Le potenzialità terapeutiche degli stadi non ordinari di coscienza. L’inconscio visto da Jung e Grof

in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, 54, Roma, Di Renzo Editore, 2003 – Estratto

Le “emergenze spirituali”

Nella nostra cultura, che predilige gli aspetti razionali della psiche, gli stati non ordinari di coscienza vengono spesso guardati con una certa diffidenza, sospetto e a volte con vero e proprio terrore, in quanto fanno emergere gli elementi irrazionali e quindi “incontrollabili” della natura umana. In altri contesti culturali diversi dal nostro (oriente, sciamanesimo, misteri greci etc.) questi stessi stati erano invece considerati una benedizione divina, un dono degli dèi e sono tuttora attivamente ricercati con l’utilizzo di vari mezzi di autoesplorazione profonda: “le tecnologie del sacro”. La psicologia transpersonale li ripropone in veste moderna, all’interno di una prospettiva psicoterapeutica e di evoluzione della coscienza.

Immaginiamo ora di essere improvvisamente catapultati in un altro mondo e di vivere esperienze assolutamente insolite rispetto al nostro modo abituale di percepire e di sentire la realtà, di avere per esempio visioni di demoni, divinità, personaggi mitologici, arcobaleni, comete, o anche visioni di una luce abbagliante di splendore e bellezza sovrannaturali, di trovarci in luoghi lontani e sconosciuti o in altri periodi storici, di sentire correnti di energia che attraversano il corpo, oppure di morire, sparire nel nulla e unirci in un amplesso con l’intero universo, di provare panico, paura di non ritornare più in questo mondo.

Una situazione simile ci fa venire subito in mente una diagnosi di tipo psichiatrico. Eppure, stando agli studi effettuati da Abraham Maslow, John Perry, Stanislav Grof etc., negli ultimi decenni sempre più numerose sono le persone che hanno vissuto e vivono esperienze così insolite, persone che, invece di cadere irrimediabilmente nella follia, emergono da questi stati straordinari “rinate” rispetto a prima, rinate nel senso di aver acquisito una maggiore consapevolezza, un maggior benessere psicofisico, un diverso modo di relazionarsi con il mondo e con gli altri.

In alcuni casi questo tipo di esperienza segna l’inizio di un vero e proprio percorso spirituale simile a quello descritto dalle varie tradizioni religiose di tutto il mondo. Grof ha definito questi stati mentali “emergenze spirituali”, sottolineando cosi il loro doppio aspetto di “pericolo” e “opportunità”. Nel 1980, dando ascolto al bisogno crescente di riconoscimento, sostegno e informazione avvertito da chi si trovava ad attraversare questo tipo di crisi evolutiva, Grof creò, insieme alla moglie Cristina, lo “Spiritual Emergenze Network” (S.E.N.), una rete internazionale di sostegno alternativa al sistema psichiatrico tradizionale. In questi ultimi 20 anni il S.E.N. ha compiuto grandi passi nell’affermazione del concetto di emergenza spirituale nell’arena della salute e della malattia mentale e ha promosso l’idea che possa esistere un intenso processo di trasformazione psicologica che, pur presentando aspetti drammatici, non è patologico. Grof considera queste esperienze, durante le quali vengono attivati i livelli più profondi dell’inconscio, uno sforzo radicale della psiche per guarire se stessa, una tendenza verso una situazione di maggiore equilibrio e armonia, verso uno stato di coscienza più completo.

La respirazione

Le nostre più antiche tradizioni spirituali hanno da sempre utilizzato svariati mezzi attraverso i quali l’essere umano trascendeva la propria identità individuale e trovava una sua collocazione in una dimensione più ampia, al di la del tempo e dello spazio, soddisfacendo in questo modo quell’insaziabile bisogno di spiritualità cosi intrinseco alla natura umana. In tutte queste antiche tradizioni i partecipanti conoscevano il significato di questo oltrepassare i confini dell’esistenza quotidiana allo scopo di esplorare realtà molto al di là della coscienza ordinaria. Ciò avveniva ad esempio nei riti di possessione, nella pratica delle svariate tecniche dell’estasi utilizzate nello sciamanesimo, nei sacri misteri di morte e rinascita praticati nell’antica Grecia e in Asia Minore: i misteri eleusini, i riti dionisiaci, i misteri di Attis e di Adone etc.. A Babilonia e in Egitto questi misteri erano celebrati in onore di Isthar e Tammuz, Iside e Osiride. Secondo quanto ci racconta la tradizione, personaggi come Platone, Aristotele ed Euripide erano degli iniziati a tali misteri.

Oggi queste antiche pratiche spirituali sono state rivalutate nell’ambito della psicologia transpersonale e non vengono più considerate fenomeni patologici né prodotto di superstizioni ma tecniche spirituali molto sofisticate che facilitavano l’accesso ad una dimensione più ampia della coscienza. Le esperienze che scaturiscono da questo contatto con le dimensioni profonde dell’animo umano sono state, dai primordi della storia umana, la fonte, la sorgente originaria delle grandi filosofie e delle grandi religioni fino ai giorni nostri.

La respirazione, il “soffio vitale”, è stata utilizzata da tempi immemorabili quale potente mezzo di accesso al mondo interiore. Attraverso la respirazione si possono indurre stati non ordinari di coscienza e catalizzare intensi vissuti che risultano terapeutici e tali da provocare profondi cambiamenti. Le modalità respiratorie che vengono utilizzate a questo scopo variano dall’interferenza drastica sulla respirazione fino ai raffinati esercizi utilizzati dalle diverse tradizioni spirituali quali il pranayama. Il battesimo, nella sua forma originale, praticata dagli Esseni, consisteva nell’immergere forzatamente il battezzando nell’acqua fino a portarlo vicino alla morte per soffocamento. Profondi cambiamenti nella coscienza possono essere provocati da ambedue gli estremi del tasso respiratorio: iperventilazione o ritenzione prolungata della respirazione. Pratiche sofisticate di questo tipo possono essere riscontrate anche nella meditazione taoista, nel Kundalini yoga, Siddha yoga, pratiche Sufi etc..

Quando respiriamo ci riempiamo di “invisibile”, siamo animati da quella energia vitale che i giapponesi chiamano “chi”, ed i polmoni sono il nostro spazio interiore, il “posto vuoto” per tutto ciò che è evanescente come le immagini, gli affetti, le “inspirazioni”. Le parole di Alexander Lowen, allievo di Reich, “attraverso le sensazioni corporee provenienti da una respirazione piena e profonda diveniamo consapevoli della pulsante vitalità del nostro corpo e sentiamo di essere una sola cosa con tutte le creature pulsanti in un universo pulsante” , ci ricordano l’idea dell’Atman orientale, il nostro piccolo spirito individuale che è lo stesso Grande Spirito che sostiene la vita nell’universo. Nei suoi scritti Jung sottolinea l’aspetto terapeutico di questa universalizzazione del singolo, dell’allargamento della prospettiva individuale verso una dimensione più ampia e universale.

L’inconscio esercita una pressione continua sulla coscienza. Attraverso la respirazione si può influenzare il livello di energia della personalità, facendo sì che l’inconscio guadagni forza ed invada la muscolatura allo scopo di muovere la persona verso il proprio desiderio.

L’aumento del tasso respiratorio e l’approfondimento della respirazione si oppongono alla rimozione psicologica che significa “restrizione respiratoria” e rallentano cosi le difese psicologiche, permettendo la liberazione e l’emergenza del materiale inconscio. Reich fu il primo psicoanalista a considerare la respirazione dal punto di vista della psicologia e della coscienza nonché tutto l’aspetto fisico corporeo, così intrinsecamente collegato al mondo emotivo. Secondo Reich non esiste angoscia senza alcun tipo di disturbo respiratorio ed è proprio la respirazione il meccanismo fisiologico della rimozione dei desideri e delle emozioni: i desideri che non si realizzano muoiono di asfissia. Senza il respiro, il soffio vitale, l’invisibile dentro di noi, non può esserci vita, né possono darsi emozioni. Il mondo interiore si spegne e le emozioni rimangono imprigionate nell’inconscio, ma anche nel petto, nei nostri muscoli, in tutto il nostro corpo. Quindi ogni volta che non vogliamo lasciare emergere un’emozione, tratteniamo il respiro; la maggior parte di noi “civilizzati” ha di conseguenza una respirazione limitata, una respirazione “alta”, con gravi conseguenze sulla salute sia fisica sia psichica.

Secondo i principi della bioenergetica, cosi come sono stati descritti da Lowen, ad ogni emozione corrisponde una tensione muscolare atta ad estrinsecarla in un determinato movimento: paura, fuga, rabbia, aggression amore, abbraccio, contatto fisico etc.. Ad ogni emozione rimossa corrisponderebbe quindi una serie di tensioni muscolari bloccate che, con il passare del tempo, diventerebbero contrazioni muscolari croniche. Reich le chiama “corazze muscolari del carattere”. Queste contrazioni muscolari croniche provocano vasocostrizione e quindi una minore irrorazione sanguigna che potrebbe portare l’organo o la parte del corpo interessata ad una minore “vitalità” e infine alla “malattia”. La maggior parte delle malattie moderne, le cosiddette “malattie della civiltà”, quali l’ulcera, l’infarto, l’ipertensione, sembrano derivare da un’interferenza con il funzionamento naturale del sistema emozionale. La bioenergetica utilizza alcune tecniche respiratorie allo scopo di restaurare, attraverso la rimozione dei blocchi, la capacità dell’organismo di reagire adeguatamente a livello emotivo e di autoregolarsi.

La psicologia junghiana, focalizzando l’attenzione sugli eventi dal punto di vista puramente psicologico”, sembra trascurare l’importanza del corpo e gli aspetti fisici che sono cosi intrinsecamente legati al mondo emotivo e che erano stati cosi fortemente rivendicati da Reich. Ai traumi fisici, così come ai processi fisiologici, non viene attribuita la dovuta importanza, sia per quanto riguarda lo sviluppo psicologico dell’individuo, sia nella genesi delle varie forme di psicopatologia, proprio come se il corpo e la psiche fossero due cose ben distinte. J. A. Gaiarsa, psichiatra e psicoanalista junghiano-reichiano, scrittore “d’avanguardia”, sottolinea questa gigantesca ombra della psicoanalisi, il corpo, definendola una psicologia scissa, “disincarnata”. Nelle sue opere Gaiarsa compie una interessante sintesi tra la “psicologia dello spirito” di C. G. Jung e la “psicologia del corpo” di W. Reich, proponendo una visione più completa e integrata dell’uomo psicologico. Gaiarsa focalizza la sua attenzione sulla respirazione, i suoi organi, la sua funzione nel suo più ampio significato di momento di congiunzione nell’uomo tra il corpo fisico e quello spirituale.

L’ossigeno, l’unica sostanza necessaria alla vita che il corpo non riesce ad immagazzinare, ed il gas carbonico, l’unico metabolito endogeno di cui il corpo deve liberarsi “subito”, fanno della respirazione, cosi urgentemente necessaria, un problema di vita o di morte da cui dipende l’esistenza stessa dell’Io. Quindi il nostro nemico interiore è il polmone che, essendo la nostra vita, può trasformarsi in qualsiasi momento nella nostra morte. Da questo punto di vista, secondo Gaiarsa, ogni difesa psicologica è una difesa contro la morte, contro l’angoscia di disfarsi, di sparire, di disintegrarsi. L’angoscia respiratoria è l’angoscia fondamentale dell’essere umano, quella che fa scattare le maggiori “difese” in senso psicanalitico tradizionale. Contraddicendo l’affermazione della psicoanalisi classica secondo la quale la prima fase dello sviluppo è orale, Gaiarsa sostiene che il primo momento dello sviluppo è respiratorio, in quanto “respirare” è la prima cosa che il neonato fa: “il movimento respiratorio inizia con la nascita, è dato con la coscienza del mondo e si costituisce quale prima forma di coscienza di sé”. Il neonato è costantemente minacciato di asfissia e riesce a evitare soltanto con uno sforzo continuo il “collasso dei polmoni” che significherebbe soffocamento e morte; se il neonato assecondasse la tendenza alla ritenzione elastica, il proprio polmone tenderebbe a soffocarlo ed è proprio questo conflitto tra il polmone che tende al collasso e la muscolatura toracica, che Gaiarsa considera il primo conflitto dell’essere umano, conflitto attraverso il quale il neonato indifferenziato “si fa ego”. I primi movimenti respiratori formano quindi nel neonato, oltre che il polmone e il torace, la coscienza di sé.

Il confronto con tutto ciò che è stato rimosso nel corso della nostra vita postatale e la liberazione dell’energia impegnata nella rimozione favoriscono lo sbriciolarsi della diga che ci separa della nostra “sorgente” e libera la via verso le profondità del nostro mondo interiore. Molte di queste esperienze rimosse appartengono ad una fase dello sviluppo in cui non esisteva ancora il linguaggio verbale e risultano perciò inaccessibili ad una forma di terapia che ha come mezzo di espressione la parola. Il livello perinatale dell’inconscio, il territorio esperienziale legato agli eventi traumatici della nascita biologica, contiene anch’esso vissuti drammatici, emozioni e energia “congelate” che non raggiungono la coscienza e che, una volta elaborati, favoriscono l’accesso alle profondità dell’inconscio. Anche i traumi fisici, al pari di quelli psichici, rimangono conservati nella memoria del corpo, codificati nei muscoli, negli organi, nei tessuti. L’attivazione dell’inconscio, che avviene durante una profonda autoesplorazione esperienziale, provoca il risvegliarsi della memoria corporea e di queste profonde esperienze non accessibili al linguaggio verbale attraverso il “rivivere” l’esperienza che è qualcosa di qualitativamente diverso della sola attivazione della memoria, del solo “ricordare”. Una volta liberati dalla rimozione ed elaborati questi vissuti facilitano l’accesso ad una dimensione più profonda dell’essere e portano ad una maggiore libertà di espressione sia fisica sia psicologica.

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Virginia Salles