di Gregory Motton, regia Marcello Cotugno
Al Teatro Belli di Roma è in corso – dal 22 marzo e sino al 30 aprile – la rassegna “TREND, nuove frontiere della scena britannica”, a cura di Rodolfo di Giammarco.
La rassegna 2006 persegue il disegno europeo di una libera circolazione di scritture, stili, temi e nuove prospettive teatrali che da Oltremanica vengono a proporci continui spunti che talora ribaltano il noto.
Il testo di Gregory Motton (tradotto da Letizia Russo e portato in scena per la regia di Marcello Cotugno), ben rappresenta il progetto iniziale, arricchito da talune “contaminazioni”.
Ovvero, il materiale originale è stato calato in una realtà italiana, anzi in quel particolare spaccato di cultura costituito dalla realtà partenopea.
Assistiamo così alla godibile osmosi tra una drammaturgia britannica sempre incline a trarre spunto dalla quotidianità che muta e che alimenta sogni disperati e clamorose disillusioni e una sensibilità tipicamente “napoletana”.
Un uomo si dibatte tra un passato coniugale sconsolante (otto figli portati via dalla pubblica assistenza) ed un presente costituito dall’incontro con una giovane “barbona”.
I tre personaggi, interpretati con incisiva schiettezza da Alessia Giuliani, Alfonso Postiglione e Gaia Insenga, tengono ben desta l’attenzione dello spettatore, pur nella cercata monotonia di una scena totalmente grigia.
La vita dei “senzatetto” si dipana in scene rapide, che con efficacia danno il senso ed il polso di una non – vita intrisa di ricordi, aspettative, perdoni possibili, commiati auspicabili. c’è il passato,il presente. non è dato sapere cosa sarà il domani.
Una configurazione di elementi scenici e testuali che potrebbero risultare deprimenti e depressogeni.e che mai tali divengono anche grazie alla vigorosa regia di Marcello Cotugno.
Il grigiore del contesto è a tratti magicamente interrotto e quasi squarciato dall’irrompere di una colonna sonora magistralmente scelta: brani forti, vitali, fortemente emotivi.
C’è – in scena – una carriola grigia, piena di carbone, a testimoniare un passato e perduto lavoro in miniera. ma anche a porsi come metafora e lettura.
Nel grigio/nero del carbone si nasconde una energia potenziale, una fiamma possibile.
Lo spettatore coglie – nella visione e nell’ascolto – la pregnanza di quella energia forte,vitale, sottesa al grigio: forse, anche in quel / questo mondo, possiamo dare spazio al fuoco che rinnova..?..
Certamente lo spettacolo mobilita energia. lo testimonia – al termine – il reiterato batter di mano che più e più volte richiama i protagonisti sul palcoscenico