Potenza della mitologia. Dioniso nel setting analitico

in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, 45, Napoli, Liguori, 1999.

Perché la mitologia è potente? Perché gli dèì che l’hanno popolata un tempo da sempre stanno ritornando. Dove? Nei luoghi della nostra sofferenza, ad esempio, e anche nel setting analitico.

Nel “Crepuscolo degli idoli” Nietzsche parla d’una psicologia dello stato dionisiaco e non esita a definirsi primo psicologo della cristianità (Dioniso, insomma, è il primo psicologo della cristianità.) Nietzsche guarda inoltre a una nuova specie di psicologi (inventori di nuovi stati dell’anima, sperimentatori, medici nuovi) che si formerà a partire dal vivisezionarsi (ovvero sottoporsi ad autoanalisi), movimento trasformativo che il filosofo, al fuoco dell’immagine di Dioniso smembrato dai Titani, nomina come “farsi a pezzi” e anche come creare distanze dentro sé”.

L’autoanalisi (quella che poi condurrà, per primo, Freud) equivale a un movimento dionisiaco, a un volersi dionisiaci. Il dionisismo di Nietzsche è la premessa della psicoanalisi e, con essa, del destino di Ferenczi. Psicoanalizzare significa sciogliere, riportare alla materia prima (che sono i complessi). E’ il procedimento che gli alchimisti chiamavano “solutio” e che Freud ha continuato come psicoanalisi.

Gli alchimisti ritenevano che una sostanza (in psicoanalisi la psiche, la psiche del paziente, la stessa relazione analitica) non potesse essere passibile di rinascita, di trasformazione (che è il fine dell’analisi), se non fosse stata previamente ridotta a prima materia. Ora, in analisi, appunto questo si fa, si sciolgono le fissità, si lotta contro le abitudini, si dialoga coi complessi. Se si fa una buona analisi, rispondeva Freud a quei critici che contestavano il nome stesso di psicoanalisi (perché psicoanalisi, chiedevano quelli, e non psicosintesi?), la sintesi si fa da sé.

Analizzare significa lavorare con le parti di Dioniso. Le parti di Dioniso sono i complessi, siamo noi, noi siamo parti di Dioniso. Nell’ottica di questo lavorare con Dioniso, che è l’analisi, si rende anche possibile considerare brevemente il cuore pulsante della tecnica analitica junghiana: l’immaginazione attiva. Per più versi mi sembra di poter definire questa tecnica “dionisiaca”. Intanto per la sua complessualità e, insieme, mistericità e, soprattutto, per il suo debordare dalla coscienza allo scopo di allargarla (di qui la già citata definizione data da Jung di “psicosi anticipata”). Nell’immaginazione attiva si tratta d’un fare frammentazione, d’un entrare in dialogo con le proprie immagini interiori, con le proprie parti, i propri complessi.

Ognuno di noi è molti. Ma che ognuno di noi sia molti costituisce la grande scoperta, sulla scia della scuola francese, della psicologia del profondo. Quel profondo si sostanzia della nostra molteplicità. Quel profondo è politeista. Corrisponde al compito che Nietzsche ha additato all’uomo, la creazione di distanze dentro sé. Compito del tutto assimilabile a quel fare coscienza che per Jung costituisce il fine del nostro essere al mondo.

A tale molteplicità, oltre che alla questione della rinascita (motivo analitico fondante, tra gli altri, in Rank e Jung), va legato il mitologema della doppia nascita di Dioniso (da Semele e da Zeus, ovvero da Semele e da Persefone). Pernety vi fa riferimento nel suo trattato di interpretazione della mitologia in chiave alchemica. Le favole dei poeti (mitologie) “non possono trovare una spiegazione se non mediante la Filosofia Ermetica”. La duplicità è dionisiaca: “Bacco ebbe due madri: Semele e Giove, e, secondo Raimondo Lullo, il fanciullino Filosofico ha due padri e due madri, perché, dic’egli, è stato cavato dal fuoco con molta cura e non potrebbe effettivamente morire”.

Fare analisi significa lavorare con Dioniso, lavorare con la frammentazione. significa sottoporsi a frammentazione e di lì rinascere, diventare padre e madre di se stessi, riconoscere la qualità di imago dei nostri genitori (di qui il significato simbolico delle due madri di Dioniso, Semele e la coscia di Zeus). Dioniso è il fondo di quella reciprocità in ottemperanza alla quale Jung ha sostenuto che, in analisi, l’analista non può influenzare il paziente se non si lascia influenzare dal paziente, e che ha portato Ferenczi a sperimentazioni terapeutiche estreme (mai più tentate dagli psicoanalisti successivi), quali quella dell’analisi reciproca che lo vedeva trasformarsi in paziente al cospetto di una sua paziente, la citata Elizabeth Severn, a sua volta diventata sua analista.

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Giorgio Antonelli