Sapere il deserto. Sulla concezione psicoanalitica del mondo

Sapere il deserto. Sulla concezione psicoanalitica del mondo, Roma, Di Renzo Editore, 1994 – Estratto

Il sapere preteso dalla psicoanalisi è un sapere che salva, che redime, che libera. Ma la verità cui esso aspira corrisponde a ciò che gli uomini veramente vogliono? Non si tratta forse, nella psicoanalisi, d’un sapere e d’una verità che portano al deserto?

Sapere il desertoIl sapere indicato come “gnosi” è variamente sovrapponibile al e, comunque, comparabile col sapere che potremmo chiamare, provvisoriamente, “psicologico”. Gnosi significa “conoscenza”, conoscenza, diremmo, sperimentale, “cognitio experimentalis” dei misteri divini e conoscenza della propria origine divina…
Il sapere è propriamente tale là dove redime, libera. Tale sapere è soprarazionale e non acquisibile attraverso la mediazione della ragione, è segreto, esoterico, trasmesso da maestro a iniziato, ed eretico nel senso anche originario del termine, ovvero d’una “scelta”, scelta dell’interiorità, scelta che si contrappone fatalmente ai canoni dominanti. Ma il sapere che libera e salva è appunto il sapere reclamato dalla psicologia dinamica…

Occorrerà dire, però, che nella gnosi si tratta in genere d’una salvezza da questo mondo, laddove nella psicologia dinamica la salvezza si gioca tutta in questo mondo. Se la gnosi libera da questo mondo, dal principe di questo mondo, dal male di questo mondo e, potremmo aggiungere ricorrendo al linguaggio gnostico (che è anche paolino), dagli arconti o reggitori di questo mondo, la psicologia si propone di liberare, ad esempio, dai complessi, dalle coazioni a ripetere, dalle corazze caratteriali, dalle nevorsi etc.. Complessi, coazioni etc. costituiscono l’analogia psicologica di demoni, arconti e di ogni potenza malvagia…

Il sapere psicologico si dà costitutivamente nel luogo d’una scissione. Si sa sempre con e, dunque, si sa a partire da, da una lontananza da, da un contatto con. Il sapere è sempre sapere con, è il sapere della con-scientia…

Si tratta allora di stabilire a cosa corrisponda il “con” di quel sapere. Con chi, insieme a chi si sa, insomma, perché effettivamente si sappia? Per rispondere a questo interrogativo occorre preliminarmente pensare la coscienza come un campo relazionale. E’ infatti la stessa coscienza a contenere il soggetto conoscente e l’oggetto conosciuto. E’ tuttavia improprio parlare di soggetto e oggetto. Si dovrebbe piuttosto dire che la coscienza è un campo nel quale l’Io, che vi occupava il centro, si fa relativamente da parte allorché nel campo entrano le immagini.

L’Io inizia veramente a sapere, dunque, non allorché ottempera alle sue pretese di centralità, ma nel momento in cui inizia a accompagnarsi alle immagini. Per questo motivo ho parlato di un “sapere con” come caratteristico della coscienza e di un sapere in mezzo alle cose come caratteristico del sapere psicologico. Si sa, insomma, insieme alle immagini. Tale sapere non può certo accampare pretese sovrane, perché, non diversamente dallo spirito, le immagini vengono e le immagini vanno.

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L'autore
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Giorgio Antonelli