Neri Pollastri, Il pensiero e la vita. Guida alla consulenza e alle pratiche filosofiche, 2004 (a cura di Daria Filippi)
Il discorso di Pollastri parte da un’analisi politica e socioculturale della nostra epoca che lo conduce all’idea che oggi sia sempre più forte il bisogno di filosofia. L’uomo ha bisogno di comprendere e di conseguenza si pone domande filosofiche. Nello stesso momento è nato un nuovo tipo di specialista: il consulente filosofico.
La filosofia ha rapporti poco diretti con la pratica, è amore per il sapere fine a se stesso, ha sempre dato risposte non definitive. Ma lo stesso Platone sostiene che la filosofia consiste nel “sapersi servire di quello che si fa”. È qualcosa di perennemente in movimento, un agire, un fare, un filosofare appunto, che però non ha effetti sul mondo che circonda l’agente, bensì sull’agente stesso. È in questo senso che la filosofia può essere considerata una pratica.
Pollastri ritiene necessario però che la filosofia si avvicini ai non filosofi: ecco che si può parlare di Pratiche Filosofiche. Tra queste la Letteratura Filosofica Pratica, una lettura agevole che pur non richiedendo una competenza nozionistica del lettore affronta filosoficamente temi in diretto collegamento con la vita quotidiana; la “Philosophy for Children”, creata dal filosofo americano Lipman e che attraverso la lettura di racconti e un conseguente dialogo comunitario ha come obiettivo lo sviluppo delle abilità di pensiero nei bambini; i “Café Philo” (nati in Francia per opera del filosofo Marc Sautet), discussioni su diversi argomenti, svolte in luoghi pubblici volutamente aperti a tutti e non tradizionali (bar, pub, librerie e biblioteche), in cui il filosofo non è il protagonista ma ha la funzione di esperto non dell’argomento, che è deciso dagli altri partecipanti, ma della modalità con cui questo viene affrontato; i seminari di gruppo, prossimi ai precedenti ma con un maggior tasso di impegno, hanno l’intento di favorire la partecipazione di non specialisti a ricerche e confronti filosofici; le vacanze e viaggi filosofici; la “Philosophy of Management”; ed infine la Consulenza Filosofica.
Quest’ultima è appunto la pratica filosofica per antonomasia. Nasce in Germania nel 1981, per opera del filosofo Gerd Achenbach, con il nome “Philosophische Praxis” ed è un’attività professionale, senza finalità terapeutiche, in cui il filosofo si mette a disposizione di chi senta il bisogno di affrontare con rigore, spirito di ricerca e confronto dialogico problemi e questioni posti dalla propria vita. È una novità poiché, anche se spesso i filosofi hanno avuto occasione di svolgere una qualche funzione di consulenza attraverso ad esempio il ruolo di precettore, il filosofo professionalmente è una figura che non esiste, ed anche quando gli viene riconosciuta autorevolezza sopravvive soprattutto attraverso la professione di insegnante. Con questo nome Achenbach avvicina la filosofia all’attività professionale e alla vita quotidiana, cercando di allontanarla, o comunque di differenziarsi, dal ghetto della filosofia accademica e allo stesso modo dalle psicoterapie, secondo lui inadeguate ad affrontare le difficoltà quotidiane in quanto sono portatrici di soluzioni generali e tecnicistiche e trasformano ogni problema in patologia, occupandosi dell’individuo in senso medico e non esistenziale.
La consulenza filosofica è dunque per il suo fondatore essenzialmente filosofia e non una professione d’aiuto, un modo per pensare produttivamente, per riflettere sui problemi concreti senza avere la pretesa di un risultato prestabilito e senza fare affidamento su forme determinate di sapere. È dunque impossibile definirne un metodo.
Achenbach ha eletto a parola chiave della disciplina la “saggezza”, ha creato un neologismo dal significato “capacità di saper vivere”. Questa non ha a che fare con contenuti sapienziali, ma ha come presupposto la vita vera. L’uomo non conosce mai l’intero, non può affrontare la vita in base a delle regole, può solo sapere di non sapere. Questo non significa che non si possa fare affidamento su qualcosa, ma questo sempre provvisoriamente.
Dopo l’apertura dello studio di Achenbach sono sorte analoghe iniziative, inizialmente soprattutto in Germania, poi progressivamente anche fuori di essa. Pollastri ne fa una panoramica molto esaustiva e critica descrivendo come la disciplina si è sviluppata nelle varie nazioni, secondo quali orientamenti, e chi ne sono stati i principali promotori. La carrellata termina con la situazione italiana in cui la consulenza filosofica è arrivata con estremo ritardo (1998).
La posizione radicale e originale di Achenbach non è stata accolta e perseguita da tutti i suoi epigoni, forse anche per alcuni nodi problematici che il filosofo non aveva sciolto: come sopperire le lacune in materia di relazioni interpersonali e come svolgere una pratica senza metodo e obiettivo. Queste difficoltà si traducono nel mondo anglosassone attraverso un avvicinamento della consulenza filosofica al Counseling e quindi un assimilazione alle professioni d’aiuto. Un nodo cruciale della disciplina è infatti il rapporto tra consulenza filosofica e terapia. Non viene negata l’efficacia di quest’ultima o l’esistenza della malattia, ma ci si disinteressa del paradigma terapeutico e ci si occupa dei problemi in modo diverso, ossia facendo filosofia. Vi è circolarità tra le forme del pensare e i processi psicologici, ma l’agire filosofico deve far un uso informativo e problematico delle conoscenze psicologiche, non tecnico e terapeutico. Per quanto riguarda l’aspetto di transfert/controtransfert Pollastri afferma che è stata frequente l’accusa alla disciplina di non aver tenuto conto di questo elemento ma, secondo lui, il transfert si verifica in ogni relazione interpersonale e la consulenza filosofica non si deve focalizzare su questo aspetto pena il tradimento del suo atteggiamento e la caduta su un piano psicologico strumentale.
Più vicini alla consulenza filosofica rispetto alla Psicoanalisi e ad altre terapie sono, pur con le dovute ed evidenti differenze, per Pollastri, il Counseling Esistenziale di Victor Frankl (che introduce la dimensione noetica del significato) e il Counseling rogersiano (con il concetto di antimodello e la terapia centrata sul cliente).
L’autore dedica una parte del suo libro alla storia della filosofia, alle sue origini e a ciò che l’ha preceduta e dunque influenzata e guidata (il racconto mitico, la tradizione religiosa, alcune forme tramandate di saggezza etica e politica, e la scuola teatrale e storica che fioriscono in Grecia contemporaneamente alla nascita della filosofia). Attraverso questo excursus ci spiega l’identità della filosofia e quali sono stati gli elementi che hanno influenzato e caratterizzato il suo sviluppo nei secoli e la specificità della giovane consulenza filosofica.
Con la nascita della filosofia l’enigma dal significato di ostacolo che aveva nel racconto mitico passa a quello di formulazione di una ricerca, ma il logos razionale ruota ancora attorno alle stesse questioni, ossia gli aspetti più difficili e inquietanti dell’esistenza umana. Questo logos viene chiamato philo-sophia e l’uomo philo-sophos, mai sophos perché non potrà mai impadronirsi della sapienza-saggezza, ma solo ricercarla, e questo ricercare è un modo di vivere.
Socrate è stato spesso considerato il modello della consulenza filosofica, il motivo principale è il suo disconoscimento della conoscenza, cioè il principio del non sapere: il più sapiente è colui che sa di non sapere. Inoltre Socrate non usa mai il termine metodo né si preoccupa di definirne il concetto. Il filosofare è per lui un mettere in discussione se stessi e un atteggiamento da praticare in ogni circostanza della vita quotidiana. La filosofia non risolve i problemi, ma li contestualizza e cerca di dar loro un senso. L’unico “strumento” non strettamente filosofico utilizzato da Socrate è l’ironia che mira a investire di responsabilità il dialogante per indurlo alla ricerca e alla personale riflessione. L’approccio socratico, afferma Pollastri, sembra quindi costituire le basi dell’agire della Consulenza Filosofica e una salvaguardia da ogni sua possibile ibridazione con attività psicoterapeutiche. Anche la filosofia di Hegel, secondo l’autore, non è lontana da questo spirito: il movimento del concetto, la ricerca di senso. Lo stesso si può dire per il pensiero filosofico orientale in cui si rinuncia alla categoria di Verità, in cui non c’è un fine, non ci sono i mezzi, né un metodo, ma solo una via (Tao) da seguire.
Nell’ultima parte della sua trattazione Pollastri cerca di delineare l’identità della consulenza filosofica descrivendo i ruoli dei suoi protagonisti, i momenti fondamentali, ed i suoi “intenti”.
Chi conduce la consulenza deve essere un filosofo e non solo un esperto di filosofia, in quanto si tratta di vera e propria filosofia, nella sua concezione dinamica di ricerca. Il consulente deve muoversi con la sola intenzione di esaminare socraticamente il pensiero e la vita degli individui facendo chiarezza nelle loro concezioni del mondo, aumentandone la consapevolezza, fornendo ai consultanti nuove informazioni e nuove connessioni di senso. Deve escludere l’impiego sistematico di schemi o di teorie utilizzate come griglie interpretative, ogni forma di consiglio sapienziale e l’uso strumentale di esercizi e attività psicofisiche per mutare percezioni e stati d’animo. Il consulente deve conoscere i fenomeni della sfera emozionale, ma queste conoscenze devono essere utilizzate per avere consapevolezza e per rendere partecipe il consultante delle dinamiche sviluppatesi nel rapporto, ma non per usarle in modo terapeutico. Il consulente deve ascoltare la narrazione dell’altro, fare delle domande per capire e far capire, cercare di rendere coerente il racconto. Dialogare mettendosi in gioco e in discussione per imparare.
I consultanti hanno di solito motivazioni molto concrete tendenzialmente riconducibili all’universo della relazione e si rivolgono ad un consulente filosofico per confrontarsi con una persona abituata a riflettere su questioni importanti, per poter parlare delle proprie difficoltà con qualcuno che non ne medicalizzi il contesto, o perché delusi da esperienze di psicoterapia. Anche le aspettative sono variabili, alcuni auspicano ad una risoluzione dei propri problemi ma poi ne trovano stimolante la problematizzazione, per altri questo aspetto è motivo di interruzione della consulenza.
Il problema della salute del consultante non ha alcuna importanza per lo svolgimento della consulenza filosofica, anche se è necessaria un’attenzione alle condizioni della persona che si ha di fronte. La consulenza filosofica non è terapeutica, può avere degli effetti terapeutici indiretti, ma non è compito del filosofo interessarsene.
Il dialogo deve procedere con una buona qualità, non devono esserci elementi che impediscono di ascoltare, comprendere, interagire. E quando ci sono limiti in questo senso il consulente deve essere pronto a interrompere il proprio lavoro riconoscendone l’impossibilità e consigliando altri professionisti.
L’avvio della consulenza filosofica avviene da un problema, al consultante spetta la prima parola, racconta la propria esperienza e le proprie difficoltà. Il consulente ascolta per poter comprendere. Questa narrazione è spesso ambigua, imprecisa, con degli impliciti, il filosofo deve mettere ordine razionale nel discorso del consultante entrando in relazione con esso. È necessario un rapporto paritetico per consentire un autentico dialogo filosofico. Il contratto è escluso da questo rapporto, deve solo essere comunicato il fattore economico, il fatto che la filosofia non mira a soluzioni e che il numero delle sedute è limitato. Non bisogna stabilire scadenze, frequenza e durata degli incontri.
Andando avanti nella narrazione i due dialoganti si spingono al di là del fatto contingente, c’è una progressiva riflessione, si pongono nuovi interrogativi, la concezione del mondo del consultante diventa progressivamente più consapevole e si modifica per divenire una filosofia.
Sebbene il lavoro di razionalizzazione filosofica si svolga sul piano cognitivo il piano emotivo non ne rimane escluso. “La scelta del modo in cui, concretamente, si opererà la razionalizzazione e ricostruzione della concezione del mondo, spetta interamente al consultante. Il consulente è solo un accompagnatore, un esperto che fornisce strumenti e alternative e mette a disposizione il proprio esser filosofo per portare avanti l’esame”. Chiaramente anche il filosofo ha la propria concezione del mondo ma non deve farla valere come Verità.
È un lavoro di “tras-formazione”: il sapere immediato del consultante viene messo in discussione, ricostruito e quindi “tras-formato” in visioni del mondo nuove e più coerenti.
La conclusione di una consulenza filosofica, per Pollastri, può avvenire per quattro ragioni: il problema grazie ad una nuova consapevolezza non è più rilevante, servono altre strade per la risoluzione del problema, proseguire è troppo impegnativo, oppure il consultante si sente in grado di proseguire il percorso da solo avendo assimilato l’importanza della filosofia.
Per quanto riguarda la formazione dei consulenti filosofici ci sono ancora parecchi problemi, la disciplina non ha un riconoscimento giuridico. Per quanto riguarda la maggior parte delle esperienze straniere sono presenti formazioni ad personam senza programmi unificati. In Italia invece sono sorti vari corsi, ma la qualità non è assolutamente garantita. Secondo l’autore bisognerebbe formarsi attraverso lo studio, la ricerca e la riflessione personale, partecipando a seminari e confronti di gruppo, ed effettuando un praticantato.