L’arte e il racconto della fine. Da Hegel a Rank

L’arte e il racconto della fine. Da Hegel a Rank, in Synthesis, 3, Roma, Di Renzo Editore, 1994 – Estratto

Il deserto è un degno originatore di racconti sull’Occidente. Se non possiamo sfuggire a Freud, come ha sostenuto il critico letterario Harold Bloom, ciò non avviene soltanto perché è a Freud che appartiene la mente mitopoietica della nostra epoca, ma soprattutto perché Freud c’introduce al deserto. Non si può sfuggire a Freud, insomma, perché non possiamo sfuggire al deserto. Dal canto suo il deserto, essendo un originatore di racconti, si lascia pensare variamente. Come destituzione dell’arte, ad esempio, come sua sparizione, e ciò in vista di un ancoraggio, assoluto quanto immaginario, alla certezza e alla verità o, anche, al pensiero e allo spirito. Non soltanto la filosofia, con Hegel, ma anche la psicologia del profondo, con Otto Rank, ha, pensato, profetizzato la fine dell’arte.

E’ innegabile che nei confronti dell’arte la psicologia del profondo abbia operato in modo riduttivo e, dunque, almeno tendenzialmente destitutorio. Soprattutto nel ricondurla alla nevrosi, nel considerarla come reattiva e non come dotata di autonomia, nel ritenerla il prodotto della sublimazione o, come sostengono Melanie Klein e i kleiniani, della riparazione.

Si prenda ad esempio l’interpretazione che Melanie Klein dà della Orestea di Eschilo. Mi sembra che sia in questo caso all’opera una tendenza costitutivamente riduttrice, di sostituzione di nomi con altri nomi (ad esempio di termini come “Apollo” con altri come “Super-Io”) e di pervasivo assottigliamento del tessuto lessicale (dalle molte parole e dai molti mondi aperti da Eschilo alla fragile trama di riferimento presa in considerazione dalla Klein). Si tratta qui, a mio modo di vedere, di un’opera d’avvicinamento al deserto. Il che non toglie, in ogni caso, che anche la Klein conosce i suoi dèi (e dunque promesse d’eterni giardini) sotto forma di oggetti interni.

Se anche potessimo dimostrare che è dalle parti del deserto che si dà discorso di verità, ciò sarebbe comunque poco edificante. Ritengo che sia stata una considerazione del genere a indurre Rank a proporre il suo discorso su verità e realtà. Discorso dietro al quale vanno intese, rispettivamente, la psicoanalisi di Freud e la psicologia o postpsicologia di Rank.

Certo, Rank giunge a conclusioni diametralmente opposte a quelle psicoanalitiche, se per conclusioni psicoanalitiche dobbiamo intendere quelle fondate su una irriducibile pretesa di verità. E’ anche vero, comunque, che all’inizio della sua carriera di psicoanalista Rank si muoveva nel quadro di riferimento indicato da questa pretesa. Ne “Il tema dell’incesto. Fondamenti psicologici della creazione poetica”, pubblicato nel 1912, Rank attribuisce la creatività artistica a un’insufficiente rimozione degli impulsi e affetti ruotanti intorno al complesso d’Edipo.

Non è tanto l’incesto, spiega Rank, quanto l’intensità della rimozione e la conseguente lotta difensiva a “rendere possibile la proiezione liberatrice di questo conflitto dall’inconscio in una fantasia collettiva, in un mito, o in un’opera d’arte”. La conseguenza che ne trae Rank corrisponde a quello che sopra ho chiamato “il paradosso della coscienza” di Jung.

La psicoanalisi, sostiene Rank, opera in modo tale da favorire una progressiva estensione della coscienza. Parallelo a questo movimento è quello del progressivo accrescimento della rimozione nella vita emozionale degli uomini. “Appare inevitabile” scrive Rank “come effetto del progressivo estendersi della coscienza, che l’artista, col crescere della rimozione, impari a dominare se stesso consapevolmente, in maniera cosciente; insegnerà così anche a noi come controllare i conflitti psichici”. La coscienza, insomma, si costituisce come inversamente proporzionale alla creatività artistica. Di conseguenza una progressiva estensione della coscienza implicherebbe un progressivo recedere dell’arte fino alla sparizione. Rank dunque profetizza, insieme all’annuncio di un nuovo tipo d’umanità, la fine dell’arte e lo fa nel momento stesso di prendere congedo dalla psicoanalisi e, anzi, di dichiararne finita la stagione. Ora, una profezia del genere non concede il suo favore al deserto?

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Giorgio Antonelli