a cura di C. Illiano
Il libro di Martini alla lettura risulta ricco di temi e di materiale, pieno di riferimenti storici e di spunti tecnici. Filo conduttore del libro è una precisa ed accurata contestualizzazione degli argomenti trattati che vengono puntualmente inquadrati in un determinato contesto storico e viene, inoltre, posta dall’autore grande attenzione alla storia che sta alla base della loro nascita e del loro sviluppo. Questo avviene soprattutto nella prima parte del libro, mentre la seconda parte è tendenzialmente una trattazione tecnica del processo di narrazione che si manifesta durante la seduta di analisi: si passa dal paziente come narratore (con le sue possibilità e modalità di narrazione), dalla particolarità della produzione del paziente schizofrenico (con la sua caratteristica carenza di un “Io narrante”, ossia di un soggetto che gestisca il discorso); fino agli attori in gioco, alla competenza dell’analista, agli stili della narrazione ed ancora al ruolo del terapeuta come narratore, alla sua capacità di scrivere una cartella clinica e di fare un’anamnesi.
La prima parte, invece, come già affermato, tratta più approfonditamente i concetti base della narrazione e dell’ermeneutica e l’approccio adottato dall’autore riguardo questi temi.
Il libro si apre con una dissertazione sul bisogno di narrazione come esigenza primaria e universale: raccontare e raccontarsi come una delle più antiche attività dell’uomo, come una necessità elementare e immediata, alla pari di quelle di provenienza somatica o sociale.
Riprendendo un tema che verrà analizzato a lungo nel corso dell’opera, ossia il concetto di “incomprensibilità” di Jasper, l’autore afferma che “ogni narrazione è un tentativo di comprendere se stessi e il mondo che sembra rispondere a istanze molto profonde” : l’uomo sarebbe particolarmente intollerante verso l’ignoto e tenderebbe così a superare il senso di incomprensibilità che lo pervade mediante la narrazione. Ma anche “bisogno di raccontare come originantesi dalla necessità di frapporre uno spazio tra l’irruenza delle emozioni e il sé che le deve sì vivere, ma anche pensare e ordinare per non rimanerne sommerso”. . Narrazione, quindi, come tentativo di costituire uno spazio distaccato dalle emozioni, lo stesso spazio che sarebbe anche il fine ultimo di tutte le psicoterapie: attraverso la parola e il racconto si creerebbe una distanza indispensabile nel momento in cui le nostre emozioni diventano troppo forti e corrono il rischio di sommergerci.
Oltre alla creazione di questo spazio, la narrazione svolgerebbe un’altra funzione indispensabile per l’uomo, ossia quella di riuscire a stabilire una ri-significazione di ciò che si è vissuto e un recupero del passato mediante un confronto con le dimensioni della perdita e del ricordo.
Lo psichiatra psicoanalista, secondo Martini, deve essere in grado di assumersi la sua “naturale funzione di narratore (e prima ancora beninteso, di ascoltatore)” : egli si trova continuamente in contatto con il mondo della narrazione, sua o del paziente, e deve essere consapevole di ciò. Tutto il suo lavoro parte da una narrazione e ad essa ritorna.
Dopo aver affrontato a lungo il tema della narrazione, viene preso in considerazione l’altro concetto portante del libro: l’ermeneutica. Secondo l’autore, infatti, l’incontro della psichiatria con la narrazione non può che condurre a quello con l’ermeneutica: “si ha ermenia -afferma Ricoeur- dal momento che l’enunciazione è un cogliere il reale per mezzo di espressioni significanti, e non (come l’esegesi) un estratto di pretese impressioni venute dalle cose stesse” . L’ermeneutica è un’arte dell’interpretazione, il suo luogo privilegiato è la dimensione simbolica e sarebbe percorsa da tre istanze, una per ogni suo compito:
– Istanza veritativa: Ricerca del significato nel rispetto del testo e delle intenzioni del suo autore
– Istanza costruttiva: Il conferimento, una volta acquisito il significato, di un’ulteriore significatività, nella prospettiva di un’apertura verso nuovi orizzonti
– Istanza etica: La capacità di riuscire a convertire tale testo nella rappresentazione di un mondo che i pazienti potranno abitare.
L’ermeneutica in psicoanalisi si andrebbe a configurare, in teoria, come un metodo per riuscire a rendere significato all’esistenza del paziente, ad attribuirvi sensi che portano ad una maggiore libertà e responsabilità: “se occorre comunque ripercorrere con il paziente la sua storia …) non è però per far riemergere la scena primaria o consimili ricordi traumatici, bensì, principalmente, per farne riemergere un significato”. Generare quindi significato, riuscire a combattere la paura dell’ignoto e l’incomprensibilità dell’esistenza e delle esperienze passate, per dare nuova luce e nuovi significati a storie fino ad allora enigmatiche. L’azione terapeutica dell’analisi si manifesterebbe come una rinarrazione dell’esperienza umana in un ambiente duale, con la presenza significativa e partecipe dell’altro che deve essere in grado di ascoltare e narrare.
Martini delinea alcune ragioni che proverebbero il bisogno e l’urgenza di usare l’ermeneutica anche in psichiatria e non solo in psicoanalisi:
– La psichiatria si rivolge ad una soggettività che non è comprensibile. Essa studia i disturbi delle relazioni, che si manifestano attraverso il comportamento ed il linguaggio umano, e comprende perciò l’individuo nella sua totalità.
– La psichiatria è sempre narrazione di una storia.
– Essa implica una interazione.
– La psichiatria si occupa di sintomi il cui valore non è solo segnico ma anche simbolico.
– Essa trova il suo oggetto specifico nel “fatto mentale”, che si contraddistingue, a sua volta, per possedere caratteristiche di incommensurabilità.
È proprio su quest’ultimo punto che l’autore si sofferma a lungo, sull’incommensurabile, che determina una sorta di evoluzione del termine “incomprensibile”. Mentre il secondo, infatti, sta ad indicare un qualcosa che necessita di una ricerca cosciente di senso, con il termine ”incommensurabile” viene indicato tutto ciò che non è “commensurabile”, ossia “la presenza e la persistenza di un altrove, rispetto al topos del nostro discorso, che può essere solo approssimato”. L’incommensurabile, quindi, risulta non conoscibile perfettamente e precisamente, ma può essere solo approssimato dal pensiero; questa conoscenza, perciò, risulta sempre incompleta e imperfetta, ma comunque decisamente necessaria. Credo che una frase riesca a rendere ragione a quanto detto e a riassumere in breve l’ampio argomento trattato nel libro:
“La psichiatria può definirsi ermeneutica in quanto rinviene il suo campo di applicazione elettiva proprio al confine fra interpretabile e ininterpretabile. Ciò che sempre bisogna tenere presente è l’andamento graduale dell’incommensurabilità: un pensiero, un sogno possono avere un fondo di incommensurabilità maggiore di un altro.”