Alessandra De Coro, Diagnosi e narrazione nella cura psicoanalitica. La storia di Bice, Edizioni Borla, Roma, 1990

a cura di C. Illiano

Il libro riflette uno scrupoloso tentativo, operato dall’autrice, di tradurre accuratamente, in poche pagine ed in modo chiaro, il caso clinico di una giovane studentessa di psicologia. Bice, questo è il nome della ragazza, si presenta affetta da una forma d’ansia diffusa con spunti fobici e paranoici, labilità emotiva, atteggiamento infantile e dipendenza verso il partner; oltre a questo si manifesta un uso massiccio di alcuni meccanismi di difesa quali proiezione, negazione, razionalizzazione e scissione.

L’autrice stessa pone l’attenzione sulla difficoltà di riportare per iscritto un caso clinico, a causa dei problemi legati al tradurre in parole una situazione emozionale e, soprattutto, a causa degli eventi narrati nel caso che si configurano come un prodotto delle “metafore conoscitive” dell’analista e delle “narrative del paziente”. Secondo la psicoterapeuta, infatti, si pone l’esigenza di presentare il caso clinico come un’analisi della comunicazione interpersonale che avviene tra paziente ad analista e delle risposte del paziente agli interventi dello psicoterapeuta, partendo però dal presupposto che la stessa ricostruzione mnestica presente in analisi si manifesta come una rinarrazione della propria esperienza di vita ed è l’artefice del cambiamento terapeutico.

Alessandra De Coro afferma di aver seguito principalmente due modelli teorici nella stesura e nell’analisi del caso, due modelli che tengono in considerazione l’aspetto narrativo della situazione analitica. Essi sono il modello diagnostico di Kerneberg e l’approccio comunicativo-interattivo di Langs: il primo propone “una lettura genetica e ricostruttiva delle invarianti strutturali” presenti nel funzionamento psichico dell’individuo, mentre il secondo parte dal concetto di Baranger di campo di comunicazione bipersonale, che si costituirebbe all’interno della seduta di analisi, per postulare la necessità di riconoscere il ruolo svolto dall’analista nell’influenzare negativamente il paziente e le sue narrazioni.

Da questi due approcci l’autrice ricava dei criteri di lettura del materiale proposto dalla paziente, criteri che possono essere raggruppati in:

1. Analisi del funzionamento dell’Io

2. Ricostruzione dei modelli interiorizzati di relazione oggettuale

3. Osservazione della relazione paziente analista.

L’aspetto narrativo rientra principalmente nel secondo gruppo e si manifesta nella ricerca di “patterns emotivo-ideativi” intervenuti durante la narrazione delle relazioni del paziente con le figure significative presenti della sua storia passata e presente. Ad esempio, dai problemi dell’infanzia che affiorano dal racconto di Bice emerge una rappresentazione scarsamente strutturata del Sè ed una difficoltà nel mantenere una distanza ottimale dai rapporti affettivi nel processo di separazione-individuazione (a 9 mesi Bice è già in grado di camminare, ad un anno e mezzo controlla gli sfinteri in modo sufficiente da porter andare alla scuola materna) ed un’incapacità specifica nella fase di riavvicinamento che la porta ad usare l’identificazione proiettiva come modo per controllare le angosce di separazione (evidenziabile nel rapporto di vicinanza/fuga instaurato con il fidanzato Tony).

Secondo l’autrice, la lettura delle narrative della paziente sarebbe importante in quanto in grado di esprimere il nodo centrale sottostante la patologia di Bice: essa, infatti, volgerebbe l’attenzione verso una possibile difficoltà nel raggiungimento di una differenziazione sessuale completa a causa, probabilmente, di un’invidia eccessiva nei confronti della madre e la conseguente ed inevitabile paura di ritorsione; ma nello stesso tempo anche a causa di una figura materna fragile e provata da un forte esaurimento nervoso.

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