a cura di Eliana Vitiello, collaboratrice del CSPL
Jessica Benjamin, psicoanalista americana, ripercorre le contraddizioni della psicoanalisi riguardo la relazione gerarchica tra soggetto-oggetto nel rapporto di analisi, e allo stesso tempo la contrapposizione attivo-passivo della differenza sessuale.
Ripensa ciò alla luce dell’intersoggettività come spazio di riconoscimento nuovo tra i soggetti.
Nel primo saggio “Dal corpo al linguaggio” l’autrice parte dalla tensione tra psicoanalisi e femminismo, dalla subordinazione della passività della donna al superamento di questa concezione.
A partire dagli Studi sull’Isteria, nella concezione psicoanalitica, attività e passività sono state “etichette” date rispettivamente all’uomo e alla donna: Freud ci ha lasciato, infatti, una grande eredità ma al prezzo della distanza dall’<
“Dal corpo al linguaggio” come passaggio da un corpo imprigionato nei sintomi, incapace di parlare, alla forza di dargli voce; dalla passività all’attività. Tale processo inizia con l’abbandono freudiano dell’ipnosi sulle isteriche, primo indizio della liberazione da parte dell’analista del suo controllo sul paziente.
L’autrice analizza così il processo che caratterizza l’avvicinarsi al punto di vista dell’altro, il riconsiderare l’<
Nel secondo saggio “Costruzioni teoriche dal contenuto indeterminato”, si parte proprio dall’opposizione passività-attività, in riferimento alla costruzione del genere.
La Benjamin parte dall’opposizione tra pensiero femminista di orientamento lacaniano (Mitchell, Roese), che segue Freud, e la scuola delle relazioni oggettuali (Chodorow), che invece se ne discosta. Il punto di riferimento è la logica freudiana prigioniera di un pensiero che considera un unico soggetto attivo, in cui la reciprocità non è presente.
Mentre per la prospettiva lacaniana si usa come punto di riferimento il padre (il fallo), la scuola delle relazioni oggettuali parte dalla madre: l’attribuzione di “altro” viene data dai primi alla femminilità e dagli altri alla mascolinità.
La scuola delle relazioni oggettuali rovescia, infatti, il punto di partenza per la teorizzazione legata al genere, prendendo la maternità come àncora per spiegare la posizione del maschietto complementare a quella della madre, e quella della bambina come identificazione nell’immagine materna.
Dalle due teorizzazioni l’autrice nota come ciò ci porti a vedere quanto la visione del genere sia ambigua: mascolinità e femminilità si costruiscono l’una come complementare dell’altra. La posizione edipica, freudiana, relega la bambina nella funzione di contenitore passivo dell’attività maschile: attività e passività, dunque, come separate.
L’autrice supera questa scissione: il superamento della posizione edipica, con l’annessa opposizione attivo-passivo, fa sì che la vagina acquisisca il significato di contenitore, holding attivo e non semplicemente passivo. Questa concezione si fonda su un’idea della donna capace di riconoscere e di gestire attivamente il suo desiderio, le sue pulsioni. L’immagine della soggettività femminile che ne deriva fa sì che gli elementi dell’opposizione diventino meno antitetici: la soggettività non ha bisogno solo della pulsione maschile, ma dell’holding femminile, di un padre e di una madre. Entrambi attivi.
Necessità, dunque, della coesistenza dei due elementi attivo e passivo, in una tensione che li riesca a sostenere per una soggettività fatta di amore per l’altro.
Nell’ultimo saggio “L’ombra dell’altro soggetto”, la Benjamin si concentra sulla soggettività e su ciò che è altro da Sé.
Partendo dall’affermazione freudiana circa la permeabilità dei confini del Sé, si fa strada l’idea di un’incorporazione da parte dell’Io di alcuni elementi dell’altro o della pretesa dell’Io che l’altro sia simile a Sé.
Le interpretazioni che ne derivano rivelano un’inevitabile dipendenza del Sé dall’altro.
La teoria intersoggettiva della Benjamin si basa sull’idea di un riconoscimento del Sé diverso dall’altro, per arrivare ad una relazione reciproca senza assimilazione. Ciò che si tratta di riconoscere è l’affermazione della separatezza dalla soggettività affinchè le differenze vengano mantenute e possano essere viste con i loro confini definiti. Così come è importante l’aspetto del riconoscimento, altrettanto lo è quello della negazione, poiché il diverso è una minaccia per il Sé.
L’idea è quindi che sia il Sé che l’altro portino il peso della soggettività, assimilando o negando la differenza dall’altro all’interno di un nuovo spazio intersoggettivo.
Jessica Benjamin dà avvio così ad una discussione in cui si postula la possibilità di un riconoscimento intersoggettivo, di uno scambio reciproco in cui si spezza l’antica diade tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto della relazione terapeutica, inserendo le sue riflessioni in una discussione sul genere.
Dialogo e interazione tra riconoscimento e negazione da parte dell’altro:
si può sperare che si amplierà lo spazio del dialogo che genera la posizione terza?