Matteo Sinatti “Parole che guariscono, parole che fanno ammalare” (Aska edizioni, 2016)
Recensione di Alberto Perillo
Dalla filosofia greca fino alle moderne neuroscienze il pensiero occidentale ha cercato di comprendere la relazione tra mente e corpo. Nella filosofia greca, il concetto di physis intendeva gli aspetti psicologici e somatici come due parti della medesima sostanza. Le neuroscienze, oggi sono molto vicine al concetto di interconnessione somatico-mentale, concependo la mente come proprietà emergente e speculare del cervello (Porcelli 2009).
Matteo Sinatti, psicologo e ipnotista, nel suo libro, si è occupato di come la comunicazione tra medico e paziente possa influenzare la patologia organica.
Testimonianze della capacità della mente di guarire il corpo, possono essere ritrovate già nel periodo delle terapie prescientifiche. Un tempo, la credenza popolare riteneva che la salute potesse essere manipolata da forze occulte: la malattia era considerata un castigo divino, mentre la guarigione era una grazia e molte forme di terapie a base di strani intrugli utilizzate dai maghi riuscivano ad ottenere dei risultati concreti.
Fino a tutto il medioevo la medicina non era considerata nemmeno una scienza teoretica e speculativa, essa è stata per molto tempo subordinata all’astrologia, che godeva di maggiore prestigio dal momento che lo studio del movimento dei corpi celesti aveva una storia più antica.
Saranno medici come Arnaldo da Villanova e Pietro d’Abano, antesignani della medicina, che ricondurranno a cause naturali gli eventi miracolosi e le malattie umane.
Pietro d’Abano, filosofo, medico e astrologo del XIII secolo, escluse in senso assoluto l’influsso di influenze metafisiche nella malattia, sostenendo che l’arte medica era una scienza razionale fondata sull’astrologia che ha una precisa interrelazione fisica e naturale con l’uomo. Ma soprattutto ebbe una concezione psicosomatica della medicina, convinto che ci fosse un nesso inscindibile tra mente e corpo. Egli definì l‘incantazione come la capacità di esercitare una forte suggestione tramite la comunicazione linguistica e paralinguistica che, stimolando la mente del paziente, riusciva a provocare effetti psicosomatici. In questo processo è fondamentale da una parte il carisma, la credibilità e l’autorità del terapeuta incantatore, dall’altra il forte coinvolgimento emotivo del paziente.
Un’altra figura importante, è stata quella del medico, chimico e fisiologo belga Johannes Baptista Van Helmont. Come Pietro d’Abano, Van Helmont nel XVII secolo riteneva che gli effetti prodotti da incantamenti e riti magici, fossero il risultato della stimolazione dell’immaginazione umana da parte di una figura autorevole. L’originalità di Van Helmont, sta però nell’attenzione nei confronti dei fenomeni inconsci della vita psichica. Egli distinse infatti tra un immaginazione comune, utilizzata per elaborare pensieri e un immaginazione più profonda che presuppone un’intelligenza autonoma del corpo sottratta all’attività della mente. Quest’ultima, se turbata, è capace di portare verso la malattia. Questo fenomeno, secondo Van Helmont, è stato alla base dell’epidemia di peste avvenuta all’epoca, dovuta proprio all’effetto del contagio emotivo.
Franz Anton Mesmer, nel 1700, riteneva che tutto l’universo fosse riempito da un fluido sottile e che i disturbi fisici e mentali fossero dovuti ad una disarmonia di nella distribuzione di tale fluido all’interno del corpo umano. Era quindi possibile ristabilire l’equilibrio del fluido attraverso l’induzione di crisi da parte del terapeuta. In questo modo riuscì a curare centinaia di persone ottenendo successo che arrivò a mettere in dubbio la credibilità dei colleghi medici, in un periodo in cui il mondo scientifico si stava faticosamente liberando di credenze spiritualiste ed esoteriche. Una commissione di scienziati valutò quindi le sue pratiche arrivando alla conclusione che non esisteva nessun fluido, ma non poté negare i risultati di ottenuti con i pazienti da Mesmer, che vennero attribuiti all’influenza dell’immaginazione, sancendone però la sua pericolosità e non il possibile beneficio, evidenziando come le crisi fossero difficili da amministrare.
James Braid nell’ 800, dopo essere venuto a contatto con il mesmerismo, ne prese le distanze e sostenendo una certa similarità tra lo stato dei magnetizzati ed il sonno, introdusse il termine ipnosi. Braid si rese conto che l’eccitazione dell’immaginazione permetteva , alle persone in stato di ipnosi, di produrre effetti sul corpo attraverso la capacità della persona in stato di trance di fissarsi su di una sola idea.
L’ipnosi, secondo Sinatti, è l’erede della terapia incantatoria, essa possiede la virtù di poter parlare a quella parte della mente in cui avvengono cambiamenti psicosomatici. Se la terapia incantatoria poneva l’enfasi sulle formule e i rituali pronunciati con passione per attivare la mente dei pazienti, l’ipnosi si avvale di altre metodiche che hanno l’obbiettivo di inibire l’influenza della mente razionale, cercando di suscitare immagini e ricordi molto intensi. La comunicazione è quindi in grado di stimolare la capacità della mente di influenzare il soma.
In questo senso le parole pronunciate dal medico, grazie alla grande autorevolezza di cui la sua figura gode nella nostra cultura, possono avere effetti considerevoli, in grado di innescare effetti psicosomatici nell’organismo sia in positivo (effetto placebo) che in negativo (effetto nocebo). Egli è tenuto ad informare correttamente riguardo i possibili esiti della malattia o di un determinato trattamento, diventa però cruciale il modo in cui questo viene fatto.
Parole come cancro, metastasi, chemioterapia sono capaci, di per sé, di evocare grande paura in grado di suggestionare il paziente, così come diagnosi che suonano come sentenze di un esito inevitabilmente negativo o una descrizione degli effetti dei farmaci che lascia spazio ad esiti incerti. Considerando che la medicina, non essendo una scienza esatta, non può prevedere con certezza l’ evolversi della patologia, è quindi importante utilizzare una comunicazione in grado di evocare scenari di miglioramento.
Vengono quindi descritte brevemente alcune tecniche che cercano di utilizzare una comunicazione di tipo evocativo: la figura retorica della similitudine, che consiste nell’utilizzare esempi immaginativi che raffigurano eventi somiglianti all’effetto che si desidera ottenere; il metodo della presupposizione caratterizzato nel lasciare intendere un esito auspicato, facendolo diventare implicito; l’utilizzo della marcatura analogica, ovvero del sottolineare con determinati accenti vocali alcune parole cercando di mettere in secondo piano altre che potrebbero risultare disturbanti.
Il libro pone quindi un importante riflessione sul rapporto tra medico e paziente che è diventato sempre più protocollare e incurante degli effetti della comunicazione. Già in ambito psicoanalitico Michael Balint (1961) si è occupato della questione, sostenendo che il farmaco più importante che il medico prescrive è se stesso, sottolineando come la diagnosi sia in grado di influenzare pesantemente l’atteggiamento del paziente.
Ma l’aspetto cruciale messo in evidenza da Sinatti è la pressoché totale mancanza di considerazione da parte del mondo medico nei confronti del potenziale curativo sul corpo della mente umana. Il mondo scientifico ha tradizionalmente relegato la capacità di cura della mente sull’organismo ad un effetto blando denominato placebo, molto inferiore a quello della terapia medica, limitandosi a cercare di comprendere ciò che accade a livello fisiologico quando ciò avviene.
Ricerche più recenti mettono hanno messo invece in evidenza la capacità di avere effetti considerevoli e molto specifici sull’organismo. Mario Beauregard (2006) analizzando diversi studi di neuroimaging sull’effetto placebo, ha descritto come esso possa influire marcatamente su specifiche aree cerebrali coinvolte in percezione, movimento, dolore e vari aspetti dell’elaborazione emozionale.
Ad esempio, la somministrazione di una soluzione salina in pazienti affetti da morbo di Parkinson, è stata in grado di provocare il rilascio di dopamina nelle aree cerebrali degenerate e di provocare miglioramenti clinici di entità analoga a quelli provocati dall’apomorfina, un farmaco stimolatore dell’attività dopaminergica . Nei pazienti con depressione unipolare invece, l’assunzione di placebo è stata in grado di portare alla remissione dei sintomi, modificando il metabolismo di specifiche aree corticali e paralimbiche relativamente comparabili a quelle modificate dall’antidepressivo fluoxetina.
Jeffery Dusek e collaboratori (2008) hanno messo in evidenza che diverse pratiche come meditazione, yoga, tai chi ecc. riescano ad ottenere effetti fisiologici antistress sull’organismo attraverso una modificazione dell’espressione genica. Ci sono quindi molti dati che mettono in evidenza come la mente sia in grado di influire in modo consistente sul corpo, sarebbe quindi auspicabile riuscire a comprendere sempre meglio come è possibile ottenere questi risultati, in modo da riuscire a sfruttare il più possibile il potenziale curativo della mente umana.
Alberto Perillo, Dottore in psicologia
Balint Michael (1961) Medico, paziente e malattia, Feltrinelli.
Beauregard Mario (2007) Mind does really matter, Progress in neurobiology.
Dusek Jeffery et al. (2008) Genomic counter-stress changes induced by realaxation response, Plos one.
Porcelli Piero (2009) Medicina psicosomatica e psicologia clinica, Raffaello Cortina.