Mario LAVAGETTO (a cura di), Palinsesti freudiani, Arte Letteratura e linguaggio nei Verbali della Società psicoanalitica di Vienna 1906-1918
Il Professor Lavagetto, critico e docente di Letteratura, studioso di Freud e della Psicoanalisi, ha curato questo volume di difficile lettura, ma di enorme rilevanza per la storia del pensiero psicoanalitico. Il testo è corredato di un illuminante saggio introduttivo, che fornisce al lettore il filo conduttore da seguire nell’approccio alla raccolta dei verbali pubblicati.
Dei dodici anni di trascrizioni effettuate da Otto Rank delle discussioni del mercoledì pomeriggio – tenutesi prima a casa di Freud al n°19 della Berggasse e, successivamente dal 1910, presso una stanza appositamente affittata del Medizinische Docktoren-Kollegium – sono presentate solo quelle riguardanti la letteratura e l’arte.
La prima cosa che colpisce è il cospicuo numero delle riunioni – quarantadue – in cui i membri della Società psicoanalitica di Vienna hanno trattato di arte, poesia, letteratura, con una disinvoltura da critici letterari consumati, che genera immediatamente nel lettore l’interrogativo legittimo del se e in che misura uno psicoanalista abbia risorse e strumenti critici specifici per leggere, interpretare e spiegare l’arte.
La storia della critica letteraria e d’arte del ‘900 ci ha insegnato che, da Freud in poi, confrontarsi con l’opera di un artista non può non tener conto anche dell’inconscio, ma ha anche palesato che una critica psicoanalitica, cioè una vera e propria disciplina nata dall’estensione esclusiva dell’ermeneutica psicoanalitica alla letteratura e all’arte in genere, non ha mai veramente preso corpo.
Penso, a questo proposito, a Giacomo Debenedetti, uno dei maggiori critici letterari del Novecento, in cui la evidente profonda conoscenza della teoria freudiana, interagiva sempre con istanze culturali di diversa provenienza, modulando ed arricchendo i risultati della sua interpretazione critica.
La psicoanalisi, quindi, non è che uno degli strumenti di interpretazione di cui un critico può disporre: la sola indagine delle patografie degli artisti, corredate da informazioni ricavate dalle opere, non può essere esaustiva.
Anche Freud, del resto, durante le riunioni, invita più volte – come viene messo a verbale da Rank – il suo esuberante ed entusiasta manipolo di esperti, a non esagerare col metodo biografico: l’arte vera non mette in scena l’inconscio, anzi…
Per Freud l’arte richiede che l’inconscio sia messo a tacere, per apparire sulla scena solo in forma mediata e mascherata: tanto più questo meccanismo riesce all’artista – attraverso la perizia tecnica – tanto più l’opera d’arte può dirsi riuscita.
In questo modo lo spettatore o il lettore possono conquistare, senza rendersene conto – e, quindi, senza pericolo che si attivi la censura – il piacere pieno.
Una facile interpretazione psicoanalitica di un’opera, puntualizza Freud, è possibile solo se l’opera è scadente: l’Arte vera rimane necessariamente misteriosa per lo psicoanalista, perchè l’artista riesce a tessere quel velo che la separa dai territori limitrofi del sogno, dove l’inconscio parta in libertà, con una trama tanto resistente e impenetrabile, da rendere l’ermeneutica della psicoanalisi inefficace.
Tuttavia, visto che, malgrado l’apparenza, in concreto non esiste l’opera d’arte perfetta, è possibile comunque rilevare in ogni produzione letteraria e artistica, minime tracce, piccoli indizi rivelatori, da cui partire per indagare.
Questa specie di paradigma indiziario cui si rifà il critico psicoanalista viene teorizzato da Graf nella relazione dell’11/12/2007 sulla Metodologia della psicologia dei poeti e arricchito dalle osservazioni di molti.
Adler – rifacendosi a Stekel (nella riunione che trattava l’analisi fatta da Sadger alle diverse edizioni delle poesie di Meyer) suggerisce, per esempio, di studiare le opere giovanili di uno scrittore e di metterle poi a confronto con quelle successive. Ciò che non appare più, perchè è stato progressivamente occultato dall’artista, è rilevante ai fini dell’analisi patografica: lo studio delle varianti nelle diverse edizioni della stessa opera curate dall’autore, come lo studio dei temi giovanili trattati, sarebbero quindi, punti di partenza privilegiati per il detective psico-letterario.
Purtroppo, però, come non esiste l’opera d’arte perfetta, non esiste il critico psicoanalista infallibile.
Proprio il maestro Freud, che pure invitava alla cautela e interveniva sempre a moderare le interpretazioni troppo azzardate dei suoi seguaci, provandosi sul terreno dell’arte, sarà vittima, in Un ricordo di infanzia di Leonardo da Vinci, di un abbaglio clamoroso che lo porterà a costruire gran parte di uno dei suoi saggi più belli, su un errore di traduzione – il nibbio scambiato per avvoltoio – procurandosi una storica figuraccia.
Leggere nei Verbali la relazione del 1/12/1909 di Freud Una fantasia di Leonardo da Vinci, che costituisce la prima stesura del suo saggio, è comunque esperienza emozionante, anche per il clima entusiasta con cui viene accolta dagli ascoltatori presenti, che rivela quanto, in fondo, si avesse fiducia in questo nuovo e tutto psicoanalitico approccio all’affascinante universo dell’Arte, che è parte della più ampia e generale istanza ermeneutica globale.
La psicoanalisi come chiave interpretativa dell’esistente, una filosofia cui i protagonisti dei Palinsesti sembrano aver aderito completamente, e che non travalica in fanatismo, percorrendo comunque sentieri d’indagine sempre rispettabili, grazie al rigore intellettuale di Freud, che tiene salde le redini del pensiero esuberante dei discepoli, sempre pronto a lanciarsi di corsa in ogni direzione.
Tuttavia, le parole di Zarathustra riportate dal Professor Lavagetto nel saggio introduttivo, ben si adattano a spiegare l’evoluzione del clima fotografato dai verbali di Rank : “Si ripaga male un maestro se si rimane sempre scolari”.
I membri della Società Psicoanalitica prenderanno ad uno ad uno la loro strada. Freud si spiegherà la questione alla luce del mito in Totem e Tabù, gli altri esporranno diversamente le proprie personali motivazioni.
Ma se si guarda agli scritti pubblicati dai membri della Società psicoanalitica – penso a L’artista. Approccio a una teoria sensuale (1907), e a Il motivo dell’incesto nella poesia e nella saga (1912) di Rank; o alle opere dello stesso Freud ove viene trattato direttamente o indirettamente l’argomento – è immaginabile quanto fruttuoso sia stato per ognuno tutto questo discutere e interpretare collegialmente l’Arte.
Un ultimo pensiero in chiusura, perchè tra i mille spunti per possibili riflessioni ed approfondimenti presenti nei Palinsesti, un quesito si è fatto strada con insistenza.
Per la Società psicoanalitica di Vienna, l’Arte è un territorio come un altro in cui esercitarsi nell’indagine psicoanalitica o, al contrario, la psicoanalisi diviene un pretesto per potersi accostare, vincendo ogni timore reverenziale, al mondo sacrale dell’Arte?