno splendido successo con un esperimento sul mio corpo, e forse ci porta la sensibilità di Stekel per l’interpretazione inconscia, senza la sua acriticità e brutalità.” (lettera del 2/2/1910 a Jung)[13].

Sia Freud che Jung avevano dunque iniziato a nutrire notevoli aspettative verso Honegger: il maestro di Zurigo, in particolare, aveva deciso di affidargli il compito di scoprire i nessi tra dementia precox e mitologia, contemporaneamente, come un padre nei confronti del figlio, supportava la carriera del giovane:

Honegger ha già fatto i suoi primi passi lì da Lei, ora lavora con me con grande intelligenza e gli affiderò tutto ciò che ho affinchè se ne cavi qualcosa di nuovo. […] il Dottor Bircher-Benner (n.d.A. un noto dietologo dell’epoca) si è fatto vivo con me in maniera molto cortese, e spero di potere in futuro sistemare Honegger da lui.” (lettera del 25/12/1909 a Freud)[14].

Il caso Schwyzer

Perseguendo la ricerca che gli era stata affidata, agli inizi del 1910 Honegger si dedicò per due mesi all’analisi di un uomo affetto da “demenza paranoide” che, circa 3 anni prima, Jung stesso aveva tentato di analizzare senza riuscire a ricavarne nulla di significativo[15]. Il giovane medico riferiva che il suo lavoro aveva preso avvio da un suggerimento contenuto nei lavori di Jung[16].

Il paziente in questione si chiamava Emil Schwyzer: nato nel 1862 era stato internato nella clinica di Zurigo nel 1901, dopo precedenti ricoveri all’estero e un tentativo di suicidio. Dagli appunti di Honegger si evince che il paziente non rispondeva agli esperimenti associativi o alle libere associazioni (strada probabilmente tentata da Jung quando aveva incontrato il soggetto 3 anni prima), eppure di fronte a domande specifiche in merito alla natura dei suoi deliri Schwyzer aveva prodotto risposte che facevano riferimento ad antiche idee filosofiche e religiose delle quali lo stesso non poteva avere conoscenza dal momento che aveva conseguito il grado più basso di istruzione. E’ il famoso caso “L’uomo del fallo solare” citato da Jung in “Simboli della trasformazione” (1912/1952)[17] a supporto del costrutto di “inconscio collettivo”.

Honegger riteneva di aver scoperto nel soggetto un sistema di pensiero delirante che si esprimeva attraverso contenuti mitologici originari dello sviluppo umano.

Sonu Shamdasani, dopo ampia ricerca, ha affermato che le domande poste dal medico a Schwyzer fossero di natura “suggestiva”: il paziente avrebbe assecondato le fantasie cosmologiche proposte dal clinico poiché questi si era mostrato interessato a lui e alla sua storia. Questa forma di indagine mina sicuramente la sincerità e la spontaneità del racconto clinico, tanto che Shamdasani lo definisce un caso di “folie à deux”[18].

A nostro avviso è possibile che la natura suggestiva delle domande proposte da Honegger sia da attribuire alla poca esperienza del giovane e principalmente al suo desiderio di rinvenire a tutti i costi dati a supporto delle ipotesi cliniche che C.G. Jung, suo maestro e mentore, stava approfondendo in quel periodo. A onor del vero bisogna aggiungere che negli ambienti psicoanalitici a lungo si è vociferato che il delirio del fallo solare fosse in realtà il prodotto di una crisi psicotica vissuta dallo stesso Honegger[19].

In realtà dalle testimonianze documentali finora emerse non c’è alcuna prova a favore di questa tesi (le carte di Honegger relative alla cartella clinica di Schwyzer sono consultabili presso l’Università di Zurigo). Al contrario sappiamo che Jung riponeva la massima stima e fiducia nel suo assistente, infatti in previsione del suo viaggio in America nel Marzo 1910, il maestro affidò a Honegger tre compiti gravosi che il giovane riuscì a portare brillantemente a termine: occuparsi dei suoi pazienti in clinica, aiutare Emma (moglie di Jung) ad organizzare il Congresso di Norimberga che si sarebbe tenuto alla fine del mese (30/31 Marzo 1910) e proseguire il lavoro sul caso Schwyzer che avrebbe poi relazionato al Congresso col titolo “Analisi di un caso di demenza paranoide”[20].

L’intervento di Honegger fu accolto con molto interesse e soddisfazione in particolare da Freud, tuttavia secondo Deirdre Bair (autrice di una nota biografia su C.G. Jung) la relazione del giovane medico fu un disastro in quanto egli “sprofondò in un discorso confuso, maniacale, onnipotente e paranoico[21]. A onor del vero non abbiamo trovato nel testo della scrittrice la citazione della fonte alla quale si è affidata per fare tale affermazione ma se scegliamo di dare credito alla sua versione esisterebbe allora una netta discrepanza tra l’esposizione penosa di Honegger e le reazioni soddisfatte espresse da Freud e Jung: perché nessuno dei due si allarmò per il comportamento disorganizzato di Honegger? Perché il suo intervento fu accolto trionfalmente? La questione resta aperta in mancanza di ulteriori testimonianze.

 

Il progetto Jung-Honegger e il suo fallimento

Subito dopo la chiusura dei lavori congressuali Honegger ottenne un posto come assistente presso l’Ospedale di Territet sul lago di Ginevra. Il suo trasferimento venne accolto da Jung con dispiacere:

“Ho lasciato partire Honegger per il suo ospedale di Territet con sentimenti di dolore…[…] Non lascio però che Honegger parta definitivamente. Voglio fare di tutto per realizzare il progetto.”[22].

Il “progetto” al quale si riferisce Jung era probabilmente quello di avviare un’attività clinica con lo stesso Honegger, infatti in un carteggio tra il medico e l’amico d’infanzia W. Gut (Professore di Teologia e successivamente Rettore dell’Università di Zurigo) leggiamo:

…mentre ti prego di dare una mano a mia moglie [era la sua promessa sposa, N.d.A.] nella ricerca di un ufficio passabile per la ditta Jung-Honegger. La fase di transizione in Küsnacht deve ora assolutamente venire superata… Dovrebbe consistere in tre stanze ammobiliate con telefono…” (lettera di Honegger a W. Gut, 17/6/1910)[23].

Questo piano tuttavia non fu mai realizzato, i motivi restano ignoti.

Sempre da una lettera di Honegger a Gut sappiamo che il giovane medico non si trovava a suo agio nella clinica a causa della mancanza di un adeguato scambio scientifico[24]. Jung, invece, era dell’avviso che il ruolo presso l’Ospedale di Territet fosse utile affinché il giovane ultimasse il lavoro di tesi sul caso Schwyzer, dal momento che voleva assumerlo ufficialmente come suo assistente ma a patto che questi terminasse la ricerca e ottenesse il dottorato. Nella lettera del 2 giugno 1910 Jung espresse parole molto severe nei confronti di Honegger:

… per quanto riguarda il lavoro ho le mie idee in fatto di disiplina. Egli legge troppo poco e “lavora” un po’ troppo da genialoide. Là egli avrebbe tutto il tempo per lavorare e specialmente per leggere, ed è questa una sua lacuna notevole. Quel continuo cambiar posto dietro suggerimento mi sembra la copertura di una mancanza di autonomia. E’ una cosa che non apprezzo, e soprattutto sono molto contrario a tanta arrendevolezza. […] Forse sono troppo severo nel giudicarlo, visto che io stesso fatico sovente, e quanto!…[25].

Freud, nella lettera di risposta a Jung, spese parole colme di affetto ed empatia nei confronti di Honegger arrivando a “redarguire” le aspettative rigide del collega:

Mi interesso molto delle sorti del giovane Honegger e volentieri dico la mia opinione, dato che Lei me lo chiede nella mia qualità di “nonno”. […] Io trovo che Lei è troppo rigido nel pretendere che le condizioni di giudizio di lui siano altrettanto indipendenti dalla libido umana quanto le Sue: egli, ne abbiamo convenuto, appartiene a una generazione più giovane, ha avuto ancora poco amore e in generale è più malleabile. Non sarebbe affatto desiderabile che egli fosse la Sua copia. Se ne può servire molto meglio così com’è. Egli ha una fine ricettività, sagacia psicologica e una buona immedesimazione nel “linguaggio base”. Il suo attaccamento per Lei sembra straordinario, e il suo valore personale è ancora aumentato dalla situazione attuale, in cui Lei deve affrontare gli avversari in campo zurighese. Perché allora Lei non lo vuole adoperare così come è, e educarlo piuttosto sulla base delle sue qualità, invece che modellarlo su di un ideale che gli è estraneo?”[26].

Jung, dopo le iniziali perplessità – e anche grazie all’intervento di Freud – si risolse ad assumere Honegger in qualità di assistente nella primavera del 1910[27] tuttavia, nonostante “la promozione” ottenuta, i mesi a venire si rivelarono particolarmente duri per il giovane. Scrive Jung nel novembre 1910:

Caro Professore […] ho una quantità tremenda di lavoro. Primo con i pazienti, poi con la mia scienza, terzo con Honegger i cui affanni mi opprimono. Adesso si è presentato – e anzi ci siamo dentro fino al collo, proprio dove scotta di più – ciò di cui parlammo a Norimberga: il problema della fidanzata. La situazione è diventata sentimentale e insopportabile. Ho l’impressione che egli sia tentennante, e si aggrappi, ma rimanga fermo allo stadio di tentativo. La situazione è spiacevole e opprimente. Di conseguenza non ricevo il minimo aiuto da Honegger. […] Honegger pare ora essersi definitivamente disamorato, il che significa certo la sua salvezza.[28]

Quando Jung conobbe Honegger questi era promesso sposo di Helene Widmer la quale, per un breve periodo, era stata assunta dallo stesso Jung in qualità di segretaria: egli aveva anche espresso giudizi molto positivi sulla ragazza (“l’ho giudicata troppo severamente, lavora in maniera egregia”, 24 maggio 1910)[29].

Non sappiamo bene cosa avvenne nei mesi successivi ma dal carteggio Freud-Jung emerge come nel novembre 1910 la coppia avesse notevoli problemi relazionali tali da condizionare gravemente le capacità lavorative del giovane. Probabilmente Honegger si sentiva schiacciato tra i conflitti con Helene e le pressioni del suo Maestro – che stava oltremodo deludendo – affinché rompesse il fidanzamento.

Jung non cita più il suo assistente nelle lettere successive indirizzate a Freud, sappiamo però che Honegger, nel febbraio 1911, si allontanò dal Maestro scegliendo di ricoprire il ruolo di assistente presso l’Ospedale psichiatrico di Rheinau, una decisione poco “conveniente” per la carriera psichiatrica, dal momento che questa struttura ospitava soprattutto casi cronici[30].

Non possediamo documenti in grado di spiegare cosa spinse esattamente Honegger a trasferirsi a Rheinau: Walser ha interpretato tale decisione come una fuga da chi, con le sue pressioni psicologiche, gli aveva reso la vita intollerabile, ovvero la fidanzata e il suo mentore[31].

E’ interessante (sintomatico?) notare che in seguito alla missiva in cui Jung aveva raccontato il doloroso momento che stava attraversando il suo assistente, il nome di Honegger non compaia più nel noto epistolario fino al 31 marzo 1911 quando Jung informa Freud del suicidio commesso dal giovane[32]:

… sono stato informato per telefono che Honegger si è suicidato con la morfina. Il giorno dopo avrebbe dovuto prendere parte a una esercitazione militare. L’unico motivo è stata la fuga davanti alla psicosi, poiché non voleva rinunciare a nessun costo a vivere secondo il principio di piacere.[33]

 

Un suicidio, diverse interpretazioni

 

C.G. Jung e S. Freud furono subito di comune accordo nel pensare che il suicidio del medico fosse da attribuire all’aggravarsi di uno stato di “dementia precox” precedentemente diagnosticata e poi sottovalutata dallo stesso Jung. Eppure altre testimonianze offrono scenari diversi dietro lo stesso epilogo.

Secondo Karl Gehry, amico e collega del giovane, Honegger sembrava sereno e impegnato nell’attività clinica fino a quando non ricevette la chiamata di leva come medico militare, evento che avrebbe scatenato in lui sentimenti cupi e apatia. Gehry tentò di convincere l’amico a farsi rilasciare da Jung un certificato per ottenere l’esonero dal servizio di leva ma Honegger non lo fece mai. Per Gehry, che pure era in stretto contatto con il giovane, la sua morte fu totalmente inaspettata[34].

Una versione diversa è quella sostenuta da Walter Gut il quale colloca l’inizio dei sentimenti depressivi di Honegger circa sei mesi prima del suicidio – settembre 1910 – quando dunque egli ancora lavorava con Jung. Gut riferì che l’amico si era chiuso in “un’autoanalisi diabolicamente distruttiva”, unita a sentimenti di solitudine, alienazione e paura della vita[35].

Secondo il Direttore della clinica di Rheinau, Friederich Ris, il motivo del suicidio era da attribuire alla paura del giovane di impazzire proprio come era successo al padre. Ai pazienti dell’ospedale fu detto che il medico era morto per attacco cardiaco[36].

Jung, in una lettera indirizzata allo psicoanalista Trigant Burrow, offrì un’altra interpretazione del gesto: disse che Honegger era ambizioso e che, considerando la fidanzata come un ostacolo, aveva rotto il fidanzamento. Lo stesso aveva poi intrecciato una relazione con una paziente, infine aveva rinunciato al lavoro con Jung interrompendo i contatti con lui. Secondo lo psicoanalista il giovane si era suicidato dopo essersi reso conto di aver preso le decisioni sbagliate e che non credeva abbastanza nella vita. In questa lettera descrisse la morte di Honegger come una grande perdita poiché lo considerava l’unico amico con cui fosse affiatato a Zurigo [37].

Da un carteggio ancora inedito tra gli psicoanalisti Ludwig Binswanger e Franz Riklin sembra emergere che i colleghi di Zurigo fossero a conoscenza del fatto che Honegger avesse tentato più volte il suicidio, manifestando deliri di persecuzione. In particolare Binswanger, in una lettera dell’11 febbraio 1911, scrisse a Riklin che da tempo era preoccupato per il giovane e che lo aveva comunicato a Jung (“Sul fatto che da Honegger ci si dovesse aspettare qualcosa lo avevo già capito da un pezzo e avevo anche scritto a Jung in tal senso. Che non si sia trattato davvero di una forma di demenza precoce?”)[38].

Herman Numberg, come abbiamo già detto, riteneva che Honegger fosse affetto da una psicosi florida già nel periodo di collaborazione con Jung al Burghölzli.

La biografa Deindre Bair sostiene che negli ultimi anni della sua vita Honegger fosse solito procurarsi tagli, bruciature, abrasioni che poi attribuiva alla sbadataggine o alla stanchezza dovuta al troppo lavoro[39]. La stessa scrittrice afferma che dal contenuto degli appunti del medico fosse evidente la presenza di “una malattia mentale”, al contrario Shamdasani sostiene che “non c’è alcuna implicazione, da parte di Jung, che Honegger fosse mentalmente malato quando esercitava come psichiatra e lavorava con Jung come suo allievo e assistente.”[40]. Invero c’è da dire che lo stesso Shamdasani ha descritto l’interazione tra Honegger ed Emil Schwyzer come un caso di “folie à deux” (vedi nota 18).

 

La morte di Honegger e l’introduzione dell’analisi didattica

 

La morte del giovane ebbe un profondo impatto su C.G. Jung, scatenando nello psicoanalista sentimenti complessi di colpa, comprensione, ammirazione, pena. In una lettera a Freud del 19 aprile 1911 scrisse:

Questo colpo ha lasciato il segno. […] Se considero questo destino non posso comunque non capire che il suicidio è mille volte meglio del sacrificare la pienezza delle più splendide doti intellettuali al Moloch della nevrosi e della psicosi…[…] E’ stato il suo primo atto di sacrificio, e purtroppo è stato un suicidio. Lo ha compiuto in bellezza, senza grida, senza sentimentalismi tipo lettere etc. […] senza aver lasciato prima trapelare il minimo segno delle sue intenzioni. Questo modo di agire ha in sé qualcosa di grande.[41] (nella stessa lettera Jung si diceva intenzionato a pubblicare le ricerche di Honegger ma questo non è mai avvenuto).

Il Maestro di Zurigo si sentiva per certi versi responsabile per la morte dell’assistente[42] poiché intuiva che nella relazione con Honegger era “mancato qualcosa” a più livelli e ciò lo condusse a una revisione della prassi clinica. Jung scrisse a Freud che non sospettava la presenza in Honegger di fantasie deliranti distruttive quindi riconobbe la necessità di favorire l’emersione delle fantasie inconsce insite nella psiche dei pazienti, quale materiale decisivo per capire vissuti psichici profondi[43].

Sempre in questo periodo Jung propose di formalizzare l’analisi didattica per gli aspiranti psicoanalisti: rispetto all’agire clinico del tempo fu una novità decisiva. Agli albori della ricerca psicoanalitica ciò che veniva chiesto agli aspiranti psicoanalisti era di impegnarsi in una “autoanalisi” seguendo i principi freudiani, ma l’esperienza dei pionieri dimostrò la necessità di uno spazio in cui l’analista potesse confrontarsi con un collega esperto circa le componenti complessuali che potevano ostacolare la comprensione del materiale clinico.

Come sappiamo nel circolo zurighese già veniva praticata l’analisi reciproca dei sogni: Jung aveva provato l’esperimento con Otto Gross, con Sabina Spielrein e soprattutto con Honegger. Tutti e tre i casi avevano prodotto esiti molto dolorosi per la vita personale del medico di Zurigo, il più drammatico era stato certamente il suicidio inaspettato del suo assistente.

Secondo Walser è possibile ipotizzare che la morte di Honegger sia stata l’evento che indusse definitivamente Jung a formulare la necessità dell’analisi didattica[44]. Non esistono, ad oggi, documenti in grado di provare la diretta correlazione tra questi due eventi; nelle sue opere non ci sono passi in cui egli introduce esplicitamente il tema[45]. Tuttavia diversi storici della psicoanalisi (Shamdasani; Innamorati e Sarracino, vedi note) sono concordi nell’ipotizzare che la proposta di formalizzare l’analisi didattica da parte di Jung fu esplicitata tra il 1911 e il 1912, quindi subito dopo il decesso di Honegger avvenuto nel Marzo 1911. Il primo accenno è presente negli atti relativi alle conferenze che tenne alla Fordham University.

“Non bisogna stancarsi di ripetere che la comprensione pratica e teorica della psicologia analitica è una funzione dell’autoconoscenza analitica. Dove fallisce la conoscenza di sé, nessuna psicoanalisi può fiorire.”[46]

L’unico grande pericolo è che le pretese infantili non riconosciute del medico s’identifichino con le pretese altrettanto infantili del paziente. A questo pericolo il medico sfugge solo sottoponendosi a una rigorosa analisi condotta da un altro. Egli impara anche a comprendere che cosa significhi veramente l’analisi, e come ci si senta quando la si vive nella propria anima. Ogni persona avveduta capirà subito quanto ciò sia utile anche al suo paziente. Vi sono medici che credono di riuscirci con l’autoanalisi. Questa è psicologia alla barone di Münchhausen, che porta sicuramente al fallimento. Essi dimenticano che una delle più importanti condizioni di efficacia terapeutica è proprio la sottomissione al giudizio obiettivo di un altro. Verso noi stessi siamo ciechi, nonostante tutto e tutti. La solitudine orgogliosa, la propensione autoerotica al mistero, dovrebbero essere la prima cosa che il medico abbandona, se vuole educare i suoi pazienti a diventare personalità socialmente mature e autonome.[47]

 

Secondo Shamdasani l’istituzione dell’analisi didattica fu proposta per risolvere il problema epistemologico dell’“equazione personale” del terapeuta, in quanto l’analisi didattica era l’unico strumento in grado di garantire che la trasmissione del sapere analitico avvenisse secondo criteri condivisi.

Tale introduzione ebbe un ruolo cruciale in quanto permise alla psicoanalisi di differenziarsi dalle altre forme di psicoterapia (che al contrario non prevedono la necessità per l’operatore di alcun confronto esterno) e questo, secondo il ricercatore, è uno dei principali motivi che hanno permesso lo sviluppo costante e duraturo della prassi psicoanalitica[48].

Per capire meglio i motivi che a nostro avviso – in accordo con Walser – ci hanno condotto a ipotizzare una stretta connessione tra la morte di Honegger e l’innovazione tecnica proposta da Jung, dobbiamo ritornare al periodo precedente la morte del giovane.

Dinamiche di un triste epilogo

Honegger conobbe Jung quando era un brillante studente di Medicina con il desiderio di diventare uno Psichiatra, come già lo era stato il padre. Si era rivolto a Jung in qualità di paziente e di lì a breve al rapporto analista-paziente si sovrappose quello di collaborazione scientifica all’interno del Burghölzli.

Come abbiamo precedentemente affermato, non conosciamo i contenuti e le modalità in cui si svolse l’analisi di Honegger (vedi nota 4) sappiamo però che Jung inizialmente aveva attribuito il malessere del medico a una condizione di “dementia precox” e che poi utilizzò la stessa diagnosi solo nella lettera in cui comunicava a Freud il decesso del giovane.

Quello che è certo, ed emerge dai documenti, è che il giovane medico collaborò professionalmente con Jung per oltre un anno, portando avanti con successo compiti gravosi, senza che quest’ultimo parlasse mai di deliri o scompensi psicotici in Honegger.

 

Cosa successe tra la prima e l’ultima diagnosi? Honegger prima era “guarito” grazie all’analisi e poi era improvvisamente ripiombato nella psicosi? E’ possibile che fin dall’inizio non si trattasse di una psicosi franca ma di sintomi nevrotici/borderline come “depersonalizzazione/derealizzazione”? Com’è possibile che nonostante una diagnosi tanto grave l’uomo fosse in grado di lavorare in un ambiente di per sé psicotizzante?

Sono ovviamente domande alle quali è impossibile rispondere senza poter interrogare i protagonisti della storia, tuttavia sono utili a evidenziare il clima di contraddizioni e ambiguità che pervase l’intera vicenda ed è, a nostro avviso, imputabile anche, e soprattutto, al periodo storico in cui si svolsero gli eventi narrati.

La ricerca psicoanalitica era all’alba della sua esistenza, i ricercatori si muovevano continuamente per tentativi e revisioni dell’operato; gli inevitabili errori costituivano il più fertile terreno per la comprensione, e poi risoluzione, di complesse dinamiche intrapsichiche e relazionali (vedi Freud e il famoso caso di Dora, oppure l’analisi reciproca tra Ferenczi ed Elizabeth Severn).

Seguendo il pensiero di Walser possiamo convenire che anche la triste storia di Honegger possa in parte essere letta come frutto dei rischi legati a una prassi clinica esercitata da pionieri.

Tra questi, in primo luogo, la mancanza di confini ben definiti: la relazione tra i due uomini fu da subito complessa poiché Jung incarnava sia la figura dell’analista che ha il compito di comprendere il vissuto emotivo dell’altro senza giudizio né aspettative, sia quella del Maestro che Honegger ammirava e non voleva deludere.

Jung riconobbe le doti del giovane ma allo stesso tempo non potè fare a meno di essere nei suoi confronti estremamente severo e giudicante, poiché combatteva con l’immagine speculare dei propri difetti. Freud stesso scrisse al collega che non poteva pretendere che il giovane fosse una mera copia di se stesso e che doveva imparare ad accettarlo per quello che era, valorizzando le sue risorse anziché i limiti.

Possiamo solo immaginare come potesse sentirsi Honegger in una situazione in cui il bisogno di farsi aiutare si trovava a coincidere con la necessità di mostrarsi a tutti i costi all’altezza delle aspettative professionali e delle pressanti proiezioni paterne di Jung. Sappiamo come la figura di Maestro sia affine a quella di Padre e sia in grado di scatenare potenti dinamiche transferali: se pensiamo che Honegger aveva perso il padre a 11 anni forse è possibile pensare che in questa relazione ci fossero in gioco contenuti affettivi e distruttivi tanto potenti quanto il fatto che egli non aveva potuto viverli fino in fondo con la figura paterna.

Sempre in tema di “sconfinamenti”, Jung intervenne direttamente nelle scelte di vita di Honegger premendo affinché questi lasciasse la fidanzata, biasimandolo poiché egli non riusciva a farlo ed era entrato in uno stato di profondo malessere che condizionava il suo lavoro.

Jung inoltre non aveva considerato il suo controtransfert: aveva fatto del giovane il suo “principe ereditario”, investendolo di alte aspettative, senza però rispettare fino in fondo la sua natura profonda (esattamente ciò che si stava profilando nel rapporto tra Jung stesso e Freud e sarebbe esploso qualche anno più tardi).

Seguendo le suggestioni di Gallerano e Zipparri[49] è possibile ipotizzare che il tipo di relazione tra Jung e Honegger avesse inconsapevolmente alimentato il “Falso Sé” del giovane, retto dal bisogno di soddisfare idealmente le richieste “paterne” e allo stesso tempo terrorizzato dall’idea di poterle deludere.

Sia Jung che Helene, la promessa sposa, esercitavano forti pressioni psicologiche sul medico: inizialmente questi cercò di risolvere la situazione allontanandosi da entrambi per andare a lavorare a Rheinau ma, come sappiamo, ciò non bastò a lenire le angosce profonde dell’uomo. La chiamata di leva probabilmente fu per Honegger l’ennesima pressione agita sul Falso Sé: alla luce di questa congettura possiamo pensare che il suicidio sia stato un tentativo estremo di liberarsi dalla dimensione fittizia divenuta insostenibile.

Se, come affermava Stekel, ci si suicida per non uccidere un altro[50] allora è possibile che Honegger abbia scelto l’autoannientamento per non “uccidere” il Padre-Jung?

Nell’articolo “Lettera a Honegger” (1977)[51] Aldo Carotenuto ha proposto un’analisi critica del rapporto tra Maestro e allievo mettendo in luce come uno dei più forti rischi di tale relazione sia legato al bisogno del più esperto di vivere l’allievo come un’estensione narcisistica di se stesso.

In questo caso il Maestro si aspetta dall’allievo che egli sia pronto a confermare sempre e comunque le Sue idee e sia fedele oltre ogni ragionevole dubbio; il Maestro poi tenderà a considerare l’allievo un “collega” quando il rapporto è rafforzato da conferme narcisistiche, al contrario, nel caso in cui l’allievo inizi a mostrare segni di divergenza e autonomia, il più esperto si convincerà dell’idea che questi sia malato, complessato (strategia della patologizzazione)[52] o ingrato.

Ancora, l’allievo che si è identificato con l’estensione narcisistica del Maestro vivrà una paralisi del pensiero creativo e soprattutto si sentirà profondamente in colpa per ogni possibile motivo di divergenza da questi[53].

Tornando al gesto di Honegger il suicidio può essere anche letto come tentativo estremo di rifiutare le proiezioni del Maestro, un atto di sacrificio volto a difendere la propria libertà e individualità. Purtroppo il giovane non fu in grado di trasformare il piano letterale della morte, nel piano simbolico dell’autonomia psichica, da qui il triste epilogo.

 

Dopo le tristi vicende che lo avevano visto coinvolto con Otto Gross e Sabina Spielrein, la morte di Honegger fu per Jung il dolore decisivo che gli permise di comprendere non solo l’importanza cruciale insita nella conoscenza delle dinamiche transferali e controtransferali che muovono l’analisi ma, in particolare, la necessità per gli aspiranti analisti di sottoporsi a un’analisi personale del profondo.

Egli si rese probabilmente conto di aver sottovalutato l’impatto che le sue proiezioni paterne potevano aver generato sul “Falso sé” del giovane medico; questo lo portò a difendere strenuamente l’idea che l’analisi personale fosse uno spazio necessario e sicuro per consentire all’aspirante analista di maturare come persona, e poi professionista, al riparo dalle pressioni o dalle ambizioni narcisistiche.

Oggi più che mai, Maestri e allievi, dobbiamo riconoscere, con umiltà e amore, che “verso noi stessi siamo ciechi, nonostante tutto e tutti[54].

 

ABSTRACT

Lo studiosus Honegger

Il presente articolo si propone di approfondire la storia drammatica e poco nota di Johann Jakob Honegger, un giovane medico che fu paziente, collaboratore e poi assistente di C. G. Jung. Honegger è una figura importante per la storia della psicoanalisi perché fu il medico che analizzò Emil Schwyzer, l’uomo del “fallo solare”, famoso caso clinico che Jung utilizzò per formulare l’idea dell’inconscio collettivo.

Il rapporto tra Honegger e il Maestro di Zurigo, a causa del suo tragico epilogo, fu probabilmente decisivo anche per indurre quest’ultimo a formalizzare l’analisi didattica come requisito basilare per ogni aspirante analista.

 

PAROLE CHIAVE: J.J. Honegger, C. G. Jung, S. Freud, analisi didattica, suicidio, carteggio Freud-Jung, Emil Schwyzer, inconcio collettivo.

 

The studiosus Honegger

This article aims to examine in depth the dramatic and little-known story of Johann Jakob Honegger, a young physician who was patient, colleague and then assistant to C. G. Jung. Honegger is an important figure for psychoanalysis history because he was the one who analyzed Emil Schwyzer, the man of “solar phallus”, a famous clinical case that Jung used to formulate the idea of “collective unconscious”.

The relationship between Honegger and the Master from Zurich, due to his tragic epilogue, was probably also decisive for inducing Jung to formalize the didactic analysis as a basic requirement for every aspiring analyst.

 

KEY WORDS: J.J. Honegger, C.G. Jung, S. Freud, didactic analysis, suicide, Freud-Jung, Emil Schwyzer, collective inconscious.

 

 

PRESENTAZIONE

 Benedetta Rinaldi, Psicologa e psicoterapeuta, è esperta in “ipnosi clinica” e Socio del “Centro Studi Psicologia e Letteratura” fondato da Aldo Carotenuto. Professore per la cattedra di “Modelli teorici, tecniche di ricerca e intervento in Psicologia Dinamica” presso l’Università degli studi Guglielmo Marconi di Roma. E’ esperta in Psicologia Giuridica e docente di “Criminologia” per il Master in Scienze Criminologiche presso l’Università degli studi Guglielmo Marconi di Roma.

Lavora privatamente a Roma e Acilia.

Sito Web: www.benedettarinaldi.it

rinaldi.bene@gmail.com

 

Benedetta Rinaldi, psychologist psychotherapist, expert in “clinical hypnosis” and she’s a member of “Centro Studi Psicologia e Letteratura” founded by Aldo Carotenuto. She lectures in the faculty of “Modelli teorici, tecniche di ricerca e intervento in Psicologia Dinamica” and teaches a course in Criminology for a Master’s Degree in Criminological Sciences at the “University for Studies Guglielmo Marconi” in Rome. She practices privately in Rome and Acilia.

Web site: www.benedettarinaldi.it

rinaldi.bene@gmail.com

NOTE

[1] Lettere tra Freud e Jung (1974) trad. it. di Mazzino Montinari e Silvano Daniele, p. 255, Boringhieri, Torino.

[2] Walser H. (1977), Una tragedia delle origini della psicoanalisi, Rivista di Psicologia Analitica, vol. 15, p. 25, Marsilio Editori, Venezia.

[3] Ibidem, p.23.

[4] Non sono stati rinvenuti appunti di Jung relativi all’analisi di Honegger perciò non abbiamo informazioni su frequenza delle sedute, setting e contenuti specifici; Jung riporta solo qualche accenno a elementi mitologici riferiti dal paziente (Walser, 1977).

[5] Carotenuto A. (1980), Diario di una segreta simmetria, Astrolabio Editore, Roma.

[6] Lettere tra Freud e Jung (1974) trad. it. di Mazzino Montinari e Silvano Daniele, p. 282, Boringhieri, Torino.

[7] Shamdasani S. (2003), Jung e la creazione della psicologia moderna, trad. it., p. 258, Magi Editore, Roma.

[8] Lettere tra Freud e Jung (1974) trad. it. di Mazzino Montinari e Silvano Daniele, p. 310, Boringhieri, Torino.

[9] Ibidem, p. 165.

[10] Antonelli G., 1994, L’immagine di Jung negli epistolari freudiani, Giornale Storico di Psicologia Dinamica, vol. 36, Liguori, Napoli.

[11] Psychoanalisys and faith. Letters of S. Freud and O. Pfister (1963), p. 26, Basic Books, New York.

[12] Lettere tra Freud e Jung (1974) trad. it. di Mazzino Montinari e Silvano Daniele, p. 303, Boringhieri, Torino.

[13] Ibidem, p. 313.

[14] Ibidem, p. 300-301.

[15] Shamdasani S. (2003), Jung e la creazione della psicologia moderna, trad. it., p. 258, Magi Editore, Roma.

[16] Ibidem, p. 259.

[17] Jung C.G. (1912/1952) Simboli della trasformazione, trad. it., p.108 e 142, Bollati Boringhieri, Torino.

[18] Shamdasani S. (2003), Jung e la creazione della psicologia moderna, trad. it., p. 260, Magi Editore, Roma.

[19] Walser H. (1977), Una tragedia delle origini della psicoanalisi, Rivista di Psicologia Analitica, vol. 15, p. 23, Marsilio Editori, Venezia.

[20] Lettere tra Freud e Jung (1974) trad. it. di Mazzino Montinari e Silvano Daniele, p. 326, Boringhieri, Torino.

[21] Bair D. (2003) Jung, a biography, p. 184, Little, Brown.

[22] Lettere tra Freud e Jung (1974) trad. it. di Mazzino Montinari e Silvano Daniele, p. 328, Boringhieri, Torino.

[23] Ibidem, p. 363.

[24] Walser H. (1977), Una tragedia delle origini della psicoanalisi, Rivista di Psicologia Analitica, vol. 15, p. 21-22, Marsilio Editori, Venezia.

[25] Lettere tra Freud e Jung (1974) trad. it. di Mazzino Montinari e Silvano Daniele, p. 351, Boringhieri, Torino.

[26] Ibidem, p. 353.

[27] Ibidem, p. 355.

[28] Ibidem, p. 398.

[29] Ibidem, p. 344.

[30] Walser H. (1977), Una tragedia delle origini della psicoanalisi, Rivista di Psicologia Analitica, vol. 15, p. 22, Marsilio Editori, Venezia.

[31] Ibidem, p. 26.

[32] Honegger muore il 28/3/1911 all’età di 26 anni; al momento della morte non si era ancora ufficialmente laureato in Medicina in quanto doveva terminare e discutere la tesi che in parte aveva già presentato al Congresso di Norimberga col titolo “Analisi di un caso di demenza paranoide”

[33] Lettere tra Freud e Jung (1974) trad. it. di Mazzino Montinari e Silvano Daniele, p. 443, Boringhieri, Torino.

[34] Walser H. (1977), Una tragedia delle origini della psicoanalisi, Rivista di Psicologia Analitica, vol. 15, p. 22, Marsilio Editori, Venezia.

[35] Ibidem, p. 24.

[36] Shamdasani S. (2003), Jung e la creazione della psicologia moderna, trad. it., p. 261, Magi Editore, Roma.

[37] Ivi.

[38] http://www.luzifer-amor.de/fileadmin/bilder/Downloads/DISSWIESER2001.pdf , p. 111. Ringrazio di cuore la Dott.ssa Adele Boldrini per la traduzione dal tedesco.

[39] Bair D. (2003) Jung, a biography, p. 646, Little, Brown. Qui la Bair cita una fonte “privata” in possesso dei documenti di Honegger.

[40] Shamdasani S. (2005), Jung messo a nudo dai suoi biografi, anche, trad. it., p. 110, Magi Editore, Roma.

[41] Lettere tra Freud e Jung (1974) trad. it. di Mazzino Montinari e Silvano Daniele, p. 447, Boringhieri, Torino

[42] Ibidem, p. 458-459.

[43] Ibidem, p. 463.

[44] Walser H. (1977), Una tragedia delle origini della psicoanalisi, Rivista di Psicologia Analitica, vol. 15, p. 29, Marsilio Editori, Venezia.

[45] Innamorati M., Sarracino D. (2012), Training Analysis: A Historical View, Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia, vol.3, n° 1, p. 37.

[46] Jung C.G. (1911) Recensione critica a Morton Prince, “Il meccanismo e l’interpretazione dei sogni”, Opere vol. IV, p. 56, Bollati Boringhieri, Torino.

[47] Jung C.G. (1912) Saggio di esposizione della teoria psicoanalitica, Opere vol. IV, p. 56, Bollati Boringhieri, Torino.

[48] Shamdasani S. (2003), Jung e la creazione della psicologia moderna, trad. it., p. 80, Magi Editore, Roma.

[49] Gallerano, B. Zipparri L. (2006-07), Le analisi di formazione all’interno della storia di una associazione analitica, La pratica analitica, vol. 4, Vivarium, Roma.

[50] Antonelli G. (2009), Sanguanalisi, Giornale Storico di Psicologia e Letteratura, vol. 9, Fioriti Editore, Roma.

[51] Carotenuto A. (1977), Lettera a Honegger, Rivista di Psicologia Analitica, vol. 36, p. , Marsilio Editori, Venezia.

[52] Rinaldi B. (2014), Eredi di-versi, Giornale Storico del Centro Studi Psicologia e Letteratura, vol. 19, Alpes Italia, Roma.

[53] Carotenuto A. (1977), Lettera a Honegger, Rivista di Psicologia Analitica, vol. 37, p. , Marsilio Editori, Venezia.

[54] Jung C.G. (1912) Saggio di esposizione della teoria psicoanalitica, Opere vol. IV, p. 56, Bollati Boringhieri, Torino.

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Benedetta Rinaldi
Psicologa e psicoterapeuta, è esperta in ipnosi clinica. Professore a contratto presso l’Università degli studi Guglielmo Marconi di Roma.