(con Simonetta Putti), in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 7, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2008 – Estratto
La storia del mondo è “piena” di denaro. Trenta denari sono il prezzo di un tradimento dalle tragiche conseguenze, pecunia non olet diceva Vespasiano al figlio Tito, denaro sterco del demonio secondo la religione cristiana (non così per i cristiani protestanti, anzi). Una libbra di carne chiede l’usuraio Shylock per la restituzione di un prestito in denaro secondo Shakespeare. La trasmutazione del vile metallo in oro (come dire denaro) era la dichiarata finalità degli alchimisti rinascimentali alla ricerca della pietra filosofale, ma soprattutto la maschera per poter nascondere ben altra e più approfondita indagine (non aurum vulgi…) poco gradita al potere Inquisitorio. Vile e maledetto denaro secondo taluni, dio denaro secondo altri, ma anche denaro benedetto se richiesto in chiesa con la questua a fini di carità. Denaro infine con funzione di compensazione di un danno subito nel diritto germanico anche per i reati penali (guidrigildo), così come negli assetti familiari e interpersonali a ristoro di un torto, oggi, come nei tempi dei tempi.
Il denaro appare quindi collegato alla creazione e alla soluzione di conflitti, è elemento che smuove la coscienza e l’inconscio.
Non pochi i filosofi che fin dall’antichità si sono occupati di denaro, Aristotele in primis, numericamente inferiori gli psicologi che si sono soffermati sullo specifico tema nei suoi significati profondi, restando tuttavia l’indagine speculativa su di esso prevalentemente incardinata nel profilo economico e sociologico volta ad analizzare il comportamento dell’homo oeconomicus, ed i meccanismi di circolazione del denaro nella sua rappresentazione materiale, cioè la moneta (la banconota comparirà solo alla fine del XVII secolo).
Ciò che a noi interessa in questa sede è anche fare una riflessione sul denaro non tanto come segno di valore di un bene, ma come rappresentazione del ȁne”, ed a volte del “male”, in rapporto all’uomo.
Abstract
Simonetta Putti – Roberto Cantatrione
Il fascino ambiguo del denaro
Gli Autori presentano alcune riflessioni sul denaro, cogliendone primariamente la valenza ambigua, ben esemplificata dall’esser il denaro divenuto – da mezzo – fine. Il denaro si pone in effetti come oggetto mercuriale e polisemantico sia in una prospettiva storica, sia in una prospettiva psicologica e atemporale. Gli Autori compiono un sommario excursus sul denaro sottolineandone – diacronicamente – la duplicità della natura e dell’utilizzo, ed evidenziando le correlate, e talora opposte, percezioni e credenze. Vengono poi sottolineati alcuni comportamenti denaro–correlati caratterizzati non solo da ambiguità e ambivalenza, ma non di rado anche da autolesionismo. Gli Autori, evidenziando che tali comportamenti contraddittori e talora autodistruttivi sono divenuti man mano più frequenti negli ultimi venti anni del millennio appena decorso, ne rintracciano una radice nel cambiamento della struttura psicologica delle due ultime generazioni oggi osservabili. Cambiamento strutturale che vede frequentemente un arresto a fasi narcisistiche e non consente la strutturazione di un Super Io, nella primaria valenza di istanza morale e normativa. A sua volta, detto cambiamento può essere legato ai mutamenti del ruolo genitoriale, intervenuti dopo la svolta epocale del 1968: spesso, infatti, la generazione che ha vissuto il 1968 – nel timore di configurarsi come autoritaria – ha in gran parte abdicato dal ruolo genitoriale, inteso come trasmissione di valori, norme e divieti. Gli Autori indicano una via possibile e transitabile in un percorso individuale di crescita e maturazione: nella rinuncia alla dimensione di onnipotenza, nel recupero/acquisizione del senso del limite e delle correlate dimensioni di colpa e di responsabilità.