Alfred Adler, Superiority and Social Interest 1928-1937, edited by Heinz L. Ansbacher, Rowena R. Ansbacher, 1964
Tradotto in italiano col titolo Aspirazione alla superiorita’ e sentimento comunitario, Edizioni Universitarie Romane, Roma, 2008
Il testo raccoglie gli ultimi articoli di Adler (sono tutti degli anni trenta con l’eccezione di un articolo pubblicato nel 1928). In appendice figura una biografia di Adler a cura di Carl Furtmüller. Nel 1937, l’anno della sua morte, viene pubblicato “Il Progresso dell’Umanità”. L’ottimismo di Adler vi è evidente e informa da sempre la Psicologia Individuale, i cui assunti (ribaditi con insistenza in tutta la sua opera) sono: unità della personalità, unicità dell’individuo (stile di vita e creatività), la ricerca del successo come dato strutturale della vita, la riconduzione di ogni problema alla triade “amore, “amicizia, lavoro”. L’origine dello stile di vita va individuato nel potere creativo del bambino = il modo in cui egli percepisce il mondo intorno al lui e il significato che attribuisce al successo. La tesi di Adler, a ridosso di questi assunti generali, è che il progresso dell’umanità dipende dal più alto sviluppo dell’interesse sociale. Adler credeva fermamente e messianicamente che la Psicologia Individuale avrebbe salvato il mondo.
Nei “Brevi commenti sulla ragione, intelligenza e debolezza mentale” (1928) Adler identifica l’interesse sociale con l’identificazione e l’empatia.
In “Come si affrontano i problemi della vita: una tipologia” (1925), Adler identifica lo stile di vita con l’Io (e la sua tattività creativa) e tipologizza i modi che l’Io ha di affrontare i problemi vitali in: tipo dominante, tipo dipendente, tipo evitante. La maggior parte degli esseri umani appartiene al tipo dipendente. I tipi si formano dalla prima infanzia.
In “Compulsione complessuale come aprte della personalità e della nevrosi” Adler indentifica numerosi e anche, in alcuni casi inediti complessi: il complesso del redentore, il complesso della prova (chi ha paura di commettere errori e deve sempre dimostrare di avere diritto ad esistere), il complesso di Polonio, il complesso d’esclusione, il complesso del predestinato, del leader, dello spettatore, il complesso del no (che si forma nella prima infanzia quando il bambino vede la possibilità del successo soltanto nel non essere influenzato dall’altro, nel non consentirgli sentimenti di superiorità).
In “Tecnica del trattamento” (1932): l’analista deve cercare di diminuire il grande valore che il nevrotico attribuisce al proprio sintomo. La minimizzazione del sintomo è un’arte, dice Adler, non qualcosa che la ragione calcolante possa insegnare. Il terapeuta deve avere un quadro della famiglia: successione e posizione dei fratelli ad esempio (il primo, il secondo, l’ultimo, il favorito dei genitori). Piuttosto che di inconscio (psicoanalitico) occorrerà concepire processi della coscienza che non hanno ancora trovato corrette formulazioni. Lo psicoterapeuta tratta con l’equazione “nevrotico=bambino viziato”. Nei sogni non accade nulla che non accada nella vita di veglia (unità di coscienza e inconscio). I sintomi sono costruiti dal paziente per nascondersi. La nevrosi, dice Adler, è una manovra che vela. I sintomi possono cambiare e ciò conferma che servono a nascondere. Se il paziente trova difficoltà a pagare, non bisognerà mai concedergli di pagare successivamente. Mai trattare gratis i pazienti (se non pagano penseranno di essere trattati peggio degli altri pazienti che pagano). Per quanto riguarda la durata del trattamento Adler diceva ai suoi pazienti che il trattamento sarebbe durato da otto a dieci settimane. In casi più difficili diceva: “Non lo so. Intanto iniziamo. Entro un mese le chiederà se lei è convinto che siamo sulla strada giusta. Se no, smetteremo”.
Alcuni lavori sono dedicati alle differenze tra la Psicologia Individuale e la Psicoanalisi. Particolarmente interessanti sono le differenze in fatto di interpretazione dei sogni. A riguardo Adler aveva delle idee assolutamente originali, diversissime da quelle intrattenute da Freud (e anche da Jung). Ne potremmo parlare in occasione della conversazione finale. Freud, secondo Adler, ha desunto la propria psicologia dalla psicopatologia del bambino viziato dotandola del “dialetto sessuale.” Il sesso però Freud non lo ha mai concepito simbolicamente, cioè come significativo di altro.
In “Manifestazioni fisiche di disturbi psichici” (1934) Adler afferma che l’individuo si esprime attraverso i propri organi. Se c’è qualcosa che non va in un organo, ciò ha conseguenze in tutto l’organismo. Tutto l’organismo vibra, scrive, se un organo è colpito (tesi dell’unità dell’individuo contro lo spezzettamento psicoanalitico in istanze, ad esempio Es, Io e Superio.
In “Insonnia”(1929) Adler sostiene che l’origine di questo sintomo ha a che vedere con l’ambizione. Non si cura con le medicine. La medicina in questo caso è l’esatto equivalente del non dormire.
In “Suicidio” (1937) Adler sostiene che il suicidio è una forma di comunicazione, un costringere gli altri ad apprezzare ciò che hanno perduto.
In “Religion and Individual Psychology” (1933) Adler riconosce l’analogia tra la tesi cristiana secondo cui l’orgoglio è l’inizio del peccato con la concezione fondamentale della Psicologia Individuale e cioè che gli uomini falliscono, diventano nevrotici etc. perché amano troppo se stessi.