Nin Anaïs (1903-1977)

Una spia nel tempio della psicoanalisi

La psicoanalisi mi ha salvata perché ha permesso la nascita del mio vero io, religioso.

anaisb1 Albero analitico di Anaïs Nin

Amedeo Caruso, Una spia nel tempio della psicoanalisi, in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, 55, Roma, Di Renzo Editore, 2004

Il cap. 12 di Al di là della psicoanalisi. Otto Rank, Lithos, Roma, 2008, di Giorgio Antonelli

Estratto dal capitolo 12 di Al di là della psicoanalisi. Otto Rank, Lithos, Roma, 2008, di Giorgio Antonelli

Il fine ultimo dell’analisi, per Rank, era quello di accompagnare il paziente alla realizzazione di sé. Come ricorda Rollo May fu proprio Rank a adottare il termine autorealizzazione “prima di chiunque altro in America” (May 1991, 256). Maslow avrebbe parlato di self-actualization nel 1943. Ovviamente tale autorealizzazione concerne in prima istanza il dottor Rank. E cosa possiamo saperne di come egli si sia giocato la partita con la propria autorealizzazione a partire dalle sue affermazioni, dalla sua filosofia senza cadere nel peccato della circolarità? Abbiamo una speranza di saperlo a partire dal corpo di chi quella filosofia ha incarnato, Anaïs Nin. La quale comprende di colpo di essere stata colei “che aveva vissuto e impersonato la filosofia di Rank. Il corpo della sua filosofia conteneva un’interpretazione psicologica della mia vita”. (Nin 1995, 60). Annoterà Anaïs, in polemica col mondo fittizio di pubblicazioni, nel quale Rank è immerso, mondo incapace di riempirne la solitudine, che per ogni cosa vissuta da lei fino in fondo (doppio, dongiovanni, incesto, verità e realtà) Rank ha scritto un libro (Ibidem, 51). Un tema ricorrente, questo, di Anaïs, e tale da trovare Rank sempre in flagrante contraddizione nei confronti del proprio privilegio dell’esperienza. Del resto anche Rank doveva esserne ben consapevole se aveva pensato di demandare ad Anaïs il compito di realizzare una sintesi della sua “filosofia”. Anaïs poteva riuscirci meglio di chiunque altro dal momento che non intellettualizzava e in ragione del fatto che, così suonano le parole di Rank riportate da Anaïs, la psicologia era “divenuta il peggiore nemico dell’anima” (Nin 1992, 323, 339). D’altronde Anaïs ritiene che Rank sia confuso là dove afferma il primato dell’esperienza sull’analisi: “Afferma confusamente che l’esperienza è migliore dell’analisi. Ma quando ho provato a mettere in pratica la sua teoria, ho scoperto che il nevrotico è incapace di lanciarsi nell’esperienza” (Nin 1995, 178).

È nel Diario di Anaïs Nin che si possono rinvenire o almeno intuire i motivi profondi dell’invivibile verità di Rank. A partire da quell’inesperienza sessuale cui Anaïs ritiene di poter provvedere direttamente. Inesperienza confermata dagli stessi diari di Rank, dai quali non soltanto veniamo a sapere della sua incontenibile paura della morte, della sua solitudine, della sua passione per il teatro, ma anche che a venti anni il futuro psicoanalista non ha ancora alcuna esperienza dell’amore. A ciò va aggiunta la peculiare transitoria fobia del contatto, a meno che questo non fosse mediato dai guanti che Rank debitamente indossava. Anaïs ha colto perfettamente nel segno. “Rank” annota nel Diario “ha bisogno di un’educazione al sesso. Come un creatore, ho valutato il materiale e l’ho trovato buono: ci sono tutti gli elementi della sensualità, potenza, vibrazione, impetuosità. Manca solo l’esperienza” (Nin 1992, 328-9). D’altro canto, però, l’esistenza stessa di Anaïs Nin (a cui Rank riconosce d’averlo cambiato in modo fondamentale) è la testimonianza più profonda della rinascita di Rank, di quest’uomo pesante e pensante.

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