Uno sguardo sulla psicosi. Perseo e Medusa

in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 14, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2012 – Estratto

Tutti noi abbiamo potuto sperimentare quante volte il gruppo di operatori di una Comunità Terapeutica Assistita si sia trovato a fare i conti con la rivalità interna al gruppo stesso, con le lotte di potere, con la pretesa del primato del proprio ruolo su quello degli altri. Questi fattori hanno un riflesso negativo sulla comunicazione e sulla motivazione dei singoli operatori, ma hanno altresì una negativa ripercussione sull’ambiente relazionale e sull’interazione paziente-operatore. Anche le modalità relazionali dei pazienti incidono spesso sulla relazione nell’ambito del gruppo degli operatori, dal momento che il paziente frequentemente manipola il rapporto con l’operatore, spesso sfruttando le incrinature e i conflitti che si generano fra gli operatori stessi.

Forse l’immagine della Medusa e della pietrificazione può essere paragonata anche all’assenza di entusiasmo e alla necessità di vivere spesso le situazioni come se fossero di pietra, pesanti, prive della vivacità e della mobilità del pensiero e dell’intelligenza. La metafora della pesantezza, di fare sempre le stesse cose, di essere oggetti pesanti di un ingranaggio ancora più pesante (l’istituzione e l’Ombra del collettivo) che ingabbia la creatività della persona e dell’altro, indubbiamente porta a fare i conti con Medusa, lo sguardo duro che immobilizza e non trasforma, anzi uccide. La pesantezza di Medusa ci riporta alla miriade di stati d’animo, spesso terrificanti e non umani, nel lavoro con le psicosi, avvertito nella sua noia, alla stanchezza che assale in incontri di confronto col vuoto e pieni di deliri ed allucinazioni.

Di fronte alla sofferenza psicotica, quella chiusa, mutacica, occorre essere in possesso (oppure acquisire gradualmente) dell’intuizione, della leggerezza, dell’empatia, avendo la capacità di stare con un piede dentro ed uno fuori, dal momento che lo psicotico è con tutti e due i piedi sprofondato nella palude della propria esistenza perdendosi nel labirinto di Cnosso, addormentatosi nelle prigioni del Minotauro.

La capacità di stare dentro e fuori vuole dire avere la possibilità di aprire una finestra sul mondo della psicosi, respirare quell’aria, comprendere il senso di quello che sta avvenendo, cogliere le immagini, i paradossi e gli enigmi che il paziente pone senza rimanere intrappolati perché ci si è avvicinati troppo. Occorre dai problemi avere la giusta distanza, la messa a fuoco come quando si lavora con la macchina fotografica, si deve inquadrare il dettaglio senza perdere di vista lo sfondo.

Avere la capacità di muoversi tra il paziente, il suo hic et nunc, la sua quotidianità, il suo presente, quello che sta dietro le sue spalle (la storia, la famiglia, la cultura, il sociale), può essere una strada da percorrere senza ritornare a casa solamente con la frustrazione e l’impotenza, sentimenti negativi che vengono anche attivati dall’incontro con tali pazienti.

Aggirare lo sguardo pietrificante della Medusa, vuol dire, all’interno di una dimensione junghiana, volgere lo sguardo all’attività immaginativa come utensile artigianale per la trasformazione: Quando parlo di immagini non intendo la riproduzione psichica dell’oggetto esterno, quanto piuttosto una concezione proveniente dal linguaggio poetico, cioè l’immagine fantastica che si riferisce solo e indirettamente alle percezioni dell’oggetto esterno. Questa immagine si basa piuttosto sull’attività fantastica inconscia.

Come Perseo dobbiamo essere in possesso dello scudo fornito dalla dea della sapienza, un femminile capace di utilizzare le astuzie e gli stratagemmi della riflessione; ciò vuol dire che nella relazione paziente-operatore bisogna muoversi con strategia e riflessione, senza spiccare troppi voli pindarici, altrimenti poi quando le illusioni svaniscono, l’onnipotenza dell’operatore si sgonfia come un pallone.

Questo può essere un momento di crisi difficile per l’operatore perché deve fare i conti con la propria impotenza (non ci riesco con questo paziente, mi sento in scacco, non so come comportarmi) e con la delusione: sentimenti negativi che conducono alla strada del burnout.

Infatti lavorare con pazienti psicotici gravi e interagire con essi richiede lo sviluppo di adeguate capacità personali: la capacità di tollerare fattori stressanti non indifferenti; primo fra tutti, tempi di cura particolari, in cui spesso si ha la sensazione che nulla cambi mai. Proprio questo senso di immobilità può trascinare l’operatore e la stessa struttura in un irrigidimento simil-psicotico, la cui costellazione principale risulta essere la paura del cambiamento.

Allora sorgono nell’operatore due opposte tendenze: da un lato si avverte la necessità di cambiare e di adattarsi a nuove esigenze, dall’altro verrebbe spontaneo rifugiarsi in una prassi ormai consolidata e nota, di cui almeno conosciamo le difficoltà e che per questo preserva dai rischi e dalle sorprese di una situazione in mutamento.

Molto spesso questo è l’atteggiamento che non solo il singolo, ma tutto il gruppo, sembra scegliere, quasi per un meccanismo condiviso e ormai interiorizzato nella struttura del gruppo stesso. La formazione del personale in tal senso rappresenta una delle strategie utili a contrastare l’insorgenza di questo fenomeno, migliorando quindi il livello della qualità dell’intervento riabilitativo.

Occorre tener presente che nessun operatore deve essere escluso da questo percorso di crescita culturale, poiché ognuno rappresenta per lo psicotico un modello di riferimento e ogni operatore invia al paziente un suo messaggio: il terapista della riabilitazione psichiatrica si occupa dell’area socio-relazionale, l’infermiere testimonia l’importanza del prendersi cura della propria corporeità, l’ausiliario testimonia l’importanza della cura del proprio spazio e della proprie cose. L’impegno che ognuno mette nel proprio compito sarà per il paziente la misura di confronto del proprio impegno e della propria motivazione verso il progetto terapeutico e riabilitativo.

Abstract

L’autore focalizza l’attenzione sul rapporto tra psicosi e dimensione mitologica, evidenziando come il tema di Perseo e l’uccisione della Medusa possa rappresentare occasione di comprensione e di conoscenza del mondo delle psicosi. Un femminile che pietrifica, quello di Medusa, che costella spesso la storia clinica di tali pazienti, in cui l’operatore della Psiche rischia di essere contagiato e inflazionato da una sofferenza mutacica o esplosiva come spesso accade a livello riabilitativo istituzionale. Il lavoro in strutture di cura per tali patologie mette a dura prova qualsiasi operatore della psiche e avere la possibilità come Perseo di essere munito di strumenti atti a fronteggiare le psicosi e le dinamiche istituzionali è di vitale importanza per se stessi e per la propria professione.

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Ferdinando Testa