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Vol. 24 – Visioni e visionari

In copertina: dipinto “Il visionario” (2015) di Gilberto G.Villela jr/GilVillelas, psicoanalista-artista – email: gilguimaraes@libero.it

 

Numero ricco. In questa circostanza, accresciuto dalla presenza di nuovi interventi che si inseriscono con agilità, ironia e competenza, nel tema che proponiamo questa volta: “Visioni e visionari”. Argomento vasto, complesso e profondamente legato al nostro essere-nel-mondo, che richiede un’attenzione e un impegno su più livelli. A partire da un fondamentale duplice punto di osservazione: l’esame dell’esperienza soggettiva del vedere come azione/dimensione fisica legata a processi neurofisiologici, e l’analisi della “visione”, quella del “visionario”, coinvolto e sollecitato a dare un senso e un contenuto alla sua dimensione umana e spirituale, così come egli stesso esperisce nella cultura, nella dimensione religiosa, artistica, mitica. Recuperando, così, anche lo sfondo archetipico del suo vivere.

Ci chiediamo, quante visioni, nella visione del mondo? L’occhio guarda, la mente vede. I latini sintetizzano in un detto, “tot capita tot sententiae”, l’assunto che per quanti sforzi faccia l’essere umano, sarà praticamente impossibile una visione empiricamente unica delle cose. Quell’esperienza chiamata “mondo” sfugge, in un gioco di rivelazioni e occultamenti, ad una cattura definitiva che lo delimiti, circoscriva in una parola, o, perfino, in una narrazione “unica”.

Abbiamo così la presenza di contributi che spaziano da una lettura “oltre frontiera” come quella di Virginia Salles; o come quella di Benedetta Rinaldi, che legge in termini psicodinamici gli oscuri percorsi delle intenzionalità del regista David Lynch; oppure alla presenza, nel lavoro di Angela dell’Armi, del delirio di un artista (Nerval) riletto e riformulato, come “tentativo dell’io di sopravvivere all’incontenibilità della follia”. In quello di Franca Cirone si propone il tema, in ambito letterario, “dell’apparire ed il mascherarsi… come elementi pregnanti nella struttura sociale odierna”. Mentre Marina Malizia che rilegge in chiave intimistica le vicende di un personaggio del ciclo del Re Artù, Perceval, da lei chiamato “Sir Percy”, focalizzando l’attenzione sulla “visione” che costituisce il nucleo centrale del suo travaglio per individuarsi,  Amato Luciano Fargnoli sul suo bisogno di completarsi, come un’esperienza illuminante anche per capire qualcosa di se stessa. Antonio Dorella si interroga su “Che cosa non ha funzionato nel rapporto fra i due ‘visionari’ Carl Gustav Jung e Victor White?” suggerendoci che il loro “dissidio” non fu legato a conflitti semplicemente, umanamente “ideologici”, bensì all’atteggiamento che è “alla base della diffidenza delle scienze teologiche nei confronti del concetto di inconscio. O meglio: nei confronti di una versione “intensiva” della psiche. Non manca una lettura archetipica della “Mitologia visionaria di H.P. Lovecraft” che ci dà Riccardo Brignoli il quale vede nell’invenzione letteraria dell’autore “l’emergenza di un simbolo portatore di nuovi significati, tracciando il limite tra invenzione, visione profetica e scoperta”. Nel racconto/visione di Francesco Frigione la visione appare come un’apertura a mondi che “accecano con i loro portentosi orizzonti” attraverso il rapporto tra un ingegnere e la sua misteriosa stampante. E Fabrizio Calabrese, il quale, mediante il “τόπος” (tòpos) dell’Infinito di Giacomo Leopardi, ci conduce ad una lettura del poeta e della sua “visione” che “come Giano bifronte ha due facce volte in opposte direzioni”, visibili, ed una terza, invisibile, ma eterna. Luca Sarcinelli, nel rispondere ad una vexata quaestio relativa alla “dissoluzione” dell’Io, propone un confronto tra la sensibilità “occidentale” e quella “orientale” attraverso una rilettura dell’impostazione di J. Hillman, che “[…] sembra comunque svolgersi principalmente su un terreno culturale e più in generale antropologico”. La mette a confronto in primis con l’impostazione empirica di Jung, e, successivamente, con quella di due autori di riferimento: Sri Govinda e Ramana Maharshi per i quali, nell’esplorazione interiore, l’esperienza diretta è fondamentale. E, infine, il lavoro di Saverio Parise, che esamina il tema della “visione” intesa come “visione del mondo”, sulla scorta delle indicazioni di due grandi autori, Freud e Jung: ricordandoci che, nella loro prospettiva, anche la psicoanalisi e la psicologia analitica sono due “Weltanshauung”. In definitiva ognuno di noi ha raccontato il “suo immaginario” sull’attività immaginativa e sul potere creativo e trasformativo delle immagini. Ognuno ha “rivelato” il suo mito personale. Condividiamo le parole di Jung quando dice: “Se siamo qualcosa, siamo Psiche” e, nel prologo al suo Ricordi, sogni, riflessioni: “Che cosa noi siamo per la nostra visione interiore, e che cosa l’uomo sembra essere sub specie aeternitatis, può essere espresso solo con un mito”.

Buona lettura.

Il direttore Amato Luciano Fargnoli

INDICE

Antonio Dorella – Le lettere fra Jung e White. L’ambiguo rapporto fra psicologia analitica e cattolicesimo

Amato Luciano Fargnoli – Visioni e visionari: breve fenomenologia dell’atto visivo

Francesco Frigione – L’uomo che costruiva chimere

Marina Malizia – Mi sono innamorata di Sir Percy

Benedetta Rinaldi – Le strade perdute del daimon. Una lettura psicodinamica della cinematografia di David Lynch

Virginia Salles – Visionari alle radici della modernità

Luca Sarcinelli – Oltre il politeismo. Visioni dell’archetipo del Sé

Riccardo Brignoli – Breve analisi archetipica della mitologia visionaria di Howard Phillips Lovecraft

Fabrizio Calabrese – “… io nel pensier mi fingo”: la duplicità semantica della visione, l’unicità del visionario

Franca Cirone – L’immagine tra realtà e visione nel velo della maschera

Angela Dell’Armi – La dirompenza del sogno in Aurélia di Gérard de Nerval. Lo squarcio dell’anima e la ricerca del Sé

Saverio Parise – Weltanschauung. Visione del mondo

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