Gerd B. Achenbach, La consulenza filosofica. La filosofia come opportunità per la vita, 1987
La consulenza filosofica, pubblicata per la prima volta in Germania nel 1986, è una raccolta dei primissimi contributi di Achenbach sulla nuova disciplina di cui è considerato il “padre”. Il libro è costituito da undici saggi (un‘intervista, trascrizioni di conferenze, rielaborazione di articoli già pubblicati altrove) che, seppure in maniera disorganica, trattano le questioni principali della consulenza filosofica.
I contributi introducono alla nuova forma pensata da Achenbach per la filosofia (la consulenza filosofica è di fatto presentata come il solo futuro attuabile della filosofia), alla possibilità che essa sia ancora in grado di rendersi utile alla vita attraverso il rapporto con i problemi quotidiani della gente e attraverso la riflessione sull’esistenza, reale, concreta, del singolo individuo, uscendo dalle accademie e dalle università, dove ristagna, rispecchiando se stessa.
Achenbach, infatti, rileva nell’uomo post-moderno dell’era tecnologica un bisogno di filosofia, intesa come strumento che lo aiuti a ridare senso alla propria esistenza prigioniera degli schemi e nei modelli pre-confezionati imposti dalla società contemporanea. In questo contesto la consulenza filosofica propone un modo nuovo (ma dalle radici antiche) per aiutare le persone a riflettere sugli aspetti problematici della propria esistenza, senza fornire soluzioni già pronte, ma instaurando un libero dialogo in cui essa viene incontro all’individuo per aiutarlo nella riflessione.
Lo scopo della consulenza filosofica, dice Achenbach mutuando un concetto di Novalis, è quello di vivificare, cioè di ravvivare, il modo di pensare di colui che cerca una consulenza sulla vita.
Secondo l’autore, è esperienza comune a tutti, trovarsi, prima o poi nella propria esistenza, di fronte ad un problema che sembra senza soluzione, o immersi in una situazione di stallo che appare senza via d’uscita: la consulenza filosofica, attraverso il secondo pensare, può aiutare l’individuo a liberare e ad aprire il pensiero, a vedere nuove prospettive e a cogliere altri aspetti del problema.
La caratteristica principale riconosciuta alla disciplina è quella di essere un work in progress, senza né regole, né metodi definiti, se non il dialogo, che l’autore definisce libero, per meglio adattarsi alla singolarità e alla specificità di ogni individuo.
Infatti, la consulenza filosofica non lavora con i metodi, ma sui metodi, trovando di volta in volta nel dialogo con l’ospite il modo adeguato di procedere. Non si tratta di una tecnica, quindi, che può essere insegnata ed appresa, ma di una prassi (Philosophische Praxis è, infatti, il titolo originale del libro) che attinge alla tradizione millenaria del pensiero filosofico, per applicarlo praticamente alla vita e alle sue problematiche quotidiane.
La filosofia cattedratica, che ormai si è dimenticata dell’individuo, viene dunque affiancata e superata dalla consulenza filosofica, come pratica di aiuto e di supporto necessaria all’uomo di oggi, prototipo dell’ospite (così viene chiamato il consultante) della consulenza.
A questi, specifica Achenbach, non viene richiesta alcuna conoscenza filosofica preliminare, visto che ciò che viene offerto non sono pensieri e formule, o lezioni di filosofia: il consulente non è un insegnante di filosofia, ma un filosofo, cioè un vivificatore del pensiero attraverso il dialogo liberamente costruito, una trama leggera fatta di ascolto e di domande stimolate, provocate, nell’ospite e poi, insieme a lui, esplicitate, esplorate.
Le domande non sono più gli interrogativi kantiani della filosofia tradizionale (Cosa posso sapere? Cosa devo fare? Cosa posso sperare? Che cos’è l’uomo?) ma i più soggettivi e concreti: Cosa so? Cosa faccio? Cosa spero? Chi sono?. Così si aiuta l’individuo a capire che ciò che conta è cercare le proprie verità ed impossessarsene, mettendo in discussione le cosiddette verità imposte attraverso un procedimento che ricorda da vicino la maieutica socratica.
La consulenza filosofica, inoltre, secondo Achenbach, non è una psicoterapia camuffata, anzi si pone nei confronti delle varie forme di psicoterapia in maniera dialettica, quasi concorrenziale. A differenza di queste, né possiede metodo di applicazione e di procedimento prestabiliti, né si occupa dell’inconscio del soggetto, cercando i significati nascosti dietro il suo racconto, al contrario, applica un lavoro razionale su ciò che l’ospite dice effettivamente al consulente.
Ci sono temi, inoltre, sostiene Achembach, che possono essere trattati solo da un consulente filosofico, che ha alle spalle un patrimonio culturale (cioè l’intera tradizione filosofica) adatto per affrontarli. Per certi argomenti, come le riflessioni sulla la morte o le questioni di etica, infatti, le psicoterapie non sembrano possedere idonei strumenti di indagine.
Infine l’autore (spunto interessante, ma appena abbozzato) accenna anche ad una considerazione razionale, filosofica, del sintomo e della malattia, che divengono così possibile oggetto di consulenza in quanto comunicano ciò che, altrimenti, nella nostra epoca (mobilitata per combattere ogni forma di sofferenza) sarebbe incomunicabile: la patologia del singolo come espressione del Sé.
Seguono brevemente indicazioni relative ai temi principali rintracciabili in ciascun saggio.
Viene definita brevemente la nuova disciplina e i suoi destinatari come “un’istituzione per le persone – afflitte da preoccupazioni o da problemi – che non se la cavano nella vita e che pensano di essere in qualche modo rimaste impigliate;… persone che sono assillate da domande, a cui non riescono a rispondere e di cui non riescono a liberarsi;… hanno l’impressione che la loro vita effettiva non corrisponda alle loro possibilità. … Ciò che li muove non è quasi mai la domanda di Kant che cosa devo fare?, ma più spesso quella di Montagne che cosa sto facendo?”. La consulenza filosofica aiuta il suo ospite a cercare la propria strada, non mediante teorie, schematicamente, ma utilizzando come unica misura l’ospite stesso e considerando se egli viva in maniera conforme a ciò che egli è realmente.
Viene presentato da Achenbach sotto forma di dialogo con A. K. D. Lorenzen, un veloce excursus che analizza il succedersi delle scienze di riferimento nella storia: dalla teologia (nel passato), la psicologia (nel passato più recente) si è giunti ora alla proposta della consulenza filosofica come disciplina atta a rispondere ai bisogni di sostegno e ascolto dell’uomo di oggi. Viene citato in questo saggio un frammento di Novalis “filosofare significa deflemmatizzare e vivificare”, che secondo Achembach dovrebbe essere riconosciuto come motto della consulenza filosofica. Vengono inoltre date indicazioni sulla figura del consulente, che non è un terapeuta, non applica un modello preordinato o una tecnica appresa, ma dialoga con il suo ospite sullo stesso piano (eliminando per principio il dislivello terapeutico) esponendo solo pensieri che egli stesso ha accettato come propri. Solo il consulente che avrà compreso di avere lui stesso problemi filosofici irrisolti risulterà autentico e, quindi, comprensibile.
Il tavolo del titolo rappresenta il momento del relax, quando i filosofi presenti ad un Congresso o ad una Conferenza si ritrovano a pranzo insieme: lì si smette di dimostrare quello che si sa, ma ci si presenta per quello che si è. La domanda a cui si tenta di rispondere è appunto “chi è veramente il filosofo?”. Viene rilevato come ci si vergogni a dichiararsi filosofi, non tanto perché con lo studio della filosofia non si raggiunge nessuna qualificazione civile-professionale (a parte gli insegnanti, la cui professione, comunque, non è essere filosofi, ma insegnare la filosofia), quanto per la stima nei confronti della disciplina, troppo elevata per non poter chiamare qualcuno “filosofo”, senza vergogna. Questa “filosofia della pretesa” vecchia e tramandata, ha come unica via di salvezza la sua trasformazione in Praxis, in consulenza filosofica, che rigira radicalmente le domande kantiane sul senso della vita dell’Uomo nelle domande del singolo individuo, al quale fornisce anche un pratico sussidio per poterle pensare, esplorare insieme.
Il centro della riflessione del saggio è la ricerca di Hans Blumenberg sull’aneddoto di Talete (in “Storia della ricezione dell’aneddoto di Talete”). La caduta del filosofo nel pozzo mentre è intento ad osservare gli astri e la presa in giro da parte della sua serva si prestano ad una serie di interpretazioni varie ed interessanti, ma in Achenbach diviene soprattutto pretesto per ammonire la filosofia ad un ritorno alla realtà, (pena la sua caduta definitiva e l’esposizione al ridicolo): la possibilità le viene offerta proprio dalla consulenza filosofica.
Achenbach parla all’Università di Osnabruck e presenta, in quel contesto, una spietata analisi della condizione del filosofo, che sembra relegata alle Accademie, alle Università, senza alcun collegamento con la vita quotidiana e con i problemi pratici delle persone reali. Anche chi insegna la filosofia o chi la “presta” come “consulenza all’ingrosso” alle altre scienze (i vecchi clienti, come li definisce Achenbach, la teologia, la politica e la psicologia) non fa che attingere al patrimonio tradizionale immoto e conservato in naftalina. Se vuole tornare in vita, quindi, “La filosofia deve diventare pratica, azione comunicativa, esplorazione e organizzazione dialogica dei problemi…”, fornendo all’uomo reale il secondo pensare, (il metapensiero di cui solo la filosofia è capace) per rivedere in maniera nuova, vitale, creativa la propria vita e il proprio modus vivendi, favorendo uno spirito non ottuso, non fissato, ma libero, e una coscienza dei problemi aperta e concreta. (Seguono una serie di interessanti associazioni su cosa significhi filosofare e cosa sia il pensare filosofico).
Achenbach parla ad un simposio di filosofi a Klagenfurt e introduce la sua nuova disciplina come chance della filosofia del futuro. Il saggio è la continuazione ideale di quello presentato nel Capitolo 4 (che è, infatti, la trascrizione della conferenza tenuta per il medesimo uditorio circa due anni prima). L’autore rileva come le sue critiche alla filosofia accademica espresse durante il precedente incontro non abbiano suscitato, poi, molte proteste (segno di una coscienza critica presente presso gli stessi addetti ai lavori), e come sia stata accolta con entusiasmo la presentazione della consulenza filosofica. Continua, quindi, ad approfondire la sua esposizione della nuova disciplina, descrivendo i due ordini di esigenze che portano a richiedere la consulenza, cioè un bisogno di chiarimento esistenziale e, allo stesso tempo, il bisogno di rivolgersi a qualcuno, il filosofo, che sia accreditato come solido, affidabile, più di quanto lo siano tutti gli altri latori di offerte terapeutiche. La filosofia, secondo l’autore, può diventare un lavoro retribuito, perché affronta il bisogno che le viene presentato, non come fanno tutte le altre professioni d’aiuto, assumendolo così come è, ma diventandone la sua critica approfondita, accogliendolo e sviluppandolo ulteriormente.
L’apertura di cui si parla nel titolo è quella del gioco degli scacchi, alla quale si paragona l’esordio di ogni consulenza filosofica: “l’ospite muove il bianco e ha la prima mossa, il consulente filosofico muove il nero e reagisce”. Il consulente risponde fornendo, non una risposta filosofica generale o generalizzata intorno all’argomento, ma una relazione intorno al problema concreto presentato dall’ospite. Specifica Achenbach, infatti, che “non si chiede al filosofo cos’è la felicità?, ma gli si parla dell’infelicità. Nessuno gli chiederà cos’è il coraggio, ma certamente gli verrà raccontato lo smacco di una vita vile.” Affinché l’ospite possa essere in grado di aprire la partita (espandendo la sua ammissione di “non riuscire a farcela”) è necessario che percepisca nel consulente rispetto, riguardo, accogliente partecipazione. I filosofi, spiega l’autore, sono culturalmente preparati ad ascoltare di tutto, sono gli eredi dei pensieri “più folli”, delle idee “più stravaganti”, la loro indole è predisposta al dialogo con chi ha un problema di cui parlare.
L?autore, partendo dalla sua esperienza personale e familiare, analizza il tipo di problemi per i quali andrebbe richiesta una consulenza filosofica. Sono per lo più problemi di Etica. In passato due categorie si erano occupate di supportare in questo campo gli individui, i politici e i teologi, per lo più fornendo direttive riconducibili a paradigmi di riferimento preconfezionati e indiscutibili (Achenbach cita a proposito un frammento di I. Caruso “Il legislatore e i preti sono ambasciatori della morte nella misura in cui, per misericordia o fede nell’ordine, fanno eutanasia dell’essere umano: lo aiutano a rinunciare alla vita, lo dissuadono dai suoi desideri, lo allontanano dal proprio eros”). Anche la filosofia accademica e la psicologia (in particolare la psicoanalisi) si sono rivelate inadeguate, perché hanno finito per ricondurre i problemi etici del singolo ai propri paradigmi di riferimento. Solo una nuova filosofia pratica, la consulenza filosofica appunto, è in grado di accogliere e valutare i dubbi, di mettersi in discussione, di mutare la resistenza contro se stessa (propria della filosofia accademica che evita ogni contraddizione dissertando ex cathedra), in chiarificazione di se stessa, provandosi sul campo del problema concreto, contingente, reale, dell’ospite.
Achenbach tiene una conferenza nella clinica universitaria di neurologia e psichiatria di Tübingen sul rapporto attuale tra la filosofia, che comincia a diventare pratica (la nuova disciplina viene chiamata filosofia in statu nascendi) e la psicoterapia. Indaga la classica relazione tra filosofia tradizionale e psicoterapia, e il suo evolversi nel tempo, enunciando, e poi argomentando, quattro tesi:
“1) La relazione tra la filosofia tradizionale e la psicoterapia era basata sulla divisione del lavoro; una relazione non dialettica.
2) Come tarda conseguenza di vecchie arroganze e presunzioni, la filosofia doveva assumersi, nella divisione del lavoro, quei compiti che in ogni caso si erano dimostrati insolubili per la psicoterapia, ma che tali sono stati, di fatto, anche per la filosofia.
3) L’insolubilità delle tradizionali pretese filosofiche è lo smacco della filosofia tradizionale, ma è allo stesso tempo anche la base della consulenza filosofica.
4) La relazione della consulenza filosofica con la psicoterapia non è più basata sulla divisione del lavoro, ma è una relazione di cooperazione e concorrenza; è una relazione dialettica.”
In questa conferenza universitaria viene presentata dall’autore la consulenza filosofica come il futuro della filosofia; futuro che, allo stesso tempo, è un po’ come un ritorno alle origini, “un modo di pensare insieme”, come quando, nella Grecia antica, la filosofia era organizzata in confraternite e gruppi di amici (le scuole) ed era realizzata come una forma di pensiero, di vita e di rapporto, comunitari. Nel Medioevo si ebbe la trasformazione da dialogo a monologo della filosofia, il rifiuto dell’empirico e del sensibile rese la filosofia lontana dal mondo, rigorosa, precisa, erudita …cattedratica, e il filosofo divenne docente. Oggi si auspica per la filosofia un ritorno al reale, una rinascita alla pratica, alla concretezza, e visto che, dice Achenbach, “la forma concreta della filosofia è il filosofo”, nella consulenza filosofica essa si attua pienamente. Il consulente, infatti, attinge alla filosofia l’essenza con cui pensa dialogicamente insieme agli altri. Al termine, in un Post Scriptum, Achenbach sponsorizza la sua GPP (Società per la Consulenza Filosofica) come luogo dove i giovani studenti possono formarsi alla nuova disciplina.
Il corpus principale del saggio è costituito da un articolo che Achenbach ha pubblicato su richiesta, per fornire un esempio di caso particolare, concreto, di consulenza. Per non contravvenire all’obbligo di discrezione nei confronti dei suoi ospiti e per fornire comunque un resoconto completo da ogni punto di vista (del consultante, ma anche dell’ospite), l’autore decise di raccontare una auto-applicazione della consulenza filosofica: anni prima aveva sofferto di un blocco della scrittura, superato grazie a un dialogo con se stesso, recuperato nella sua integrità in questo contributo, perché annotato giorno dopo giorno dall’autore “di mattina, dopo colazione e la lettura del quotidiano… in un quaderno a fogli bianchi e a righe”.