Virginia Salles, Mondi invisibili, Frontiere della psicologia transpersonale

in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, n. 17 “Abbandoni”, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2013

Descrivere ciò che non è immediatamente visibile, che ‘colpisce’, attiva e sfida la nostra abituale percezione, o il sistema di significati nel quale ci muoviamo, è certamente un’esperienza di fronte alla quale siamo chiamati a rispondere mettendo in campo tutte le nostre capacità di superare gli ‘angusti limiti della ragione’. L’autrice, con il coraggio, proprio di chi le esperienze le vive innanzitutto sulla propria pelle, con quest’opera provoca non solo la nostra organizzazione del mondo, ovvero come ce lo rappresentiamo, ma ci mostra anche una via, possibilità di accesso ad un mondo ‘altro’, toccando così quel tabu di una coscienza egemone che ritiene accettabile, o ‘vero’ solo ciò che riesce a comprendere e chiudere in un sistema di definizioni. Riflettiamo sul senso dell’etimo: ‘cum prehendo’, non vuol dire solo ‘prendo con me’, ma anche ‘faccio mio’, me ne impossesso, annetto. Mette in discussione, in modo convincente ed efficace, perché corroborato dalla clinica, il primato di una ragione che esclude, e nega ‘a priori’ ogni altra forma del percepire sensibile. Va subito detto che il tema, nell’oscurantismo di secoli andati, è stato spesso considerato di pertinenza della magia, della superstizione, di quella visione del mondo che cadeva sotto il termine ‘occultismo’, o nell’area di confine delle cosiddette ‘scienze occulte’, ma anche della corrente mistica dei contemplativi. Quando il filosofo E. Von Hartmann arriva, forte dei limiti imposti alla ragione dalla filosofia di Kant, ad ipotizzare un confine oltre il quale spingersi, proprio per comprendere ‘ciò che è ignoto alla coscienza’, e lo definisce ‘Inconscio’, apre alle scienze umane una possibilità di esplorazione che può e deve esser condotta con gli strumenti della consapevolezza. L’Io, che da qualche secolo grazie al cogito di Cartesiana memoria, viene indicato come il signore assoluto delle terre, deve scendere a patti con qualcosa che è ‘altro da sé’, non più relegabile nel regno della fantasia, del sogno e dell’immaginazione, ma ‘luogo di esperienza possibile’. Una dimensione, dunque, non un luogo, di difficile esplorazione, che per sua natura si presenta come l’”Altrove Assoluto” del quale l’autrice, indica una strada, una percorribilità, un processo, mediante il quale se ne può fare esperienza. Grande pregio di quest’opera è proprio mostrare la ‘percorribilità’ dei ‘mondi invisibili dando voce, così, ad una possibilità, nell’andare verso l’ignoto, di conoscenza diretta della ‘altera pars’ di chiunque volesse compiere questo viaggio.
Ad esempio, dobbiamo al coraggio di C. G. Jung, aver affrontato da solo, sperimentando sulla propria pelle, tutti i rischi di un viaggio così ‘pericoloso’. Il “Libro Rosso” è un resoconto preciso e puntuale del suo ‘viaggio interiore’ o se si preferisce, nel ‘mondo altro’, una nekuia, che gli ha consentito non solo la scoperta di sé, ma anche la possibilità di ’identificare ed applicare’ una serie di strumenti idonei al viaggio in quelle lande, in quell’Inconscio matrice/ madre di un linguaggio criptico che da sempre ha sfidato l’uomo alla sua decodifica.
E la Salles parte proprio da qui, quando dice che “il vero atto di coraggio, l’unico che ci viene richiesto in quanto partecipanti al grande miracolo della Vita, è il coraggio di affrontare l’Ignoto, di affrontare ciò che di più incomprensibile e sconvolgente posiamo incontrare sulla nostra via” (p.1) ricordandoci che “La storia umana degli ultimi secoli è seminata di libri rossi rimasti dentro ai cassetti, in attesa di tempi migliori, per timore della moderna inquisizione che incomincia con l’implacabile diagnosi fino alle varie tappe e i riti che segnano il percorso di esclusione dal contesto umano di chi è “uscito fuori” di testa (p. 9). Percorso che conduce il lettore ad una visione della psicologia che da interpersonale si trasforma in psicologia trans personale. Nella sua introduzione, ad esempio, leggiamo, a proposito dell’esperienza mutuata dalla psicologia transpersonale, che ”ogni cosa ci appare illuminata di luce nuova, semplicemente così com’è, come mai avevamo visto prima … e uno ‘tsunami emotivo può travolgerci’ …sfumature di suoni e colori e il senso finale di tutto ciò che stiamo vivendo ci appaiono intraducibili in pensieri coerenti ed accettabili” (p.XI). Una visione che, sia pure per un attimo, ci rimanda direttamente a W. Blake il quale sostiene che “quando le porte della percezione sono spalancate le cose ci appaiono come veramente sono: infinite”. Aldous Huxley mutuerà da queste parole il titolo del suo libro più famoso, “Le Porte della Percezione” nel quale descrive accuratamente gli esperimenti fatti su di sé, con l’uso della mescalina, per soddisfare quel “bisogno di trascendere la personalità cosciente dell’Io…come inclinazione fondamentale dell’anima” (A.Huxley, Le porte della percezione, Ed. La grande bevuta, Ferrara, 1978, p.40). Ciò che ottiene in questa esperienza è un rallentamento nella percezione della durata del tempo, e la visione di “..ciò che Adamo aveva visto la mattina della sua creazione:il miracolo dell’esistenza nuda” (op. cit., p.8). Ma anche a Henry Michaux de “Lo spazio Interiore”, al suo ‘miserabile infinito’ sperimentato con la mescalina; all’uso del LSD, come religione della mente di Timothy Leary. E perfino a quel tentativo di descrizione e/o spiegazione dell’esperienza ‘magica’ operato dall’antropologo Carlos Castaneda nel viaje con lo stregone Yaqui Don Juan, mediante l’utilizzo di sostanze psicoattive come la mescalina, la psilocibina (peyotl) e vari funghi allucinogeni. Un viaggio, condotto sempre con la presenza dello “stregone guida” che ha avuto il compito di “tradurre” in significati comprensibili le esperienze estreme che faceva Castaneda e ricondurlo così agli stati ‘ordinari’ di coscienza.
Non ultima, buona parte della cultura ‘psichedelica’ dei poeti della ‘beat generation’. Tutti, con scopi e risultati diversi, hanno sperimentato, e ci hanno trasmesso nelle loro opere, cosa vuol dire ‘aprirsi alla percezione di un mondo altro’, con l’aiuto e l’uso di sostanze, sia naturali, che chimiche. Si tratta di esperienze di ‘morte e rinascita’, ovvero di percorsi di annientamento e/o dissolvimento (morte) dell’Io, di stati alterati di coscienza, di viaggi per tappe che prevedono una ‘discesa agli inferi’, e il conseguente ’incontro’ con tutte le figure dell’altro mondo, e la percezione della morte psichica, per poi tornare ad una condizione di ‘normalità’, ma completamente trasformati. Non sfugge a quest’esperienza anche lo stesso Grof, il quale però, dopo aver sperimentato su di sé l’LSD, ed avendone compreso il potenziale distruttivo, approfondisce le sue ricerche sugli stati non ordinari di coscienza poiché ritiene che “ogni essere umano abbia diritto ad evolvere verso uno stato di maggiore completezza” (p.30). S. e C. Grof dicono che “non si riferiscono ad entità fisiche, a eventi temporali o a localizzazioni geografiche, ma a realtà psichiche sperimentate allorché gli stati di coscienza sono alterati” (S.e C. Grof, Oltre la soglia, Red edizioni1988, p.83) Trasforma, quindi, la sua esperienza iniziale di stati alterati di coscienza, collegandola al bisogno profondo di spiritualità quando dice “Non siamo solo delle macchine biologiche e degli animali altamente sviluppati; siamo anche campi di coscienza senza limiti che trascende lo spazio ed i tempo. In tale contesto la spiritualità è una dimensione imprescindibile dell’esistenza” (p.30). Sviluppa un modello di intervento psicologico su quelle che, in altra opera, definisce ‘emegenze spirituali’. Fin dall’antichità l’uomo ha sentito la necessità, il bisogno di trascendenza, rispetto al vincolo terreno di un corpo costretto a restare in una visione del mondo e delle cose circoscritta al volere di una ragione ‘imperatrice’. Il tema del ‘viaggio’ pone la questione del ‘dove’: è un viaggio ‘dentro’ di sé, quindi un viaggio psichico, si tratta di un andare in luoghi inesplorati della percezione, in una pericolosa, ma affascinante ‘terra di mezzo’ tra cielo e terra. Un viaggio ‘narrabile’ al ritorno, in un linguaggio che sia non solo comprensibile, e pertanto accettabile, ma anche trasformativo. Non è, quindi, un puro andare senza meta, stile ‘i vagabondi del dharma’, ma un ‘andare finalizzato’. La meta è duplice : innanzitutto la conoscenza, ma anche la trasformazione di se stessi. L’esperienza di cui ci parla Virginia Salles non è esclusivamente ‘psichedelica’, non libera tout court le immagini interne di un soggetto, per pura contemplazione, non è, quindi, riconducibile ad una filosofia ‘mistica’, ma fondamentalmente riporta un soggetto nell’alveo delle sperimentazioni ‘psicologicamente vivibili’. È un procedimento esperienziale, che, poiché modifica profondamente la percezione del mondo che ha l’Io del soggetto, finisce per essere ‘curativo’. Ci segnala, così, la cruciale importanza nella relazione terapeutica tra esperienza di trasformazione e guarigione.
Questo tipo di approccio agli stati non ordinari di coscienza, così come li propone Stanislav Grof, avviene attraverso la respirazione olotropica. Dunque, il respiro. Virginia Salles ci ricorda che “La respirazione, il “soffio vitale”, è stata utilizzata da tempi immemorabili quale potente mezzo di accesso al mondo interiore”, che il suo fine ultimo è sempre stato soddisfare “quell’insaziabile bisogno di spiritualità così intrinseco alla natura umana” e che, “attraverso la respirazione si possono indurre stati non ordinari di coscienza e catalizzare intensi vissuti che risultano terapeutici e tali da provocare profondi cambiamenti” (p.31).
La respirazione avviene secondo un ritmo costante, primo indicatore di vita in un soggetto, ritmo che dice della relazione dentro-fuori, è il respiro che ‘mette in moto’ il cuore, altro movimento sistole-diastole.. non bisogna dimenticare che in questa dinamica si realizza il rinnovamento delle cellule, a questo proposito cita un altro psichiatra e psicoanalista, J.A.Gaiarsa il quale ritiene che ..”il primo momento dello sviluppo e della formazione dell’io è respiratorio, in quanto “respirare” è la prima cosa che il neonato fa: “il movimento respiratorio inizia con la nascita, è dato con la coscienza del mondo e si costituisce quale prima forma di coscienza di sé”. (p.31)
Ritroviamo la respirazione ritmica mescolata a parole sacre (preghiera), anche nell’esicasmo e in alcune discipline dello Yoga del respiro, è una pratica che non conduce soltanto a visioni mistiche, ma ad uno stato di autentico benessere collegato alla percezione del momento intensamente spirituale che si sta vivendo. È da tenere presente che qui si parla del modo di agire di monaci i quali, attraverso un’ascesi corporale adeguata, hanno imparato a tenere sotto controllo le proprie ‘inclinazioni corporali’ e che, in seguito ai progressi già compiuti, sono passati dall’ascesi del corpo a quella dell’anima. Dice Virginia Salles (p.32) che secondo Grof “l’evoluzione della coscienza deve varcare i confini dell’ego e la respirazione è uno dei mezzi più potenti perché ciò avvenga”. Riprende l’idea di un processo analitico che si dipana e cresce come un’opera d’arte, restituendo all’analisi la dignità di ‘luogo sacro’ dove, come spazio uterino, che sta alla base delle esperienze emotive, è possibile “rendere significativi, traducendoli in simboli, quegli aspetti della vita interiore mai sufficientemente pensabili, esprimibili né rappresentabili” (p. 163). Così, nel temenos analitico si riproduce in modo esperienziale il dramma archetipico che sta alla base della sofferenza del paziente. Dunque, il controllo del respiro che pure produce stati alterati di coscienza, estasi, e trasformazioni, risulta particolarmente efficace per ottenere proprio quelle profonde ristrutturazioni delle esperienze vissute, che molti chiamano “guarigione”.

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Amato Fargnoli