Arrigo Stara, Letteratura e Psicoanalisi

Arrigo Stara, Letteratura e Psicoanalisi, a cura di Alessandro Uselli

Diviso in soli 2 capitoli principali, questo saggio di Arrigo Stara si addentra a dipanare un interrogativo che accompagna la nascita della psicoanalisi e lo sviluppo del connubio tra psicoanalisi e arte: Freud ha realmente scoperto qualcosa di nuovo oppure la conoscenza di cui egli è stato pioniere era già presente nella storia dell’umanità sotto forma di letteratura?

La risposta a questa domanda parrebbe essere data dallo stesso padre della psicoanalisi, il quale riconobbe sempre il proprio debito ai poeti e agli artisti, riconoscendo a se stesso il solo merito di aver dato veste scientifica a qualcosa che prima di lui questi avevano già intuito.

Tuttavia il rapporto tra psicoanalisi, letteratura, critica letteraria, permane in uno stato confusionario, dai confini poco netti, nel quale la parola nuova che la psicoanalisi vorrebbe portare nell’interpretazione dell’arte, diviene essa stessa oggetto di critica.

Il libro di Stara cerca allora di organizzare tale caos andando a considerare tanto i contributi della psicoanalisi quanto le risposte della critica a tali contributi. Esso lo fa con una sintetica ma precisa ricostruzione della formazione freudiana, della storia del metodo psicoanalitico e del rapporto di questo con l’arte. Tale ricostruzione per quanto ben fatta rimane comunque limitata a Freud: nell’opera vengono citati appena i contributi di altri autori, per cui la psicoanalisi di cui si tratta rimane interamente confinata al paradigma freudiano.

L’iter di cui stiamo facendo menzione è quello che accompagna il primo capitolo del libro, il quale nell’affrontare le tappe di sviluppo di Freud e del metodo psicoanalitico, ritiene si rintracci nella fase dell’esperienza autoanalitica del padre della psicoanalisi il momento in cui letteratura e scienza finiscono con l’intrecciarsi secondo una trama difficilmente separabile in seguito. Per Freud, l’arte e l’artista rimarranno la sede di un mistero davanti al quale “l’analisi deve deporre le armi”; ma prima che ciò avvenga la scienza deve cercare per quel che le è consentito di strappare all’arte i suoi segreti.

Stara fa notare che probabilmente è a causa di questa visione che Freud guarderà sempre con diffidenza ai risultati della critica d’arte; gli sembrerà ogni volta che la psicoanalisi possa dire una parola nuova e risolutiva alla quale la critica non era mai giunta, o meglio non era mai potuta giungere (d’altronde la critica ricambierà Freud con medesima sufficienza).

L’autore sottolinea che in Freud non ci fu mai una teoria forte e dichiarata dell’arte, ma che questa è ricostruibile attraverso una serie di pregiudizi che caratterizzano l’occhio psicoanalitico nei confronti dell’arte. Tali pregiudizi sono elencati dall’autore come:

Pregiudizio contenutistico: le opere d’arte sono obbligate a trasmettere un significato, a possedere un contenuto da trasmettere

Pregiudizio della coerenza assoluta dell’opera: nessun dettaglio è insignificante, ogni particolare – per quanto minimo – è portatore di senso

Pregiudizio intenzionale: soltanto la ricostruzione dell’autentica intenzione generativa dell’opera è in grado di svelarne il significato autentico

Pregiudizio indiziario: le tracce che le opere d’arte si lasciano dietro confermano che l’interpretazione psicoanalitica non è stata pura fantasia

La riflessione si sposta dunque su un interrogativo mosso da Freud riguardo la potenza dell’opera di mantenersi intatta nel tempo: com’è possibile infatti che lo spettatore di oggi abbia il medesimo contegno di fronte a opere remote quali l’Amleto o, ancora oltre, l’Edipo re?

La motivazione secondo Freud è che l’impulso rimosso del quale queste opere trattano “è di quelli che sono ugualmente rimossi in tutti noi”. L’arte allora diventa una delle grandi forme di mediazione tra ciò che nella psiche dell’uomo è assolutamente privato e idiosincratico, e quanto lo collega invece alla società di cui fa parte. Arte quindi come una delle principali formazioni di compromesso fra individuo e società, tra principio di piacere e principio di realtà.

In questo senso Freud parla di “Premio di seduzione” ovvero di quel piacere pertinente unicamente all’opera d’arte mediante il quale il poeta è in grado di attenuare e rendere tollerabili quelle fantasie alle quali si riserverebbe la censura, il rimprovero o la vergogna.

Nel secondo capitolo l’autore passa in rassegna il secolo letterario appena trascorso, individuando per ogni decennio un’opera d’elezione per il connubio letteratura-psicoanalisi, partendo dal principio che nel corso del Novecento le più importanti opere pubblicate in Italia non abbiano potuto non fare i conti con Freud.

Nella prima decade del ‘900 Stara individua l’uscita nel 1910 del numero unico della <> dedicata alla Questione sessuale, che per prima fece conoscere alcune delle principali tesi freudiane In Italia.

Tuttavia dovrà passare ancora più di un decennio perché la letteratura italiana prenda coscienza di Freud e della sua scienza.

Arriviamo perciò agli anni’20 nei quali appare come opera fondamentale La coscienza di Zeno di Italo Svevo. E’ con questo romanzo che la psicoanalisi fa il suo ingresso nella narrativa italiana, nonostante il libro appena uscito suscitò ben poche risonanze, salvo qualche rara eccezione (è il caso di ricordare Montale).

Il libro è il diario di un paziente, Zeno Cosini, che seguendo l’indicazione del proprio psicoanalista mette per iscritto gli eventi più importanti della sua vita, ripercorrendoli per associazioni e rievocandoli emotivamente. Sarà l’analista a pubblicare per dispetto – essendosi il paziente sottratto alla cura a metà – il manoscritto di Cosini, il quale nel frattempo ha maturato opinioni personali sull’analisi e sull’esistenza che gli hanno fatto smettere la cura psicoanalitica.

Sulla scia di Svevo si colloca l’opera fondamentale del terzo decennio del’900, Il piccolo Berto di Umberto Saba, il quale – a differenza di Svevo – ebbe esperienza diretta della psicoanalisi essendo stato paziente di Edoardo Weiss, l’analista al quale si deve l’introduzione del metodo psicoanalitico in Italia.

Il piccolo Berto è una raccolta di versi nella quale l’autore attraverso la costituzione di un doppio infantile si occupa di quel piccolo Sè emerso tramite la terapia, facendo rivivere tutta la sua famiglia di allora.

Negli anni’40 appare fondamentale l’opera di un altro grandissimo della storia della letteratura italiana, Carlo Emilio Gadda con La cognizione del dolore. Stara sostiene a riguardo che i romanzi di Gadda costituiscano probabilmente il vertice insuperato dell’incontro tra Freud e la cultura italiana.

Nell’opera citata, il rapporto del personaggio principale – Don Gonzalo Pinobutirro – con la madre, verso la quale è afflitto da un tormentoso sentimento di dipendenza, costituisce in maniera esemplare cosa sia una nevrosi e il peso schiacciante di un Edipo non superato.

Gli anni’50 vedono nuovamente tornare di scena Saba con Scorciatoie e raccontini, un esempio unico di prosa morale in Italia, in cui il focus si sposta sul disagio della civiltà, in un momento in cui l’uomo aveva conosciuto le atrocità della guerra e del nazi-fascismo, e quindi al concetto di Thanatos sviluppato da Freud. Non a caso i rapporti tra Saba e Primo Levi (autore di Se questo è un uomo) faranno da cornice dell’uscita di quest’opera.

Sulla linea dell’analisi della mercificazione dell’uomo, della sua riduzione a cosa, si situa il Memoriale di Volponi, opera fondamentale degli anni’60, durante i quali il richiamo a Freud costituisce una via per manifestare il proprio dissenso verso la nuova società dei consumi.

Nel romanzo di Volponi vanno a incrociarsi nel protagonista Albino Saluggia, le afflizioni derivanti da un forte complesso materno e dalla sua esperienza di operaio, dal suo scontro con la politica, con la società; afflizioni che presto si tradurranno in concreta patologia con lo sviluppo di ossessioni, fobie, deliri, che tormenteranno il protagonista fino alla fine.

Gli anni ‘70 possono essere considerati come il decennio nel quale si introducono nella pratica interpretativa dei testi letterari, gli strumenti propri della critica psicoanalitica. In questo panorama, Stara identifica come opera principale del decennio, il volume di De Benedetti – pubblicato postumo – Il romanzo del Novecento.

Elsa Morante con Aracoeli offre il libro di maggior spicco degli anni’80 per i rapporti tra psicoanalisi e letteratura. In questo testo si ritrova la riscoperta del senso autentico dell’eros freudiano inteso come inappagabile richiesta d’amore, e del suo conflitto con thanatos, che appare prima di ogni altra cosa, come il mancato riconoscimento degli altri.

Negli anni’90 “lo spettacolo della psiche” appare all’autore, usufrutto di una letteratura di seconda fila. E’ per questo che Stara trova in Petrolio di Pasolini, pubblicato postumo nel 1992, l’opera principale per l’ultimo decennio del 900. E’ con esso infatti che tornano le riflessioni tra psicoanalisi e arte, il nesso tra l’autore e l’opera, la valenza del rimosso, l’istinto di morte.

E infine un accenno agli anni che immediatamente precedono la pubblicazione del saggio di cui stiamo scrivendo. In un momento in cui “Freud ha perso le penne”, in cui nessun libro pare potersi dire dovuto a Freud, Stara fa salvo solo Antonio Tabucchi con il suo Sostiene Pereira, pur sottolineando che trattasi comunque di un’opera edita nel 1994.

Si può dire del saggio di Stara che in maniera sintetica e chiara porti alla luce i rapporti, conclamati e non, che hanno unito la psicoanalisi alla letteratura, e riconoscergli il merito di tornare a parlare di psicoanalisi e arte in un momento in cui, come accennato prima, Freud ha perso le penne, ovvero in cui la letteratura ha abbandonato la psicoanalisi, e la psicologia, sempre più scientifica, pare non volersi più occupare -se non marginalmente- di questo ambito.

Il limite del libro risiede a nostro parere nel suo essere una semplice e sommaria introduzione, e ancor di più – connesso a questo – nel fatto di rimanere ancorato a una psicoanalisi che ha a che fare solo con Freud, lasciando da parte altri autori, anche epigoni di Freud (uno su tutti: Jung) che sull’arte e l’artista hanno fondato parte importante delle loro teorie.

Pensiamo quindi in conclusione che questo libro possa essere una discreta introduzione al tema importante (e probabilmente fondamentale) dei rapporti tra letteratura e psicoanalisi, ma che necessiti di un approfondimento che probabilmente potrà costituire un seguito importante dell’opera di Stara.

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Alessandro Uselli
Specialista in Psicologia clinica e Psicoterapeuta. alessandro.uselli@gmail.com