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in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 2, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2006 – Estratto
Vivere senza pelle, terra viva sotto i colpi del sole e della pioggia…” è una immagine che colpisce e fa pensare al paradosso tra l’essere soli e questo “estremo sentire”. Un sentire che non può esimersi, a volte, della scelta di una solitudine radicale. Un sentire che rispetta se stesso, al punto di isolarsi dal mondo in cui si vive, è un sentire che porta con sé il dramma e il dolore dell’incomunicabilità, dramma questo al quale, sostiene Carotenuto, la persona creativa cerca di rispondere con la sua opera. Nei suoi scritti l’autore sottolinea l’elemento terapeutico e trasformativo di una solitudine molte volte ricercata e la spinta creativa che molto spesso da essa scaturisce. Per “persona creativa” Carotenuto intende chiunque si esprima liberamente nei piccoli gesti o scelte quotidiane, un certo “stile di vita creativo”, e non si riferisce necessariamente ai grandi artisti, anche se alcune di queste personalità sono state da lui analizzate a fondo.
“Ogni artista, si sa, è costretto a una duplice solitudine: quella di cui necessita per raccogliersi sulle proprie immagini interiori e quella, spesso determinata proprio della natura della sua estrosità, del non essere compreso. …Senza contare il fatto che tale prossimità dell’altro non può che accentuare la distanza che da esso ci separa: il rimedio alla solitudine diventa un’ulteriore solitudine…”
La conquista della coscienza e dei confini dell’ego, la nostra “coscienza del limite”, porta con sé la “perdita del paradiso”, la percezione di una frattura insanabile tra me e l’altro, tra il mio desiderio e l’oggetto che lo può placare. Porteremo sempre in fondo al nostro cuore la nostalgia di una completa fusione e comunicazione con l’altro, di quel nutrimento magico che, una volta incontrato, potrebbe placare per sempre la nostra fame.
Il “qualcosa che ci urla dentro” di cui parla Carotenuto può essere letto ancora più profondamente come una disperata richiesta d’amore, quell’amore che è stato il tema dominante di molti suoi libri. La richiesta di un amore sconfinato, la nostalgia di “un qualcosa” che sia più desiderabile del mondo stesso con le sue illusioni. Dalla struggente solitudine, e dal vuoto interiore, nasce quel sentimento di aver subito una perdita irreparabile, sentimento che appartiene ad ognuno di noi e che cerchiamo con ogni mezzo di poter colmare. Così come la speranza che un’unione idilliaca avvenuta in un passato lontano e perduto possa compiersi ancora una volta in un rapporto d’amore eccezionale o nello stato mistico.
Il dramma al quale Carotenuto cerca di rispondere “traducendo dal silenzio” la propria vastissima opera è il “dramma d’Amore” che appartiene ad ogni essere umano, il dramma “dell’incompletezza”, del tradimento della propria totalità e della struggente nostalgia di un felice rapporto “d’Amore totale”. È questo dramma che lo ha portato a “sostare nel luogo dell’assenza”, a dialogare con la “voce del silenzio” che sta alla base della sua personale opera di scrittore, così come il suo amore per i destini dei singoli individui che non si adattano alle forme sterili e sempre più anguste richieste della collettività e sono costretti ad addentrarsi nel mondo interiore, nel tentativo di sfiorare per un solo attimo quella forza misteriosa e “viva” che pulsa dentro di sé.
Ed è ancora Musil a parlarci di mistero, il “mistero dell’insieme” che si cela dietro una vita, dietro un’individualità:
“…infatti anche la bellezza di una persona non consiste in qualcosa di singolo e di dimostrabile, ma in quel magico insieme che si giova persino delle singole bruttezze; e allo stesso modo, la bontà e l’amore, la dignità e la grandezza di una persona sono quasi indipendenti dalle sue azioni, e sono esse in grado di nobilitare tutto ciò che essa fa. Il perché è un mistero, ma nella vita l’insieme ha la precedenza sui particolari…proprio questa presenza di una forza, che supera ciascuna della singole manifestazioni, è il segreto su cui posa tutto ciò che vi è di grande nella vita…”
A testimonianza di una personale ricerca interiore Carotenuto ci ha lasciato la sua opera, nella quale possiamo rintracciare il filo conduttore del suo percorso esistenziale e lo svilupparsi della “sua arte”. Perché di arte possiamo parlare, un’arte paragonabile alla “scultura”, come lui amava definire il lavoro degli analisti, l’arte di “sgombrare le sovrastrutture” per far emergere l’anima, l’arte di tradurre un silenzio che reclama amore, l’amore che unifica e trasforma, l’arte di esprimere tutta la sofferenza e tutta la speranza in una magica alchimia di parole. Parole vive che nascono dall’anima e mettono anche scompiglio, ma lasciano sulla carta un segno indelebile: “Ciò porta a risoluzioni che non si lasciano risolvere”, scrive Musil, “e di costoro si può soltanto riprodurre la vita”. Ma anche rievocare i fantasmi, ricercare il senso, assaporare la bellezza.