Giornale Storico del Centro Studi Psicologia e Letteratura, 12, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2011.
Siamo nel 1929 a Zurigo, in questo periodo Jung è impegnato nel seminario relativo all’analisi dei sogni di un uomo che teneva il mercoledì mattina presso i locali del Club Psicologico; la Hannah riferisce così il loro primo incontro: “Conservo ancora vivissimo il ricordo di Jung quale mi apparve durante il mio primo colloquio con lui il 14 gennaio 1929. Contava allora cinquantaquattro anni e, a parte i capelli grigi, anzi quasi bianchi, aveva ancora l’aria di un uomo giovane e straordinariamente vigoroso. È difficile darne una descrizione a parole, perché la sua espressione mutava di continuo. Ora si mostrava serissimo, poi qualcosa lo divertiva ed era, se è lecito dirlo, come se trasparisse un raggio di sole; […] Sapeva esprimere meglio di ogni altra persona da me incontrata, un’idea con un cenno quasi impercettibile, e comunque i suoi occhi, che durante l’analisi erano fissi in quelli dell’analizzando al di sopra delle lenti, comunicavano quasi altrettanto delle sue parole.
[…] Quando venne a prendermi in sala d’aspetto, teneva in mano la pipa ed era accompagnato dal suo grosso schnauzer grigio – il cane si chiamava Joggi, n.d.r. – che era evidentemente abituato a trarre conclusioni per proprio conto sulle persone venute a parlare col suo padrone. […] Piuttosto scossa da così forti impressioni, mi chinai a carezzare il cane, gesto da cui fui distolta da Jung che mi chiese con tono asciutto “È venuta da Parigi – dove all’epoca vivevo – per vedere il mio cane o me?”. […] Mi resi conto seduta stante che Jung poteva essere più diretto, addirittura duro e spietato, di ogni altra persona da me conosciuta […] eppure si sentiva in lui un uomo di grandissimo cuore, capace di rara simpatia […] erano due qualità che era dato avvertire simultaneamente; […] quel primo colloquio bastò a convincermi che la psicologia di Jung era incarnata nell’uomo Jung, il quale era assai più convincente di tutte le sue opere” .Anche la scrittrice Elizabeth Shepley Sergeant (1881-1965) riferisce di aver incontrato l’inseparabile cane del Dottore ed inoltre svela come Jung permettesse a Joggi di essere presente durante le sedute (come peraltro faceva anche Freud con i suoi cani di razza chow–chow): “Joggi, l’amico speciale del Dottore riesce sempre a intrufolarsi dietro il visitatore nello studio… e a prendere parte con silenziosa partecipazione al colloquio. Avevo notato durante la prima seduta, che la mano di Jung… si allungava di tanto in tanto a carezzare la testa ispida. E mi colpì il pensiero che questo contatto con una creatura istintiva, tutto pelo, servisse, chissà, per riequilibrare l’arcana intuizione dello psicologo, la sua mente penetrante… come una comunicazione rivolta al visitatore e a se stesso” .
Dopo quel primo incontro la Hannah non iniziò l’analisi con Jung ma, sotto sua diretta indicazione, per i due anni successivi si sottopose a ben tre diversi training analitici; Jung è stato il primo psicoanalista a sostenere la necessità di un’analisi personale approfondita, da lui chiamata “analisi didattica”, quale presupposto fondante della professione analitica .
A questo proposito vediamo la testimonianza di Tina Keller (1887-1986), una delle prime pazienti di Jung (fu in analisi con lui dal 1915 al 1924), divenuta poi a sua volta psicoterapeuta: “Subito dopo la fine della mia terapia […] provai un forte desiderio di tornare a studiare, infatti avevo avuto un’esperienza scolastica incompleta, cosa del tutto normale per una ragazza a quei tempi […]. Il dottor Jung considerava i miei studi non necessari. Egli infatti riteneva che un’analisi personale profonda fosse la sola preparazione indispensabile per diventare un analista. Egli era a favore degli analisti “laici” e infatti a quel tempo c’erano un certo numero di terapeuti che non avevano avuto una formazione accademica” .
Nonostante alcuni autori e alcune “scuole per futuri analisti” tengano a sottolineare la differenza sostanziale tra analisi personale (rivolta all’inconscio) e analisi didattica (rivolta all’acquisizione degli elementi base per la professione dell’aspirante analista) , in realtà negli scritti lasciati da Jung non viene fatta alcuna menzione relativamente a tale distinzione programmatica.
Ritornando alla vicenda formativa di Barbara Hannah sappiamo che ella affrontò la sua analisi prima con Tony Wolff, poi con Peter Baynes ed infine con Emma Jung: “…Emma Jung era appena agli esordi come analista quando cominciai a lavorare con lei nell’estate del 1930. Se mi prese con sé fu soltanto perché avevo sognato che lei conferiva una nuova dimensione alla mia vita e Jung le fece notare che non poteva rifiutare una simile sfida dell’inconscio” .
Abstract
La personalità misteriosa e poliedrica di Carl Gustav Jung, come uomo, ricercatore e analista, è ancora oggi fonte di numerose ricerche e dibattiti: i documenti ai quali è possibile attingere sono numerosi (libri autografi, epistolari, resoconti di alcuni seminari da lui condotti, testi redatti dagli allievi sotto la sua supervisione etc.) sebbene gli eredi siano in possesso di altri testi inediti che potranno, qualora pubblicati, alimentare la nostra conoscenza dell’“esperienza Jung”. Jung stesso, infatti, ha più volte sottolineato che la Psicologia Analitica è nata dalla sua esperienza personale con l’inconscio e con l’alchimia, per questo motivo ci sembra sia fondamentale a tutt’oggi indagare, oltre agli aspetti teorici della Psicologia Analitica così come descritti dallo stesso psicoanalista svizzero nei suoi testi, anche le testimonianze esperienziali di coloro i quali sono entrati in contatto con l’“analista Jung”. In questo articolo presento i “resoconti analitici” di importanti pazienti e allievi di C.G. Jung, per riflettere su come egli vivesse e interpretasse, dal punto di vista tecnico e umano, il setting, tra luci e ombre.