Giornale Storico del Centro Studi Psicologia e Letteratura, 11, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2010
L’evoluzione della cultura occidentale, in età moderna, ha progressivamente condotto l’uomo verso una nuova considerazione del corpo: quest’ultimo ha smesso di essere vissuto come antitesi della psiche – intesa sia come anima che come mente – ed è stato riconosciuto quale elemento fondante e imprescindibile del sistema umano, anche grazie all’avvento della psicoanalisi freudiana.
Le ricerche di Freud e dei suoi successori (ad esempio Melanie Klein, Reich, Bion, Lowen) infatti hanno dimostrato che è proprio a partire dalle sensazioni corporee che il bambino riesce a sviluppare col tempo capacità intellettive ed emotive.
Oggi riconosciamo l’importanza del fisico: ce ne occupiamo dal punto di vista medico ed estetico a tal punto che alcuni autori (Kohut, 1977, Kernberg, 1987) hanno interpretato il “peccato di vanità”, ovvero l’eccessiva importanza attribuita all’immagine del corpo, quale indizio della tendenza narcisistica della nostra cultura.
Kohut sostiene che la società odierna ha subito un cambio di paradigma assimilabile alla lenta trasformazione dell’Uomo Colpevole in Uomo Tragico.
L’Uomo Colpevole è quello descritto dalle ricerche di Freud: è l’eroe che si muove all’interno di una società sessualmente repressiva e che alimenta i suoi figli con i sensi di colpa, quindi vive entro i confini del “principio di Piacere”. Secondo questa prospettiva il disagio mentale è legato a fissazioni pulsionali inadeguate e alle deficienze dell’Io (ansie, fobie, ossessioni).
L’Uomo Tragico è invece frutto della nostra società globalizzata e sempre più complessa che non può più affidarsi né ai grandi sistemi filosofici e religiosi condivisi, né ad un sistema familiare stabile e definito: i rapporti relazionali sono frammentari, discontinui, fuoriescono dai confini noti (ex. famiglie allargate) oppure implodono in sé stesse (ex. famiglie nucleari senza rete sociale).
All’interno di una comunità di questo tipo il controllo sociale diventa impossibile, così come il prendersi cura dell’altro adeguatamente; il prodotto di tale interazione è che il soggetto non riesce a ricevere un adeguato riconoscimento della sua identità e del suo valore rispetto agli altri, cosicché la sfida per l’autoaffermazione diviene qualcosa di estremamente penoso e poco condivisibile con gli altri perché non poggia sulla fiducia nei legami duraturi e importanti.
Il malessere psichico dell’Uomo Tragico può essere identificato come il bisogno coatto di riempire il vuoto attraverso il consumo inappagante di oggetti o sensazioni stimolanti, quindi egli si pone al di là del principio di Piacere.
Una relazione genitoriale caotica è incapace di favorire una sana autoaffermazione, così l’individuo è costretto a sviluppare un Sé debole e frammentato che per difendersi si aggrappa alla ricerca di un piacere alienato dalle emozioni.
Secondo Lasch (1981) la “società narcisistica” nasce proprio dall’assenza del riconoscimento del limite come elemento di appartenenza e dalla maniacale affermazione dell’autonomia individuale.
Il corpo, a mio parere, si è fatto scenario di questo mutamento prospettico, infatti con l’avvento e l’affermazione della chirurgia estetica la fisicità può essere trattata come un oggetto che si può manipolare, cambiare, trasformare attraverso interventi correttivi, per offrire all’individuo, e al suo contesto, un’immagine vincente ma vuota.
Sembra allora che si stia riproponendo l’antico riduzionismo mente/corpo in cui il corpo, manipolabile come quello di un robot, è collegato ad una mente alienata da emozioni e sentimenti.
Da molti anni ormai collaboro con una équipe di chirurghi estetici in qualità di consulente: assisto alle prime visite di consultazione oppure mi vengono inviate persone che scelgono di avvalersi di un parere clinico, prima di sottoporsi all’intervento; altre volte è il chirurgo stesso ad inviarmi i pazienti che sembrano avere problematiche rilevanti nella percezione della propria immagine corporea e che, per questo motivo, potrebbero essere candidati non adeguati per l’intervento chirurgico.
La mia posizione è quindi un osservatorio molto speciale dei fenomeni e dei risvolti psicologici che interessano il delicato rapporto tra chirurgia estetica, individuo e contesto sociale e in questo articolo, attraverso il resoconto di alcuni casi clinici, intendo esporre le potenzialità e i rischi a livello psicologico dell’intervenire sul corpo senza prenderne in considerazione i vissuti psichici.
Partirò da alcuni dati utili per esprimere il forte impatto che la chirurgia estetica riveste nella nostra società: innanzitutto bisogna precisare che in Italia, ad oggi, non abbiamo un sistema di rilevazione ufficiale e attendibile degli interventi di chirurgia estetica realizzati (si fanno delle proiezioni più o meno esatte), perciò farò riferimento a quanto accade negli Stati Uniti d’America, paese in cui l’A.S.A.P.S. (American Society for Aesthetic Plastic Surgery) si occupa di verificare puntualmente il numero di trattamenti effettuati ogni anno.
Nel 2009 sono stati effettuati negli U.S.A. 10 milioni di trattamenti estetici (chirurgici e non chirurgici) e dal 1997 c’è stato un incremento del 147% sul numero totale di interventi estetici.
Gli interventi chirurgici più richiesti sono stati: mastoplastica additiva, liposuzione, blefaroplastica e rinoplastica; i trattamenti non chirurgici si riferiscono ai cosidetti “fillers” cioè iniezioni di sostanze – in genere riassorbibili in 4-6 mesi – per correggere e migliorare i segni del tempo: primi tra tutti la tossina botulinica e l’acido ialuronico.
In Italia gli interventi più richiesti dalle donne sono la rinoplastica, la liposuzione e la mastoplastica additiva, mentre gli uomini sono interessati prevalentemente alla liposuzione ed al trapianto di capelli.
Quando una persona si reca dal chirurgo estetico è importante indagare, attraverso il colloquio clinico, le dimensioni psicologiche utili a capire se quella persona manifesta problematiche tali da sconsigliare il trattamento.
Per prima cosa analizziamo il funzionamento psicologico globale del paziente per capire se al momento sono attivi disturbi dell’umore (depressione maggiore, mania), disturbi psicotici (schizofrenia, disturbo bipolare), disturbi della sfera ansiosa (ansia generalizzata, attacchi di panico) o altre disfunzioni che compromettano il funzionamento globale della persona.
Un’altra variabile da verificare è la percezione del paziente relativa al difetto che vuole correggere: da quanto tempo si lamenta del difetto? La percezione di questa anomalia fisica ha fatto in modo che il paziente eviti alcune situazioni sociali (lavoro, relazioni con amici, feste etc.)? Quanto tempo passa a pensarci?
È chiaro che la percezione di un difetto fisico è soggettiva, ma esistono anche parametri di riferimento morfo-estetici per corpo e viso relativi all’armonia fra le varie unità anatomiche del volto.
Tali parametri sono indispensabili al medico per verificare l’esistenza oggettiva di un difetto lamentato: ad esempio se la persona ha un mento “sfuggente” (cioè poco proiettato rispetto a naso e fronte), o un naso lungo; spesso, infatti, accade che le persone sentono di avere un difetto che in realtà non corrisponde ad effettivi deficit nelle proporzioni anatomiche e che per questo non necessita una correzione chirurgica.
Durante il colloquio clinico è importante mettere a fuoco il tipo di motivazione a sostegno del desiderio di ritocco fisico: il focus motivazionale può essere interno, ovvero legato a bisogni interiori, come piacersi di più o riuscire a migliorare la propria qualità di vita; oppure esterno quando l’obiettivo si trova fuori dalla persona, ad esempio migliorare il successo in ambito lavorativo o conquistare un partner.
Quando un soggetto manifesta una motivazione esterna all’intervento bisogna prestare molta attenzione perché può essere indice di vulnerabilità rispetto all’approvazione sociale, un fattore che spesso si lega ad un forte deficit di autostima e debolezza delle funzioni dell’Io (capacità di controllo degli impulsi, contenimento dell’angoscia, rapporto con la realtà).
Infine dobbiamo interrogare la persona circa le aspettative che nutre nei confronti del trattamento: in che modo il soggetto immagina l’esito finale post-operatorio? È realistico oppure no? Crede che grazie alla correzione del difetto la sua vita cambierà magicamente?