Marinoff Lou, Le pillole di Aristotele. La filosofia può migliorare la nostra vita (a cura di Silvia D’Offizi)
Come per il precedente libro di identico argomento, scritto dall’autore e divenuto un best seller in tutto il mondo, anche in questo lavoro Marinoff affronta il tema della consulenza filosofica. Lo fa con l’abituale stile semplice ed immediato che rivela l’intento divulgativo del saggio, adatto alla fruizione e non intenzionato a relazionarsi con ambienti accademici o specialistici. La filosofia come prassi non è il campo del confronto tra filosofi, idee e sistemi, ma una realtà nella vita di ciascuno. Nel titolo è già la promessa di una nuova prospettiva fornita dalla filosofia che invita a vedere la vita in chiave filosofica, concentrandosi sulle interpretazioni personali che si attribuiscono alla realtà per migliorarle, cambiarle o assumerne di nuove.
Ogni essere umano ha una propria filosofia di vita basata sul senso comune. Il senso comune che si fa scienza è la prassi filosofica.
Nei momenti di difficoltà le persone si pongono delle domande e sfortunatamente queste sono proprio le domande che non hanno risposta. A questo punto entra in gioco la filosofia, che sembra proprio, come l’autore ammette, “del buon senso della miglior specie”. E infatti è proprio così.
I filosofi mettono in discussione tutto ciò che succede, continuamente si pongono delle domande che i grandi sistemi filosofici hanno analizzato trovando in qualche modo delle risposte, che somigliano a quelle che ognuno può darsi solo che le persone comuni danno risposte banali. L’arte della filosofia è porre domande in maniera efficace e ottenere le risposte giuste. Per questo la filosofia può aiutare chi è in difficoltà cambiando la loro vita e trasformando il mal-essere in ben-essere.
Marinoff a questo punto procede all’individuazione delle “grandi domande” che riguardano ogni essere umano e ne individua dieci che corrispondono ai dieci capitoli iniziale del libro:
1. Come fai a sapere ciò che è giusto?
2. Ti guida la ragione o la passione?
3. Se vieni offeso, ti senti ferito?
4. È proprio necessario che tu soffra?
5. Cos’è l’amore?
6. Perché non possiamo andare tutti d’amore e d’accordo?
7. Qualcuno può vincere la guerra dei sessi?
8. Chi comanda qui, noi o le macchine?
9. Sei un essere spirituale?
10. Sei in grado di gestire il cambiamento?
Ogni argomento viene analizzato, vengono elencati i presupposti dai quali scaturirebbe il malessere legato ad ogni specifico nodo critico, si espongono i casi delle persone che, trovandosi in difficoltà, si rivolgono al filosofo, specificando il modo di intervento che è sempre un discorso a due intorno al problema. E il problema è una filosofia di vita errata che non permette di affrontare la vita in modo adeguato.
Spesso, secondo l’autore, i disturbi legati ad una filosofia di vita inadeguata, vengono classificati come PTSD (post-traumatic stress disorder) e questo è il classico espediente per far confluire il malessere, che non è malattia, verso forme di cura psicologica perché, coprendo il vastissimo terreno dell’intero passato del cliente, è molto facile dimostrare che questi soffre di un qualche disturbo legato ad un vissuto passato. Secondo l’autore potenzialmente nessuno è immune da una diagnosi di PTSD. Psicologia e medicina hanno invaso i campi delle emozioni trasformandole in patologie mentre l’emotività non va curata, spesso è indice di vitalità. Va piuttosto interpretata. Solo le malattie dovrebbero essere curate mentre la vita è il campo naturale della filosofia, le scienze mediche e psicologiche hanno solo tentato un’assurda patologizzazione dei comportamenti.
Quindi Marinoff applica quella che Aristotele chiamava phronesis, la saggezza applicata. In questo modo spera di restituire alla filosofia il posto che le spetta di diritto, in collaborazione con altre discipline che mirano tutte allo stesso obiettivo: il benessere del paziente. Se il malessere è fisico il medico è necessario, se il problema è di ordine psicologico il referente è lo psicologo, ma se il paziente è mentalmente stabile e in grado di contenere le proprie emozioni e il malessere deriva da una domanda senza soluzione si può attribuire a questa una risposta filosofica. Ecco circoscritto l’ambito di intervento. E l’ambito del malessere (si può dire a questo punto, di tipo esistenziale) è fondamentale perché un malessere non risolto si trasforma ben presto in malattia.
Ogni disciplina ha un’area di interesse e l’ambito del malessere esistenziale è quello della filosofia.
La sofferenza peggiore è quella che deriva dal bisogno non soddisfatto, si può soffrire per due motivi soltanto, secondo Sogynal Rinpoche, maestro buddista tibetano, ossia si soffre per l’infelicità di avere o non avere qualcosa. Imparare ad affrontare il dolore dato dalla necessità o dall’incombenza è il compito della filosofia. Che poi si traduce nei casi pratici dell’uomo che soffriva perché aveva vicini rumorosi o di quello che soffriva perché non aveva figli, e questi sono solo due degli esempi fatti nelle pagine del libro e riconducibili tutti a questa dicotomia.
A volte la cura può necessitare che il paziente dimentichi la causa che lo ha portato a soffrire. Come dice l’autore, una volta conquistato il nemico dentro noi stessi non abbiamo più nemici. E a tal proposito cita Nietzsche “un popolo felice non ha storia”. Individui e gruppi che si portano appresso molta storia probabilmente sono tristi per la maggior parte del tempo.
Nel lungo excursus sulle domande che affliggono l’umanità interessante è il punto di vista sull’incomunicabilità tra i sessi che si concretizza in una guerra che ha origine col mondo. La base biologica del comportamento sessuale umano è trascesa dagli accordi culturali. La riproduzione non è l’unica finalità del rapporto sessuale, ma i comportamenti sessuali di uomo e donna sono definiti per natura dal fatto che il primo ha molti gameti da disseminare per il mondo per avere la più vasta discendenza, mentre la donna ha un numero limitato di uova da far fecondare al maschio migliore. Per questo i loro comportamenti sessuali sono incompatibili e “il malessere che ciascuno dei due prova è una conseguenza ironica dell’attrazione reciproca, un piccolo scherzo della natura” (pag. 220).
Ogni capitolo inizia con una o più citazioni, è farcito di citazioni e spesso si chiude con delle citazioni. Queste sono un chiaro rimando agli autori che sono alla base delle teorie esposte nel libro. L’autore non inventa nulla, ma si limita ad applicare una tradizione di pensiero millenaria, senza per altro riferirsi direttamente alla tradizione della filosofia cosiddetta occidentale, ma spaziando fino ai precetti delle filosofie orientali. Sembra così assolutamente incontestabile, o almeno questa è l’impressione, perché contraddire lui è come contraddire Aristotele in persona, o Platone o Lao Tzu.
I capitoli si chiudono con degli esercizi, questo perché si tratta di prassi e la sua applicazione viene indicata in quanto il libro non è un saggio, ma un manuale. E alla fine la terza parte è dedicata al metodo che si differenzia da quello del PEACE (Problema, Emozione, Analisi, Contemplazione ed Equilibrio) enunciato nel primo libro Platone è meglio del Prozac.
Questa volta il metodo è indicato dall’acrostico MEANS: Moments of truth (momenti di verità); Expectations (aspettative); Attachments (attaccamenti); Negative emotions (emozioni negative); Sagacious choices (scelte sagaci).
Per quanto riguarda l’azione specifica del consulente, questi si pone come guida sapiente poiché ha il potere di indirizzare il paziente verso la filosofia che più si confà al suo caso.
La sofferenza viene da una filosofia di vita inadeguata e quindi il filosofo indirizza verso l’adeguamento. Tuttavia difficilmente il caso esposto presenta un quadro chiaro, non perché sia difficile l’interpretazione degli eventi, ma perché è in partenza difficile comprendere i motivi che spingono i pazienti a consultare il filosofo dato che non si tratta di patologie ma di malesseri, dubbi o domande di senso. Poi non sempre si arriva alla soluzione del caso poiché, visto che importanti sono le domande più che le risposte, non è interessante, una volta raccontato il disagio esistenziale, raccontare anche in che modo il cliente viene fuori dal disagio (sempre che ne venga fuori, non è importante la risposta).
Prendiamo ad esempio il caso di Ruth (pag. 262). Era una donna molto corteggiata e molti uomini le chiedevano di uscire, ma i pretendenti non guadagnavano più di lei e quindi, in caso di matrimonio, la coppia avrebbe potuto continuare a vivere agiatamente fino a quando uno dei due non avesse dovuto lasciare il lavoro per occuparsi dei bambini. Il dilemma sarebbe stato: mantenere uno stile di vita opulento con due stipendi affidando i figli a degli estranei oppure rinunciare al benessere consentendo ad uno dei genitori di restare a casa? La terza alternativa era per Ruth quella di trovare un uomo che guadagnava il doppio di lei, ma non essendo la sola a cercare questa situazione vantaggiosa si trovava di fronte a ricchi già sposati o gay. L’autore afferma che senza dubbio né gli psicofarmaci né gli psicologi avrebbero potuto aiutarla. Il suo problema consisteva nel nutrire una aspettativa troppo alta, aspettare che le cose siano in un certo modo è inoltre diverso dal volere che le cose siano in un certo modo. Il filosofo a questo punto le consiglia Sartre: “l’uomo è condannato ad essere libero perché una volta gettato nel mondo è responsabile di tutto ciò che fa” e Buddha: “Diventerai ciò che pensi”. Le consiglia in pratica quello che lui definisce esercizio della volontà poiché le relazioni vengono selezionate dalle forme di pensiero, se lei persiste restando fedele all’immagine che vuole per sé, riuscirà a realizzarla.