Fotografare è riconoscere nello stesso istante e in frazione di secondo un evento e il rigoroso assetto delle forme percepite con lo sguardo che esprimono e significano tale evento. È porre sulla stessa linea di mira mente occhi, cuore. È un modo di vivere (Hanry Cartier-Bresson)
Henri Cartier-Bresson è uno dei fotografi che meglio esprime l’essenza dell’arte fotografica; in questa sua breve citazione si può infatti rinvenire quale capacità e quale funzione rivesta ed ha sempre rivestito per l’essere umano la cattura di un immagine fotografica. Fotografare significa mettere a fuoco un aspetto della realtà e, in modo particolare quell’aspetto che maggiormente colpisce l’attenzione di chi fotografa e che nel contempo lo emoziona. Se guardiamo alla terminologia insita nella fotografia possiamo renderci conto di come questi termini collimino con la terminologia ed i concetti della psicologia.
Il corpo macchina fotografico possiede un ottica dalla quale dipende la profondità di campo o la messa a fuoco di un soggetto/oggetto, il tempo di esposizione, la velocità di scatto o il disegnare con la luce sono termini che utilizziamo quotidianamente e che forse hanno portato gli psicoanalisti a concepire la macchina fotografica come un’estensione dell’apparato visivo. Quando ci poniamo davanti ad un evento emotivamente carico ed abbiamo in mano una macchina fotografica, nel nostro cervello immediatamente si forma l’immagine che vogliamo immortalare. Pensiamo a quale velocità scattare, quanta luce dare all’immagine, cosa mettere in risalto e cosa sfocare, se l’immagine fotografica che vogliamo riprodurre debba essere in bianco e nero oppure a colori. Ogni decisione implica quindi, una valutazione ed un assetto psicologico interno in quanto ciò che fuoriesce e che viene impresso su carta è la nostra interiorità.
Secondo Cartier-Bresson fotografare è un modo di vivere e, psicologicamente questo è assolutamente vero se si pensa che fotografare è dare spazio e corpo ad un’immagine interiore. Il fermo immagine fotografico corrisponde dunque a fermare un’immagine psichica, metterla in risalto ed in rilievo, a darle profondità. Ad un livello psicoanalitico la fotografia potrebbe assume una valenza di medium tra la realtà fisica e la realtà psicologica è un ponte tra l’interno e l’esterno dove, l’esterno viene introiettato e trasformato sulla base dell’ interiorità del fotografo. In una frazione di secondo il fotografo deve quindi compiere un doppio movimento che va dall’esterno all’interno per poi tornare nuovamente all’esterno trasformato sulla base dell’ interiorità e soggettività. Questo doppio movimento e questa soggettività vengono ben evidenziati se si mettono a paragone le fotografie di due differenti fotografi che si trovano al cospetto di un’identica immagine nel medesimo tempo e spazio. Ogni fotografo catturerà l’immagine esteriore e l’interpreterà in maniera prettamente soggettiva dando corpo a ciò che per lui ha valore. Questa differenza è una differenza interiore, una differenza che deriva dalla propria esperienza passata, dai propri vissuti.
Oltre a questo, nell’affermazione di Cartier-Bresson viene messo in evidenza come il fotografo debba aver ben sviluppate le funzioni di Intuizione, Pensiero, Sensazione e Sentimento in quanto in una frazione di secondo deve allineare MENTE OCCHI CUORE per valutare un evento significativamente importante. Il fotografo dunque deve pensare, valutare, sentire l’immagine esterna per poi riprodurla sia fedelmente –rendendone riconoscibile il soggetto/oggetto- sia, soggettivamente – dando risalto a ciò che per lui ha valore -. L’arte fotografica quindi è un arte che difficilmente può essere acquisita o meglio, può essere studiata tecnicamente per acquisirne le regole ma, se non si possiedono doti e caratteristiche artistiche interiori, se non si possiede una buona immaginazione essa rimane solo uno sterile insieme di tecnica e regole che difficilmente potrà emozionare chi la guarda. Emozionare con una fotografia non è semplice tecnica ma opera d’arte che spinge chi la guarda ad interrogarsi sull’immagine e su ciò che questa immagine significa per se stessi. Al cospetto di un’immagine fotografica, chi guarda compie o dovrebbe compiere lo stesso doppio movimento di chi fotografa, dall’esterno all’interno poi nuovamente all’esterno. Chi guarda non dovrebbe interrogarsi sulle capacità tecniche di chi ha scattato la fotografia ma dovrebbe essere colto dall’emozione che la fotografia veicola. Se non si riesce a provare emozione davanti ad una fotografia, se il pensiero che colpisce chi guarda non va direttamente ad elicitare un’emozione significa che l’autore della fotografia non ha reso perfettamente l’emozione che in quel momento lo ha travolto.
L’IMPORTANZA DELLA TECNICA IN FOTOGRAFIA
Non è la mera fotografia che mi interessa. Quel che voglio catturare è quel minuto parte della realtà (Henri Cartier-Bresson)
Henri Cartier-Bresson con la frase riportata sopra aveva colto pienamente il significato della fotografia la quale è sinonimo di realtà e di immediatezza. Proprio per questo Cartier-Bresson non era tanto interessato alla tecnica, che pur conosceva perfettamente, quanto alla realtà esterna. Trasmettere emozione attraverso una fotografia significa riuscire a comprendere immediatamente cosa è importante e centrale per chi la osserva. Da sempre la fotografia rispecchia il tempo e la cultura di una nazione quindi, il fotografo che riesce a catturale l’attenzione altrui e ad emozionarlo è colui che è in sintonia, che si muove con la coscienza del suo tempo e a volte, lo anticipa. È un posizionarsi sull’inconscio collettivo.
Ovviamente, per essere bravi fotografi e per poter catturare e mettere in luce un’immagine reale si debbono conoscere le tecniche che consentono di rendere al meglio quest’immagine. Tutto ciò perché l’immagine interiore insita in un minuto che è parte della realtà è difficile da riprodurre all’esterno. Quando si inizia a dialogare con la realtà attraverso la macchina fotografica ci si mette in rapporto con la stessa in maniera differente. Si stabilisce un contatto con il reale in maniera individuale poiché ci si sofferma a guardarlo da angolazioni insolite, focalizzando l’attenzione su particolari che non solo potrebbero sfuggire ma che sono interessanti solo per l’osservatore. Queste operazioni servono alla ricerca dello scatto più idoneo a trasformare quell’attimo insito nella realtà in un attimo eterno, si cerca il trascendente l’infinito. In questo modo corsi d’acqua, fiori, animali, paesaggi, notturni, albe, tramonti si trasformano ed assumono i tratti interiori, diventando istinti, inconscio, modo di rendere la parte incomunicabile comunicabile. In questo modo la fotografia può assumere i tratti di un’immagine onirica o di un’immaginazione attiva atta a portare in superficie quegli aspetti della personalità non riconosciuti. A questo proposito i progetti fotografici sono ancor più notevoli poiché prima della realizzazione vi è una scelta ed un pensare intorno all’immagine da riprodurre.
A questo proposito è emblematico il caso di un Professore dell’Istituto di Fotografia e Comunicazione Integrata di Roma che ha commissionato ai propri studenti uno scatto per descrivere la personalità di un personaggio di un libro e/o film attraverso la teoria junghiana. In questo modo il mondo della psicoanalisi si pone al servizio di uno scatto fotografico. Jung e la sua teoria si lasciano leggere ed interpretare in maniera differente. Non più uno psicoanalista che legge ed interpreta una fotografia o la personalità di chi fotografa ma, un fotografo che legge la realtà e la interpreta junghianamente in uno scatto. Jung si apre in un campo che gli è proprio un campo in cui fino a questo momento non l’aveva visto come agente attivo. Se la fotografia è un disegnare con la luce, se essa è un trasportare un’immagine inconscia in superficie, se il fotografo è colui che si posiziona sull’inconscio collettivo allora, la fotografia può essere considerata come appartenente alla cultura junghiana. Questo campo nuovo potrebbe essere uno spunto di interdisciplinare, un passare da una teoria ad una pratica altra dove l’immagine non è più solo sognata, immaginata o disegnata ma anche fotografata. La fotografia finora è stata vista solo come arte “minore” perché tratta di una realtà già data, una realtà esistente e non creata ex-novo . in realtà però, la fotografia è soggettività perché un interpretare il già dato in modo personale ed intimo. Questa interpretazione soggettiva è facilmente rinvenibile nella comparazione di due scatti fotografici di due fotografi diversi che, al cospetto di una stessa realtà ne colgono non solo aspetti differenti ma ne danno un interpretazione differente. Ognuno dei due fotografi deciderà l’angolazione di scatto, la profondità di campo, la gestione del colore o del bianco e nero, si soffermerà sulle ombre enfatizzandole o, differentemente per eliminarle. Da qui risulta che un’identica realtà può apparire totalmente differente e lo stesso spazio-tempo totalmente distante tra i due scatti. La gestione di questi aspetti può essere letta junghianamente sia dal fotografo che dall’analista ovviamente partendo ed arrivando a risultati differenti.
La luce può fare tutto
Le ombre lavorano per me
Io faccio le ombre
Io faccio la luce
Io posso creare tutto con la mia macchina fotografica (Man Ray)
Marina Visvi, psicologa