Origini del fare analisi

“Origini del fare analisi” significa che il fare analitico agisce prima degli analisti. Che siano mitologiche, religiose, letterarie, filosofiche etc., queste origini accadono adesso, perché l’origine è adesso

Origini del fare analisiOrigini del fare analisi è un’indagine sui presupposti che operano, riconosciuti o meno, nel setting analitico. Tali presupposti hanno una nascita lontana e, tuttavia, non per questo, sono meno presenti, esercitano meno realtà sui protagonisti della relazione analitica. Ciò che passa tra i due analizzanti, è sempre nuovo e, allo stesso tempo, da sempre si lega a luoghi antichi, a relazioni lontane, ad autori del passato. Già Lacan aveva, nell’ottavo dei suoi seminari, posto l’accento sull’equazione transferale del Simposio di Platone. C’è un mistero di Socrate e questo mistero, anche nella sua valenza sacramentale, si nomina nel transfert e, dunque, nella psicoanalisi.
In Origini del fare analisi la scoperta, la pratica del transfert viene riferita a un altro dialogo di Platone, l’Alcibiade maggiore, al commento che di questo dialogo ha scritto Proclo, l’ultimo filosofo dell’antichità, e a uno scritto mirabile di Giordano Bruno, il De vinculis in genere. Ora, tali derivazioni non ne sconfessano possibili e plurime altre, perché, semplicemente, non sono calate in una prospettiva diacronica, di ricostruzione puntuale delle influenze che alcuni autori del passato avrebbero esercitato, attraverso le successioni della storia, su autori del presente, quelli nella fattispecie che operano a partire dall’anima, gli psicoterapeuti. Non si tratta, insomma, di rivolgere lo sguardo alle connessioni storiche e agli sviluppi, ai progressi di questa o quell’idea. Per certi aspetti, e il libro indirettamente cerca di dimostrarlo, gli uomini, quelli che con linguaggio evangelico dovremmo accreditare di buona volontà, hanno sempre fatto analisi, sono stati sempre, nell’accezione che viene ribadita soprattutto, ma non esclusivamente, nel secondo capitolo dedicato a Socrate e al transfert, demonici. C’è sempre stato, in altri termini, nella storia delle relazioni umane qualcuno che ha operato da demone, Lacan direbbe da soggetto supposto sapere, con qualcun altro. C’è sempre stato qualcuno che, vuoto di sapere, ha fatto in modo che un altro nascesse al sapere.

Le origini del fare analisi vengono esaminate nella loro Wirklichkeit, nella loro capacità cioè di seminare realtà nel tempo presente, nel qui e ora del fare analisi. È per questo che la psicologia dinamica, quella che sembra esser nata con Freud, può definirsi in realtà una psicologia demonica. Perché ci sia analisi occorre transfert e perché si dia transfert è necessario entrare e far entrare, sulla scia di Socrate, nell’orizzonte demonico. La prospettiva qui abbracciata coincide con quella che a suo tempo fu posta in essere da uno dei grandi pionieri della psicoanalisi, Otto Rank, per il quale lo psichico è per eccellenza ancorato al presente.

Lezione, come si può capire, alternativa alla pratica di storicità (che agli occhi di Rank appariva per lo più sterile e comunque non terapeutica) in auge presso gli psicoanalisti più ortodossi.

È perseguendo questa prospettiva dell’ancoraggio dello psichico al presente che, a partire dai plurimi punti di vista della mitologia, della poesia, della letteratura religiosa, mistica, gnostica, vengono declinati i presupposti vigenti nel setting analitico. Accade così che all’operare en artiste dell’analista, raccontato nel primo capitolo, presiedano ad esempio i romantici Wordsworth e Coleridge, così come al silenzio che si stabilisce tra gli analizzanti, al silenzio fecondo di nascite, di cui si tratta nel terzo, presieda la Sighé degli gnostici valentiniani. E accade, ancora, che a quel mezzo dell’analisi di cui ha parlato Jung in una sua misterica frase, commentata nel sesto e ultimo capitolo, secondo cui “si diventa ciò che accade nel mezzo”, presieda una complessa tradizione di pensiero cui non sono estranei, tra gli altri, cabalisti ebrei e filosofi persiani.

Origini del fare analisi, pone inoltre l’accento su uno specifico della tradizione analitica: la sua cifra politeistica. In consonanza con la lezione di Hillman, e della psicologia archetipica, con il termine origini non soltanto si fa riferimento ai molti dèi che presiedono alle costruzioni dell’analisi, ma si traduce questa cifra politeistica nella constatazione che la psicoanalisi non è nata una volta, ma molte volte e continua a nascere anche oggi, anche adesso.

È in questa ottica, del resto, ottica, vale la pena di ribadire il punto, sincronica, che la pratica analitica di un altro dei grandi pionieri della psicoanalisi, Sándor Ferenczi, viene rivisitata alla mitologica ombra di Dioniso. L’assunto non appare qui diverso da quello a suo tempo contemplato da Schelling e cioè che la mitologia, nella sua cifra teogonica, presiede al farsi stesso della coscienza. La coscienza, la coscienza analitica si potrebbe aggiungere, costituisce il risultato di un divenire divino. Di questo in fondo si tratta, senza bisogno di nominare gli dèi, nel fare analisi. Se la mitologia ha un senso, deve averlo adesso e può averlo nel presente della pratica analitica. Se la mitologia ha un senso, deve essere seminatrice di realtà e le realtà che essa semina devono necessariamente dare il loro frutto nel presente. Solo in questa ottica la mitologia può dirsi felice e possono gli uomini affermare di incontrarla veramente, di farla veramente.

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L'autore
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Giorgio Antonelli