Marc Sautet, Socrate al caffé (a cura di Silvia D’Offizi)
Dal 1992, e fino al momento della sua morte avvenuta nel 1998, il filosofo Marc Sautet teneva a Parigi al Cafè des Phares dei dibattiti domenicali durante i quali la filosofia veniva riportata alla sua più antica ed originaria funzione: quella di rispondere ai problemi degli uomini con un linguaggio il più possibile accessibile e comprensibile a tutti.
«Ebbene diciamolo! La vocazione del filosofo non è di tacere. Non è ripiegandosi su se stesso che sostiene il suo ruolo, ma andando per la strada, in città, mescolandosi alla vita della gente, passeggiando nella piazza del mercato, tra la folla di venditori e imbonitori. Interrogando gli uni e gli altri. Discutendo.» Ecco la spiegazione del titolo.
Socrate, filosofo peripatetico, camminava per Atene sfidando, provocando e anche semplicemente discutendo con i suoi concittadini a proposito della realtà che li circondava e riguardava, fino al punto da non poter essere impassibili di fronte alla domanda sul senso che assilla ogni uomo sulla terra. Così come il suo predecessore anche l’autore si mette in cammino per le strade di Parigi e chiama i suoi concittadini alla discussione. Come forma di terapia, ma non solo. Non è nelle pieghe delle personali nevrosi che la filosofia cerca una risposta alla realtà umana. Ma affrontando collettivamente problemi ampi e universali come la giustizia, la violenza, le relazioni umane, solo per fare qualche esempio. E non è solo ai tavolini di un caffé che la discussione si anima, ma spesso i suoi compagni e clienti lo seguono lungo il corso del fiume su un battello, metafora dell’andare e dell’ondeggiare incerto, oppure a ritroso sui passi dei Padri, fino ad Atene sull’Agorà.
La filosofia non può essere considerata una scienza superata perché non regge il confronto con l’esattezza delle risposte che possono dare le scienze cosiddette naturali. Essa non vuole svelare la natura in un modo che sia più convincente rispetto a quanto può fare la religione.
Tutti i temi sono suscettibili di essere trattati filosoficamente, la filosofia è solo un modo di usare l’intelletto. È sottoporre al vaglio della ragione una risposta che di fatto esiste già, ma che forse non ha più riscontro. E secondo Sautet la filosofia ambisce ad innalzare i suoi adepti al di sopra dei pregiudizi anche attraverso i dialoghi domenicali, che lui indica come “situazione sperimentale”. “Immersa nelle preoccupazioni di tutti, la metodologia filosofica deve dimostrare che, in effetti, può vincere la doxa, l’opinione, pubblica e non, anche addobbata degli atouts dell’etica.” (pag. 41).
Il suo libro ha l’ambizione di rispondere a tre domande di fondo: dove siamo? Da dove veniamo? E dove andiamo? A queste tre sezioni corrispondono innanzitutto un racconto della nuova domanda di filosofia che si è sviluppata negli ultimi anni, soprattutto in ambiente metropolitano, a cui ha risposto la pratica filosofica come riscoperta dell’agire della filosofia nella pratica quotidiana dopo essersi impropriamente ritirata negli ultimi secoli, in ambito accademico. Da dove veniamo è una domanda che non può prescindere dall’esame degli antecedenti filosofici che fondano il pensiero contemporaneo a partire dalla rivoluzione eliocentrica, da Galileo, Copernico e Keplero per giungere, non senza un certo orgoglio tutto francese, alla fondamentale epoca dei Lumi.
Dove andiamo dipende dalle antiche radici greche che spiegano, attraverso ragioni storico sociali più che filosofiche, a dire il vero, come la nostra società commerciale e consumistica sia in parte da leggersi attraverso l’antico ordine ateniese degli schiavi e del demos a cui era affidata la sorte della collettività.
In pratica solo il capitolo iniziale si sofferma sullo specifico della consulenza filosofica mostrandola ora come una pratica discorsiva sui grandi dubbi collettivi, ora come un modo per affrontare problemi personali non legati però ad un disordine specifico, ma centrati sul dolore umano in generale, il quale riguarda qualsiasi essere umano e per questo è affrontabile con metodi in un certo senso universali.
Accade che i clienti si rechino da lui presentando un problema che lui risolve in termini filosofici. Se però il cliente soddisfatto chiede di affrontare allora un altro discorso lui crede di tradire l’iniziale intento del filosofare perché la pratica non è al servizio del cliente, ma della filosofia, che prende i percorsi estemporanei dovuti alle trame del ragionamento e non alla volontà del consultante.
Quello che lascia perplessi i critici del metodo è la mercificazione di una pratica che dovrebbe restare avulsa da scambi di denaro. Così come i sofisti i filosofi contemporanei attualizzano l’antico metodo applicando un tariffario spesso esoso alle loro prestazioni negli studi di consulenza.
L’autore si difende dicendo che farsi pagare per dare lezioni in classe o farsi pagare per dare lezioni in privato non sminuisce il valore di ciò che viene offerto. Il problema è stabilire quale sia il valore della filosofia scambiata nei discorsi, siano essi effettuati nelle classi o negli studi privati.
Questo libro è stato un vero successo in Francia e in diversi paesi europei. Testimonia della rinnovata voglia della società di accedere alla cultura, di sdoganare determinati ambiti tenuti colpevolmente distanti dalle persone. Il punto forte di questa opera è la capacità di divulgazione, il mettere la cultura in qualche modo a disposizione. Questo almeno sembra il principale intento di tutto il movimento che gira intorno alla pratica filosofica. Resta il fatto che la filosofia viene presentata, appunto per renderla accessibile, attraverso una narrazione storica di fatti e personaggi che spesso vira verso considerazioni di ordine sociologico ed economico. La filosofia vera e propria resta abbastanza marginale dando l’impressione che sia, effettivamente, troppo distante dalla possibilità di comprensione della gente.
Chi si rivolge a lui per un consulto, o si reca alle domenicali conversazioni al caffè, non sembra dalle descrizioni appartenere ad una realtà varia e composita, ma sembra appartenere ad una elite colta ed incuriosita. La filosofia è ancora il terreno dell’elite. E tuttavia rischia la banalizzazione. Senza riferimento ai testi e alle teorie, ma solo facendo filosofia per strada, con la possibilità per tutti di dire la propria non si rischia forse ancora una volta di portare il discorso sul terreno del senso comune?