Brentari-Màdera-Natoli-Tarca, 2006, Pratiche filosofiche e cura di sé (a cura di Daria Filippi)
Il libro è una raccolta di contributi di diversi autori, sia italiani che stranieri, che si confrontano con l’aspetto “pratico” della filosofia soffermandosi, a seconda dei casi, sugli aspetti classici delle pratiche filosofiche, sulle pratiche filosofiche e il pensiero contemporaneo ed infine sulle forme di queste pratiche nel panorama attuale. Vediamo nel dettaglio ogni intervento.
Spinelli ha l’obiettivo di mostrare l’originalità e l’attualità dello scetticismo antico avendo come punto di riferimento gli scritti di Sesto Empirico. L’autore pone l’attenzione sul concetto di esperienza esaminandolo nei suoi risvolti sia epistemologici che etici. In quest’ottica la nozione di esperienza si rifà alla famiglia semantica del verbo “tero” che indica l’atteggiamento dell’osservare con i nostri mezzi percettivi configurando un livello di esperienza definito dall’autore basilare o a grado zero. Lo scettico sceglie come guida solo quei fenomeni che si impongono per il loro carattere di necessità o di indipendenza dalla nostra volontà ed è quindi uniformandosi a tali fenomeni che egli vive, ogni sua azione è compiuta senza prendere in considerazione alcuna opinione che aspiri a essere assoluta. Nonostante questo rifiuto di qualunque teoria dell’agire, è presente per lo scettico la possibilità di regolare il proprio comportamento sulla base di norme di condotta desumibili da quanto si osserva nella vita quotidiana attraverso l’esperienza (la guida della natura, i bisogni primari, la tradizione legata a leggi e costumi vigenti, l’insegnamento delle arti).
Secondo Dipalo per chi si occupa di consulenza filosofica è fondamentale volgere lo sguardo al mondo antico, in quanto questo è ricco di esempi che ci mostrano come “fare filosofia” significhi tramandare un’arte del vivere, prendersi cura degli individui che si rivolgono al filosofo, fornire una “terapia” volta al ben-essere e al ben-vivere, intesa come apertura alla saggezza, autoconsapevolezza e autoresponsabilizzazione. Secondo l’autore le premesse dell’agire consulenziale non possono che essere scettiche: competenza specifica del consulente è il mettersi in gioco in relazione alla visione del mondo del consultante per individuare gli eventuali nuclei problematici e scioglierli attraverso un’operazione dialogica chiarificatrice o aprendo la via a una concezione più coerente del suo agire quotidiano. Inoltre l’opera del consulente deve basarsi su un radicale anti-dogmatismo, egli è tenuto ad esercitare la sospensione del giudizio. Deve essere in grado di frenare gli “eccessi emozionali” esercitando un distacco consapevole ed equilibrato. Il successo dell’azione filosofico-consulenziale è determinato, per Dipalo, dal grado di autoconsapevolezza e di responsabilizzazione maturato dal consultante durante gli incontri e questa pratica non va ridotta o forzata all’interno di un quadro psicoterapeutico che non la riguarda affatto.
Claudia Baracchi nel suo contributo si propone di illuminare alcuni aspetti dell’intervento di Jeannie Carlier, intervento presentato in francese nel presente libro. Da alcune considerazioni dell’autrice in merito alle posizioni di Porfirio e Giambico, per Batacchi emerge l’importanza delle pratiche e l’intimità di teoria e prassi. La via filosofica è quindi vita filosofica, richiede un modo di vivere, che si viva secondo il bene praticando la coltivazione di sé. Il significato dell’espressione “pratica filosofica” si definisce così in base all’esperienza del sé di cui prendersi cura.
Mesirca si concentra su un’opera di Petrarca, “De remediis utriusque fortunae”, un “prontuario per l’anima” che si configura come una serie di esercizi filosofici costruiti attraverso un meccanismo di interazione tra le letture dell’autore e le tecniche di “psicoterapia stoica”, attinte da Seneca e Cicerone, basate sulla meditazione, sulla riflessione e il riorientamento del punto di vista.
Mancini invece si dedica all’opera di Montaigne affermando che lo scetticismo praticato da questi deve essere considerato come la liberazione dello sguardo dai pregiudizi. Montaigne sostiene la tesi dell’immanenza della forma universale dell’uomo in ogni individuo e da qui trae la conseguenza che una descrizione diretta del proprio vissuto è più produttiva della deduzione delle norme di condotta dai modelli di comportamento ereditati dalla tradizione. Fa scaturire dal suo approccio scettico alla condizione umana un nucleo di prescrittività esistenziale: la saggezza come salute dell’anima, l’autenticità, l’incondizionato dovere della solidarietà con la vita sofferente e del rifiuto delle logiche di potere che la contravvengono infrangendo il legame della natura.
L’intervento di Tagliapietre si focalizza sul dono e sulla gratuità dell’atto filosofico. Socrate afferma di essere il “dono del dio” alla città: la vocazione del filosofo è dunque quella di dire la verità alla città, il filosofo è colui che trasforma la ricerca della verità in un’azione offerta agli altri. Nel Timeo di Platone la filosofia è già intesa come funzione teorica che conduce alla “felicità teoretica” della contemplazione. Il dono è in questo senso il dono individuale di una pratica teorica che modella la vita del filosofo secondo la massima eccellenza. È dunque un beneficio per l’esistenza del filosofo che solo selettivamente viene elargito alla città. Il dono, dice Tagliapietre, non è la cosa donata, ma il donatore. Il dono della filosofia è una cura dell’anima, l’unico dono autentico è così quello che facciamo della nostra cura (del nostro tempo, dei nostri pensieri, dei nostri gesti e del nostro lavoro), è il prendersi cura dell’altro che nel dono si manifesta.
La seconda parte si apre con il contributo di Màdera sull’analisi biografica ad orientamento filosofico, un’analisi che ha il sapere biografico come sua origine e metodo. “L’analisi biografica è…il percorso che tende a rendere esplicito l’implicito con l’aiuto di un altro, di un testimone privilegiato con il quale si condivide l’esperienza della ricerca e della costruzione”. Màdera afferma come la parola “analisi” rimandi alla psicoanalisi e alla psicologia analitica e come questo sia voluto per rimarcare gli elementi comuni e i debiti pur nella differenziazione che si vuole determinare. L’intento di questa proposta è infatti quello di rinnovare l’antica vocazione terapeutica della filosofia, nel senso epicureo del termine. L’analisi biografica si differenzia dalla consulenza filosofica in quanto quest’ultima nega ogni volontà terapeutica, l’atteggiamento filosofico deve invece avvalersi delle acquisizioni delle psicoterapie e prendere spunto da queste per cambiare e porsi in una nuova ottica nell’ascolto e nella cura della passioni umane.
Secondo Meletiadis, la psicoanalisi è una particolare pratica di vita che ha fondamenti comuni con la filosofia antica, si occupa infatti delle parole, delle problematiche, dei passaggi e delle vie senza uscita. Entrambe sono approfondimento dei modi di vita, tendono a risolvere gli irrisolvibili, a ricercare i significati, mirano a una pratica della vita, ad una posizione di fronte al mondo. Per gli psicoanalisti la filosofia è un esercizio di vita e di conseguenza, come diceva Platone, una “terapia dell’anima”, una liberazione da un modo di vita angosciante.
Tarca ci parla di cura di sé e cura di noi: le due cose secondo l’autore stanno sempre insieme in quanto l’autorealizzazione della persona richiede il suo appartenere a una comunità che la aiuti e favorisca in questo compito. La filosofia può essere quindi definita come la pratica dell’autorealizzazione solidale. Tarca da parecchi anni sta facendo delle esperienze di gruppo che si ispirano al principio della libera “con/divisione”: si fa insieme tutto ciò che si è in grado di fare concordemente e ci si divide consensualmente quando il fare qualcosa in comune condurrebbe a dei contrasti. Un ampliamento di esperienze di questo tipo deve avvenire in una forma diversa dalla costruzione di una gerarchia di potere. La crescita deve consistere in una spontanea proliferazione di gruppi simili mediante il confronto con esperienze diverse, ma conformi per sensibilità e modo di fare. È stato così sperimentato il metodo dell’intreccio continuo in cui ogni individuo che appartiene ad un gruppo si impegna a far parte anche di un altro gruppo. Attraverso questa crescita orizzontale si crea un tessuto sociale molto esteso che non ha bisogno di ricorrere ad alcuna forma di potere. Una svolta importante, secondo Tarca, è stata determinata dall’idea di una “comunità di pratiche” maturata in un ritiro con Màdera. In una comunità di questo tipo l’unità è data dal fatto che le persone si impegnano a praticare la “dieta quotidiana”, una dieta fatta da esercizi psico-fisici come la meditazione, lo yoga, la preghiera, esercizi spirituali, etc. Ma la caratteristica peculiare di questo impegno reciproco è il fatto che ognuno deve trovare la propria dieta personale, adatta al proprio modo di essere. Questo permette di conciliare l’autonomia con l’unità e la comunicazione, in questo senso una comunità di pratiche è una comunità naturalmente filosofica.
Nel suo contributo Pasqualotto si sofferma a descrivere le filosofie orientali. In questo ambito le teorie si sono sempre poste come strumenti idonei a realizzare un fine pratico, concreto, che coinvolge i vari livelli e i vari tempi dell’esistenza di ogni individuo. Secondo l’autore partendo dall’India si può trovare il nesso tra speculazione metafisica e trasformazione concreta della vita. Lo yoga prevede degli esercizi che esigono un coinvolgimento diretto del corpo e del comportamento che viene considerato come una condizione necessaria per ogni mutamento psicologico ed intellettuale. Anche il buddhismo connette le forme più elementari del vivere quotidiano alla realizzazione spirituale. Confucio, che viene ritenuto il pensatore che ha maggiormente influito sulla storia della cultura cinese, insiste sul forte nesso fra studio e pratica e la prospettiva taoista, pur essendo entrata in frequenti polemiche con il Confucianesimo, condivide con esso l’idea che la riflessione debba avere come finalità la realizzazione di un comportamento ideale nei confronti di sé e degli altri.
La terza parte, che si occupa delle forme delle pratiche filosofiche oggi, inizia con l’intervento di Achenbach secondo il quale la consulenza filosofica è “una sorta di pausa istituzionalizzata nel continuum della vita di tutti i giorni…una nicchia in cui il pensiero può assumere forma e coerenza”. L’autore ci propone una breve storia della consulenza filosofica, si dedica ai suoi rischi e opportunità e conclude con l’affermazione che la più grande virtù del consulente è la saggezza della distanza, ossia la capacità di accogliere l’altro nella sua interezza senza però perdere noi stessi in lui.
Pollastri organizza il suo contributo spiegando una serie di affermazioni assertive riguardo la consulenza filosofica. È pura e semplice filosofia: si differenzia da questa solo in quanto a praticarla sono un filosofo e un non filosofo, il linguaggio è meno specializzato e si comprendono non oggetti universali ma individui. La sua pratica è inclusa nella teoria in quanto l’agire teorico ha necessariamente conseguenze sull’agire pratico. La consulenza è l’unica pratica filosofica a essere puramente filosofica non prefiggendosi di realizzare alcuno scopo nel mondo e intendendo produrre un effetto limitato all’universo concettuale di coloro che filosofano. In essa non c’è alcuna intenzionalità pragmatica, si tratta solo di pensare assieme ed essendo quindi un agire teoretico riflessivo sul pensiero non è necessariamente cura di sé. Infine Pollastri propone un metodo della consulenza, l’improvvisazione, e precisa che è anche il metodo della filosofia ed è caratteristicamente diverso da ciò che si è soliti intendere per metodo.
Santi si sofferma sulla philosophy for children, una pratica filosofica che ha a che fare con il bisogno di riportare la filosofia dentro i contesti di vita. È un’opportunità per generare un pensiero filosofico a partire dalle domande di senso che nascono fin dall’infanzia. Il dialogo filosofico e la dimensione comunitaria sono gli elementi prioritari.
Lo Russo descrive l’esperienza della “Compagnia di ognuno”, gruppo che sotto la guida di Màdera e Tarca ha condiviso un’esperienza di narrazione autobiografica. L’autore ci ricorda poi le regole della comunicazione biografico-solidale utilizzata all’interno del gruppo: partire da sé (ogni comunicazione fa riferimento all’esperienza autobiografica), rinuncia ad una discussione competitiva, messa tra parentesi dell’interpretazione, restituzione anamorfica (chi ascolta contribuisce con un altro punto di vista sulle cose narrate, non in concorrenza o in sostituzione), rielaborazione interiore. “Il concetto di filosofia che sta alla base della vita della Compagnia di ognuno ambisce a essere modo di vita, trasformazione dell’anima”.
Frega si dedica all’epistemologia delle pratiche in cui “il primato è assegnato alla dimensione della pratica nella spiegazione delle categorie fondamentali dell’epistemologia, in particolare quelle di significato, pensiero, ragione, verità e conoscenza”. L’autore individua dei campi in cui si è sviluppato l’interesse epistemologico per le pratiche: la dimensione epistemologica nello studio della scienza e il cambio di prospettiva che il riconoscimento del ruolo della pratica produce nella comprensione della conoscenza, le nuove forme di pratica della filosofia e lo studio delle condizioni di utilizzo del sapere filosofico in campi di esperienza estranei ad esso.
Secondo Volpone le pratiche filosofiche rappresentano uno spazio-tempo dedicato al “con-filosofare” e hanno l’obiettivo di promuovere e rivalorizzare l’esercizio filosofico su base dialogica nell’ambito dell’esistenza concreta. L’autore descrive e inquadra le diverse pratiche filosofiche attuali e riassume le caratteristiche fondamentali del “synphilosophein”, facendo un’operazione fenomenologica ed epistemologica allo stesso tempo con il fine di capire come il pensiero filosofico possa diventare proprietà comune di un intero gruppo operativo.
Infine Brentari si occupa della domanda di filosofia nel mondo contemporaneo ed afferma che alle radici della nuova domanda c’è un diffuso bisogno di senso. La modernità, con la rottura delle tradizionali strutture di valore ha esteso l’insensatezza dell’esistenza umana ed è così comprensibile la scelta di chi si rivolge ad un consulente filosofico. “…la filosofia sembra poter rispondere all’esigenza degli individui di un’interpretazione guidata della propria biografia, che metta in luce la ‘comune umanità’ del consultante ma garantisca al tempo stesso un’adesione al caso singolo e un rispetto dell’unicità individuale”.