Minerva tra utopia e progetto

in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 13, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2011

Dopo Edipo e Narciso, mi piace – tra utopia e progetto – chiamare in scena Minerva . Minerva (Atena nel pantheon greco, e Minerva in quello etrusco) è la divinità romana della saggezza e della guerra, tutrice dell’operosità e del commercio, dell’arte e della libertà…

Riservandomi di illustrare le caratteristiche di Minerva più estesamente in altro scritto, qui ricordo il calculus Minervae , aspetto rilevante in quanto mi appare come sintomatico di potere decisionale ma anche di capacità di mediazione.

Il calculus in questione, ovvero la pietra di Minerva, è espressione tipica del diritto romano e talvolta ancora in uso, che indica il voto decisivo espresso dal presidente in un organo collegiale che si trovasse in stallo per parità di voti su una proposta, approvata ed avversata in pari misura dal medesimo numero di votanti.

Mi soffermo su questo dato perché mi consente di mettere in luce la duplice valenza della figura di Minerva, ovvero gli aspetti maschili e femminili.

Minerva nacque dalla testa di Zeus, e quindi ben può rappresentare gli aspetti animus, talvolta adeguatamente integrati e talora strabordanti, che si osservano nelle modalità dell’essere donna attualmente. Non è osservazione difficile a farsi, oggi, come sia la donna – nella relazione e nella famiglia – a esprimere molto spesso il voto decisivo. Fattore che può certamente spiegarsi come reazione ad una antica sottomissione all’uomo, reazione transitata nella fase del femminismo, e che oggi, talvolta, supera i limiti di un adeguato equilibrio (anche decisionale) tra i partners.

Sottolineo questo aspetto per evidenziare come ogni figura assunta a riferimento, in questo caso Minerva, può essere ambivalente e presentare aspetti negativi e positivi.

D’altra parte, saper mediare, contrattare e decidere, per quanto sopra accennato rispetto alla realtà del nostro tempo, appare capacità centrale da inserire in un potenziale progetto terapeutico volto a contrastare la superficialità, cercare la riflessione, ricomporre gli elementi in opposizione; e questa meta appare desiderabile per ogni persona, al di là della identità di genere.

A livello collettivo, considerando le problematiche del consenso e della formazione delle volontà/decisioni, questa capacità appare indispensabile nella sfera istituzionale e politica, laddove occorre saper mediare senza cadere nella debolezza e nel panico, e saper assumersi l’onere della decisione laddove la si ritenga adeguata alla realtà sociale.

A livello del singolo, la capacità di mediazione appare desiderabile per ogni persona, al di là della identità anagrafica e di genere.

Come iniziare ad avviare questo progetto?

Darsi l’opportunità della pausa, come isola nell’arcipelago dell’esistenza; isola nella quale temporaneamente ed anche brevemente ritirarsi per osservare e vedere, a distanza adeguata, l’arcipelago intorno.

Nel tempo della pausa, avviare dunque una riflessione, a partire da domande poste alla realtà che ci attornia ed a noi stessi.

Per Jung, “L’istinto della riflessione è ciò che costituisce l’essenza e la ricchezza della psiche umana.” … recuperiamo, allora, questo istinto e proviamo sospendere la reazione immediata, guardandoci dentro, pensando, facendoci domande, e ascoltandoci..

Per questa via i valori e i contenuti che sono stati rimossi dalla coscienza e eclissati nell’inconscio potrebbero ritrovar voce e ricomparire sulla scena: della coscienza e della vita.

Avere fiducia nell’inconscio.

Abstract

Nel linguaggio della comunicazione mediatica appare in misura crescente il termine schizofrenico per denotare il modo di vita, lo stile comportamentale, la realtà economica e politica del nostro paese. La realtà attuale sembra configurare frequentemente una junghiana scissione degli opposti. Situazione che trae origine anche dai cambiamenti che hanno caratterizzato gli ultimi 50 anni: lo spartiacque del 1968 e la cosiddetta Rivoluzione digitale hanno alterato ruoli e usi, imponendo e/o comunque concorrendo a generare modalità nuove di relazione e di pensiero. La stessa percezione della realtà è andando mutando e così la percezione di sé nel Mondo. È ormai entrato nell’uso comune denominare questa realtà attuale come tempo di Narciso, in contrapposizione ad un precedente tempo di Edipo: laddove, infatti, dapprima si imponeva la regola e il divieto, con conseguenze sulla strutturazione del Super Io e del senso di colpa, ora pare dilagare la mancanza e/o comunque la trasgressione della regola, in una sorta di delirio di onnipotenza non più arginato dal senso del limite. È possibile – in questo quadro – auspicare l’avvento di una fase nuova, che vorremmo chiamare il tempo di Minerva?

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Simonetta Putti