Peccati e virtù nell’era della globalizzazione

in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 11, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2010 – Estratto

Nei tempi moderni il punto focale della nostra meraviglia e della nostra indagine conoscitiva ha subito uno spostamento radicale, una discesa dal Cielo alla Terra che ha portato luce nelle tenebre della materia e oscurità là dove un tempo c’era luce spirituale. Gli antichi dei non hanno potuto sottrarsi alle lenti del telescopio e ai raggi “x” ed è comprensibile che siano crollati insieme a un intero universo di simboli.

Non più l’aldilà, quindi, la fascinazione delle vette o i miracoli delle sfere celestiali a indicarci la via, e nemmeno il mondo minerale con i suoi misteri alchemici né gli spiriti degli animali. Illuminati dalla scienza e dalla psicanalisi ci siamo liberati, in un certo senso, dalla stretta rete della tradizione religiosa, ma credo che sia altrettanto importante, oggi più che mai, liberarci anche dalla sua radicale cancellazione. Il problema attualmente più significativo non è tanto sapere se Dio è morto ma se l’uomo è ancora vivo e passibile di evoluzione . Ora, ogni autentica ricerca di verità e di conoscenza non può prescindere dall’immersione nei nostri oscuri abissi interiori, che rappresentano per noi la fonte stessa della vita e che usiamo chiamare “inconscio”. L’ultima speranza sembra ora consegnata ai recessi interiori dell’uomo, diventato oggi, lui stesso, il vero oggetto della nostra indagine conoscitiva. L’ultimo mistero. L’uomo, è oggi il mistero cruciale.

Questo spostamento del punto focale della nostra ricerca verso le profondità dell’animo umano, insieme alla sempre maggiore attrazione che l’uomo moderno prova per il proprio lato oscuro, pretende da noi “qualcosa” che non può essere più ignorata. Non sappiamo esattamente cosa, così come non sappiamo verso cosa ci si muove e meno che mai da cosa siamo messi in moto. Il Significato stesso della ricerca è anche qui, ancora una volta, qualcosa di assolutamente inconscio.

In questo percorso di conoscenza non è la società che deve guidare e salvare l’individuo, ma, come sostiene Erich Neumann , esattamente il contrario: è proprio l’individuo che si è perso nella legge, che può e deve rinascere nella ricerca della propria identità e del Significato della sua presenza nel mondo.

Le grandi religioni, come sono attualmente intese, non rispondono più al bisogno di conoscenza, di significato e di valori così indispensabile agli esseri umani, ma si limitano a difendere i propri interessi di natura secolare e materiale. Nell’attuale scenario collettivo l’unità sociale non ha più alcun contenuto religioso, regnano indisturbati l’etica degli affari e i “patriottismi” con le loro bandiere a inflazionare il nostro ego separatista.

In tempi di globalizzazione l’unica comunità non può che essere il pianeta, non più le stirpi, i popoli o le nazioni e ognuno di noi è chiamato alla prova suprema – portare sulle proprie spalle la croce della passione – non nei momenti gloriosi delle grandi conquiste della nostra civiltà, ma nel buio più cupo e nel silenzio, nei luoghi della solitudine e della disperazione. È soltanto in fondo al dolore che, secondo il poeta, si trova una flebile musica che ci può indicare la via.

Il moderno ricercatore di verità è un ricercatore dei sotterranei dell’anima, come direbbe Aldo Carotenuto, un ricercatore degli oscuri abissi interiori con tutti i rischi che una tale indagine comporta. Non deve più cercare il fuoco o le particelle elementari ma, proprio come nei miti dell’antichità, deve riportare alla luce un intero continente perduto, l’Atlantide dell’anima o l’enigmatico Graal. Tutto questo richiederà di andare molto “oltre”, di andare “al di là del bene e del male”, come unica possibilità di salvezza e unica premessa di una vita autentica. Le linee di comunicazione tra le zone conscia e inconscia nella psiche dell’uomo moderno, come sottolinea Jung, sono state interrotte e ciò rende più denso questo profondo buio e più ardua la ricerca.

Ogni psicologo sa che quanto più ampio è lo spazio interiore occupato dai contenuti inconsci e quanto più limitato è il campo della coscienza tanto maggiori saranno l’instabilità e i conflitti all’interno non solo dell’individuo ma anche dell’intera collettività.

Ed è proprio in questo spazio di oscurità che secondo Neumann risiede il rischio di catastrofe per l’Occidente, ma allo stesso tempo anche la possibilità di una trasformazione e di ogni suo futuro sviluppo. Anche se, sottolinea ancora Neumann, in un primo tempo appare senz’altro più evidente l’aspetto catastrofico di disastro e sconvolgimento.

Quando parliamo di “peccati” e quindi di atteggiamento etico è necessario distinguere tra una coscienza o etica autoritaria e una coscienza o etica umanistica. La coscienza autoritaria è la voce del collettivo, definita da J. A. Gaiarsa “la voce del coro” che corrisponde all’autorità interiorizzata dei genitori, dello stato, della religione (coscienza eteronoma o super-io freudiano). È sempre collegata all’idolatria ed è, per sua natura, un’etica alienata. È la coscienza figlia dell’antico Dio, che fu definito da Einstein “il Dio del terrore” e proclamato morto da Nietzsche.

Molto diversa è la coscienza definita da Erich Fromm “coscienza umanistica” (autonoma) figlia di un Dio interiore, il Dio di Jung. È la coscienza-voce della nostra personalità totale che esprime le esigenze della vita e dell’evoluzione. È la coscienza che estrinseca le intenzioni del “seme”, della forza vitale in noi. Per la coscienza umanistica è Bello e Buono tutto quello che incoraggia la Vita, Malvagio è invece tutto ciò che la trattiene e la soffoca. La coscienza umanistica è la voce del nostro profondo Essere, il “Sé”, che ci riporta a noi stessi, per diventare ciò che potenzialmente siamo. Non obbedisce a un’autorità esterna, interiorizzata che sia, ma è una coscienza “responsabile” nel senso che è “rispondente” al mondo al quale appartiene come un essere vivente in relazione con altri esseri viventi, cioè come un essere umano interiormente attivo. L’etica autoritaria è invece estranea all’elemento vitale e sotto molti aspetti si contrappone all’etica della persona autenticamente religiosa.

Ma cosa s’intende per “persona religiosa”? Quale è l’elemento che la definisce tale?

La comune definizione di persona religiosa è quella della persona credente in Dio in quanto Essere supremo e sovrannaturale e che, come conseguenza della propria fede, è anche una persona dotata di una coscienza etica. Questa definizione trascura però l’essenziale, la qualità intrinseca dell’atteggiamento religioso: il fatto che questo non è fondato su un concetto (pensato) di Dio.

Uno dei dogmi basilari del Buddhismo Zen è che le parole (concetti) e la verità sono incompatibili, o quanto meno non esistono parole capaci di catturare la verità. Qualunque sia lo spazio verbale in cui si tenti di chiudere l’Essenza, essa resiste, scalpita… deborda. L’uso delle parole, secondo lo Zen, è intrinsecamente dualistico, quindi contrario alla Divinità. Ma lo Zen, anche se ci appare illuminante, autorevole e molto seducente, riesce a essere a volte anche provocatorio e irritante in tutta la sua anarchia e oscurità.

Più che di religione quindi, come siamo abituati a intendere, sarebbe meglio parlare di “esperienza religiosa” e ciò che conta non sono le concezioni razionali che ne derivano, ma il substrato di esperienza umana che genera tali concezioni. La questione centrale che rimane allora è la seguente: l’esperienza religiosa è necessariamente collegata a un concetto di Dio?

Abstract

Nel presente articolo l’idea tradizionale di peccato vieni rivisitata e rielaborata in chiave moderna alla luce dei più recenti sviluppi della psicologia junghiana e transpersonale. Non più il Diavolo in agguato dietro i nostri comportamenti più riprovevoli ma i nostri rigidi confini egoici, la sete di potere e di dominio che ci separano dagli altri e dal mondo che ci circonda. Nel significato originale della parola greca hamartàno, che deriva dall’arte del tiro con l’arco, peccare significa sbagliare il segno, mancare il bersaglio. Qual è oggi il bersaglio da non mancare? In tempi di globalizzazione e di rischio di catastrofi ecologiche il bersaglio da raggiungere è un più alto livello di unione e di consapevolezza – “il tempo messianico” o “il ritorno di Dio sulla terra” così come viene definito nella letteratura profetico-spirituale e descritto nella Bibbia. Dal punto di vista “umanistico” di Fromm il tempo messianico potrebbe essere considerato l’unica possibile risposta all’attuale crisi dell’umanità, l’alternativa alla sua auto-distruzione. L’uomo può annichilirsi o, come teorizza Fromm, può progredire verso la realizzazione di una nuova armonia. Più profondo è l’abbraccio con la nostra natura interiore, più profondamente possiamo collegarci a ciò che ci circonda e la nostra integrità e la nostra “guarigione” interiore vanno di pari passo con l’integrità e la “guarigione” del pianeta in cui viviamo. “Peccato” significa allora divisione, separatezza, dentro e fuori di noi. Peccato è divisione tra noi e noi, tra noi e il mondo, tra noi e gli altri. Il fondamento dell’unità della specie umana non è che ogni uomo creda in un medesimo Dio ma che ogni uomo attinga alle risorse umane sepolte nelle profondità dell’anima e agisca naturalmente con Giustizia e con Amore. L’esperienza “x” definita da Fromm, l’esperienza interiore della dignità e della forza la possiamo provare solamente quando usciamo da ciò che Reich definì “la trappola” che ci limita e ci impedisce di vivere e ci posizioniamo dal lato di fuori. Solo allora ci troviamo dinanzi all’esaltante profondità del nostro “Sé” e possiamo attingere alla nostra passione più ardente, alla trasparenza dell’essere e alla forza di vivere. All’unico e vero noi stessi. La tradizione ha nominato “anima” quel punto in cui l’uomo e l’Ignoto si sfiorano e che Michelangelo ha magistralmente rappresentato nel cielo della Cappella Sistina. Là dove è possibile l’Unione e dove viene restituita alla parola “religione” il suo originario significato di “collegamento”, che non sono parole, dogmi o regole di comportamento, ma autentica esperienza dell’Incontro.

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Virginia Salles