in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 16, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2013
C’è crisi perché gli esseri umani non hanno imparato il saper morire. La crisi verrebbe meno se tutti gli esseri umani detenessero un’ars moriendi. Va da sé che le cose non stanno così e, presumibilmente, non possono stare così. Perché non possano stare così lo si deve al paradosso della coscienza. Fare assolutamente coscienza toglie il mondo. La psicoanalisi, ripeto, trascina al deserto. Gli esseri umani dunque concedono il loro anche inconsapevole favore alla crisi perché concedono il loro inconsapevole favore al tenersi del mondo. Il mondo non deve essere tolto e allora non può darsi ars moriendi. La crisi rimane tale e in analisi si apprende l’ars ma non la si porta fuori.
La crisi, in altri termini, si attraversa vivendo, solo vivendo e dunque solo alimentando altra crisi. Alimentare la crisi è il modo umano, troppo umano di fare mondo, di dare consistenza al mondo, di rendere solido ciò che lasciato a se stesso precipiterebbe in un’assoluta liquefazione. Si gioca qui quel paradosso della coscienza contemplato anche da Rank e Jung. Cosa c’è di meglio nei confronti della crisi di un fare coscienza? Non siamo forse stati gettati al mondo appunto per fare coscienza?. E però fare coscienza significa ritirare le proiezioni che edificano il mondo. Fare coscienza riduce il mondo, la massa del mondo a un punto di energia, a un irrelazionabile nulla. Fare coscienza oblitera il mondo. E così quel principio femminile che s’apre al morire, essendo dall’origine aperto al corpo e alle sue ferite, ritornerebbe su se stesso se non fosse per l’hic dell’ego, per la compensazione, sia pure unidirezionale, del principio maschile, tutto teso a fare storia e dunque a mantenere lo statuto della crisi e, con ciò, paradossalmente, a rafforzare l’Io.
Abstract
Un paradosso informa le pagine di questo articolo. Da una parte la crisi globale è riferita a una costitutiva incapacità degli esseri umani nei confronti dell’esperienza della morte. Non sono capaci, per lo più, gli esseri umani di morire. Dall’altra se questa ars moriendi fosse veramente appresa il mondo perderebbe di consistenza, diverrebbe liquido, finirebbe insomma con l’essere liquidato. Dal momento che l’ars moriendi è quanto si dovrebbe apprendere in analisi, se ne deduce che quest’ultima muove attraverso la crisi e in direzione di una fine. In conclusione il saper morire che si pratica in analisi è l’ars che i suoi detentori non portano fuori nel mondo. Il mondo sussiste proprio in virtù di quella crisi che gli è consustanziale. La crisi si attraversa vivendo, solo vivendo e dunque solo alimentando altra crisi.