120 BATTITI AL MINUTO, regia di Robin Campillo. Recensione curata da Virginia Salles
120 batti al minuto, regia di Robin Campillo, film vincitore del Gran Prix al festival di Cannes 2017, candidato per la Francia come miglior film straniero agli Oscar, è ambientato agli inizi degli anni ‘90 sulle orme del movimento attivista Act Up – associazione di sieropositivi impegnata a rompere il silenzio generale sull’epidemia di AIDS che aveva ha già fatto milioni di vittime. Un carosello di immagini intrise di rabbia e di sangue scuote lo spettatore fino alle viscere, lo risveglia dal sonno dell’indifferenza e lo riempie di indignazione, senza mai annoiarlo. Un grido potente che desta le coscienze dormienti.
Nathan, il protagonista, in un momento del film, si lascia andare a parole sentimentali sulla visione della vita di chi, come lui, si avvicina alla fine, sulla “bellezza ritrovata”; riflessione che immediatamente interrompe con una irreverente, tragica, risata di scherno e di ribellione. Mai banale, il film di Campillo non tenta di impietosire lo spettatore né di accattivarsene le simpatia. E’ vero, originale, spietato. L’immagine della Senna rosso sangue, il segno del piacere sessuale sulle lenzuola di Nathan morente, ultimo generoso dono d’amore di Sean, il suo compagno, ci commuovono. Gli slogan, dirompenti ed indecenti per i “benpensanti”, le urla e le siringhe intrise di sangue, parlano da soli: parlano di rabbia, di amore, di lotta politica, di autodeterminazione. Della forza dell’Unione.
Accolto come un capolavoro, 120 battiti al minuto riempie le sale di tutto il mondo, ma in Italia è un grandioso flop. Teodora, la casa distributrice del film ci fornisce i numeri: appena diecimila spettatori – la sola comunità gay conta almeno 3 milioni di persone, senza considerare gli omosessuali “sommersi” (altrimenti sarebbero circa 6 milioni). A Genova solo 247 spettatori ed a Firenze 359, in 5 giorni. Escluse Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, il film è stato proiettato in due sale sia in Liguria che in Toscana ed in una sala in Puglia ed in Sardegna. Peccato, sarebbe ora che anche gli italiani rivolgessero la loro attenzione ad un tema così carico di significati esistenziali e umani che vanno ben oltre i risvolti politico-sociale della “malattia”. Un film da non perdere.
Recensione di Virginia Salles